Muzak - anno II - n.10-11 - agosto/settembre 1974

4 r muza L Era stata una giornata dura, litigate, frenesia, fretta ne erano stati I rituali ingredienti, ricordo di essermi buttato sul letto vestito, col cappello in testa e di essermi addormentato subito. Finalmente dormivo e sognavo. Un bel sogno, davvero, so che può annoiarvi, ma vorrei proprio raccontarlo. L'ambiente era dei migliori; boschetto da copertina, sole da California, musica ovviamente dei Pink Floyd. Sullo sfondo, la cosa più importante, una cooperativa: era una casa in mattoni, dava su un lago, lo stesso citato d,a Pietrangeli in una sua canzone: si erano unite le "menti migliori", ognuna con il suo fardello di fantasia, di soldi, di coscienza, per costruire ua struttura più o meno così. Vari settori d'intervento: uno musicale comprendente la distribuzione sul mercato "nostr.o" di cassette, dischi fatti da noi, con strumenti tecnici che c'eravamo comprati e che usava chiunque ne avesse bisogno. Chiaramente i prodotti costavano poco, non ci si speculava sopra. Si organizzavano concerti diversi, ricordo che non c'era palco, che non erano galere, che si era noi stessi, non alla Woodstock, molto meglio; non erano solo festival erano momenti di crescita per tutti, c'erano audiovisi finalmente non pallosi, film fatti da noi, strani, gente che recitava, che diceva cose reali, con addosso delle maschere. Non c'erano rivalità commerciali tra i gruppi che suonavano, non avevano il minimo bisogno di fare scena, non dicevano cose sciocche. Il settore teatrale organizzava in prima persona questi momenti di vita, seguiva strade diverse, ricordo che èra tutta gente uscita dalle cantine per crescere, con loro erano venuti i "cinematografari" con mille idee, con film fatti ·con niente, senza dive e bulli, ma fatti dalla gente e con la gente. C'erano pure gli "artisti" senza tavolozza e pennello ma con informazioni su come crearsi il proprio spazio d'informazione con poche lire. Per questo erano spuntati un po' dappertutto migliaia di pubblicazioni, di poster, di foto, di disegni fatti in casa, non legati al gruppo Cefis. Non c'era più molta gente passiva, chiusa e isolata a pansare ai fatti suoi. Eravamo partiti dandoci un 'organizzazione. centralizzata sia finanziariamente che politicamente; una sede che distribuiva, . che dava indicazioni, che urlava di muoversi. Poi in un'altra città ne era sorta

__) un 'altra, un 'altra ancora in una terza, e così via'. I soldi, vero problema, erano arrivati da tutta Italia, in vaglia da poche lire, da gente che credeva nella cosa, che per allora si limitava a sperare. Poi non erano stati più passivi. Anzi. C'era anche gente disperata per questa nuova situazione: non ingrassava più sulle' spalle dei ragazzi. Si faceva politica, forse in maniera non del tutto tradizionale, ma era politica. Molti dicevano che avevamo creato I 'undergrouno italiano, molti anni dopo quello americano, ma molto più solido, più reale, meno sognante e pacifista; non volevamo isole nella società, ma volevamo cambiarla. Fu un vero botto, non eravamo isolati, non volevamo fratture dagli aclulti, non ci interessavano e le ritenevamo sbagliate, li punzecchiavamo è vero nei loro pregiudizi, dovuti a secoli d'oppressione, ma in un certo senso ci guidavano alla conquista di modi di vivere nuovi. Facevamo anche a botte, ogni tanto, c'era molto fermento. Era stato molto difficile, mille •ostacoli, mille discussioni, ma ce l'avevamo fatta. Pochi ci credevano all'inizio. Il risveglio, brùsco, duro, spezzò il clima bucolico in cui mi ero immerso, le solite cose: il lavoro, il principale che urla, la scuola, gli insegnanti che interrogano, la solita monotonia. Tanta rabbia. Non era dunque possibile in re.altà? Eppure a parole son tutti d'accordo. Troppe difficoltà, è un progetto ambizioso, un casino, c'è da discuterne sèriamente, si dice in genere. Ma ci vuole davvero così tanto ad unirsi e a parlarne in termini un po' pratici, a. darsi scadenze, a creare davvero questa cooperativa? Almeno proviamoci. Proviamo per adesso a trovarci, Chi? Bah, un po' tutti: musicisti, teatranti, spettatori, pennaioli, gente che ti dà indicazioni, che fa cinema, che si intende di grafica, che lavora. Muzak può per adesso impegnarsi a far questo: aspettare e raccogliere gli interventi di chi è interessato alla cosa e pubblicarli. Poi magari organizzare un grosso dibattito pubblico sulla creazione d~Jl'alternativa al.l'industria sovrastrutturale borghese. Non è molto, ce ne rendiamo conto, ma vi assicuriamo che è così che quelli del sogno avevano iniziato: parlandone senza paura, opportunismi, giochi di potere. Dopo il risveglio. Il Collettivo Redazionale 5

I. "hard è la Cdscicnza che se ne va a spas,,1. E" la rahh<,a che fugge via "itlth, un vihromassaggiah,- re a migliaia di watt. E' la tensione reale che lascia il posto a tensioni fittizie. "fisiche". extrnreali. E' forti emozioni e epidermica forza. dai m,,ralismi, dai falsi pr,1hlc111i. dalla critica strnncatrice (tanll> di moda e tant,, facile). e dall'im:,,- sciente bearsi di una musica che non ha più nulla da spartire con quesh> rnllnd,> (,>ra e 4ui) che hulta in aria vuute par,lle. l;.intu più enfatiche 4uanto più prive di senso. L'hard è stuto uno sc,,ss,me alla pulizia barncchetta dei Beatles. E' stato la par,,la detta con forza c,,ntro un'arte senza vita. E' stato l'inno di mille battaglie, di lotte, di vittorie. Questo il sommario d'una st.,ria dell'hard rnck che esca fuori e Fra Yardbirds e Grand Funk, fra Jcff Beck e Ten Years Aftcr la differenza n,m sta nella sincerità degli uni e nel commercialismo degli altri. Sta nel pubblic,, a c·ui si s,>110rivolti i primi e nel pubblic,, a cui si riv,,lgnn,, i sec,mdi. EQUIVOCI CHE VORREMMO DISSIPARE A prima vista, può sembrare che il difetto maggiore dei moderni gruppi hard sia 4uello di far musica commerciale. Ora, musica commerciale è qualsiasi musica. Ma, si dirà, un conto è far musica e poi venderla, un conto è far musica per venderla. Il problema è di lana caprina o, se preferite, del sess,, degli angeli. Si pone in realtà l'esigenza, sempre che vogliamo tentare di uscire dai luoghi comuni e dai partiti presi, di esaminare il prblema non dal punto di vista della commercialità, ma da 4uello della reazione favorevole o sfavorevole e da questa risalire a quei fattori della musica che ci possono permettere un discorso vicino all'oggettività. Così crediamo di non sbagliare additando nel primo hard una capacità eversiva, di progresso, di rivoluzione nella musica, proprio rispetto .alla contrapposizione che questo tipo di rock si imponeva nei confronti della musica semplice e piena di sottili (quanto vuote) vibrazioni. Il pubblico d'allora, i giovani di allora anche da noi, presero la palla al balzo e fecero dell'hard, del dark sound, dell'heavy rock una bandiera di rivolta. Ne compresero non tanto la vuota forma ossessiva e sconvolgente, quanto ,i "contenuti": la forza dirompente che mostrava la realtà sociale di della vita tutta. In quesh> clima la risp,mdenza del pubblic,, ai gruppi hard era una rispondenza profonda, era un riconoscersi (forse infantile, senza dubbi,, limitat,>) in un cert.> disc,,rso, in una musica violenta e pesante. li successo di allora non era commercialità, era impali,>, rapporto dialettic,, fra musicisti e asc,>ltaturi. Oggi questo non è più vero. Oggi, l'hard rappresenta, per fatale contrappasso, l'esatto contrario: è il tentativo, in parte riuscito, dell'industria culturale di . perpetuare all'infinito una m,ida senza tempo. Alla immediata rispondenza di allora si è sostituita -la persuasione· occulta. Attra verso quali meccanismi? Qualcuno ha scritto recentemente criticando la nostra posizione negativa sull'hard sostenendo che dopo il lavoro si ha bisogno di scaricarsi. E cosa vuole di più l'industria culturale, serva furba dell'establishment? Non è forse suo interesse guadagnare il massimo su una fregatura? Scaricarsi ... per ricominciare l'indomani a lavorare come una macchina senza cervello e senza sentimenti? Per non lottare più. Per essere completamente lobotomizzati, in un mondo fatto di bassi profondi. sviste una generazione che, comp,,sita al suo interno, stava cercando la via di una ribellione; d'un mudu d'imporsi, di provocare i benpensanti della culÌura, dei costumi, fall.iu-Jimi. tanh, rum,>rc e t;wti riff' Commcn.:iale. in sen~o negativ, ,. un genere muskale diviene 4u;ind,>, pers,, il suo ~lreth> cnllcgarnen1<1cnn le istanze s,,ciali e culturali, si riproduce sempre uguale, m,>da senza tempo. rn,>- dello senza evoluzione, barath>I,, vecchi,1 nel carro della storia. Il. BISTURI CASTRATORIO DELL'HARD DI OGGI Ma il pr,>blema n,,n ~i ris,,lve in una Cllntrapp,>sizi,me nuda ecruda "forza-deb,,lezza", "ritrnomel.,dia" "durezza-malleabilità". Ingenui s,llh> c,,l.ir., ·che cred,>n,, che gli anti-hard sian,> i rnclh>trnmani, o che cuntrn i rozzi Deep Purple si debbano dif.:ndere i fragili Genesis. Il prnblema è una volta di più domandarsi cosa ci asr,.tta dalla musica. E ci si accorge facilmente che scaricarsi. c,,n vi,>lenza da parafulmine o c,>n dolcezza da sonnifero, nun è ciò che si dovrebbe chiedere all'arte. Riprendiamoci la musica, gridava qualcuno temp,, fa. E per che farne? Per godere stesi al sole di quattro note messe in fila. per dimenticare che esiste un mondo n,in esattamente ordinai<> come un giro d'accordi? O nun invece per dimostrare anche nella musica che i nostri valori S•Jnu diversi, che esiste e si va faticosamente formando un modo nu,1vu di vivere l'arte. la cultura, i rapp,>rti? L'hard, infine, è una musica sciocca. Ma non tanto per la semplicità della sua custruzi,me, u per la p,,chezza del suu repertorio armonico-ritmico. Ma proprio per la nullità del suo valore di verità. Cosa rimanga dopo l'ascolto di un pezzo di hard rock, è cosa che qualcuno dovrà pure spiegarci. Prostituta della rnu,ic·a, I·hard d, "!!~i .:i dà l'eml>l.i,lllC.: fru'.\trantc e umilii111lc di un flll>1nento. umiliante per 1111iu.miliante per la mu,ica. Ma 4uali altri ç,,ntrihuti alla crescita darà un pc1.zo di mu~ica hard? I .a masturbazi.,ne del1\,rccchi,>. la morte della c·o• ,cienza critica. l'ahbandnn,, del!., Vlllontà di lntta. UN DISCORSO SENZA 11.LUSIONI SUL FENOMENO HARD Distruzione-cnstruzione. Quc,.to potrebbe essere un altro s,,mmario della storia dell'hard. Finché si è trattato di distruggere. sbeffeggiare. inmizzare su pulizie formali, sui compitini del beat morente. l'hard è vissuh>. in splendore. Quando a quest \,pera ha sostituito un modello in positivo I,> s4uallnre macabr.i di un gi,>c,1 che tenta di divenir serio ha sommerso ogni validità. E sembrò allora che l'hard n,m sarebbe mai stato ass,,rbibile dall'industria culturale, c,H1 le sue durezze. cun la c,,rnplicità diretta che stabiliva con le gi,,vani forze ingenuamente riv,,lhise. E sembrò allora che si poteva allargare il val,,re della musica. farla vivere C•Jnnoi non limitarla al ml>mento dell'ascolto, ma dilatarla ad esprimere tutto quellu che si sentiva. Ma come tutti i fen,,meni culturali di successo immedialli si naufragò ben presto nella cummercialitil e nel populismo. Musica per tutti, musica per chi voglia buone vibrazioni: frase ambigua a cui tutta la musica deve il suo perenne essere inferiore, il su" perenne non emanciparsi. E vengono c,mfuse con buone vibrazioni le peggiori solleticaziuni epidermiche, le peggiori mistificazioni: e l'arte diviene una cosa di cui ci si serve e poi si butta. E del resto, a ben guardare, musicalmente l'hard non è cosa multo complessa: son tre quattro moduli, imparati i quali il prodottu può essere confezionato in serie, con minore o maggiore abilità. Ma ciò è sempre vero quando 7

8/ack Sabbarh Ten Year.1Afrer 8 I • Deed Purple un tipo di musica diviene "genere". quando trova sue leggi immanenti, quando, soprattutto, è facile preda dell'industria culturale. li punto che distingue l'hard rock dagli altri "generi" è esattamente il suo essere nato come momento di critica feroce, uragano di una stagione, follia di un momento che. riprodotta, diviene normalità, banale normalità. Pirandellianamente i confini fra realtà e finzione, fra follia e normalità si perdono e confondono: e ogni valore "educativo" di ciò che è ·'diverso" ogni stimolo da ciò che si pone come antitetico diviene vuoto parolare, stanca retorica. libertà da schiavi. DIALOGO FRA IL MAGO HARDROCK E LA FATA RAGIONE Caliamoci in atmosfere medioevali. In paesi gonfi di nebbie. E vediamo sorgere. forse dalla nostra stessa coscien'.za, i folletti orrendi, gli incubi osceni. la difficoltà d'adattarsi alle cose del mondo, gli occhiali deformanti d'una società basata sul consumo idiota. E' tutt'uno (o lo è stato) impugnare le armi, la spada scintillante e combattere tutto in nome della forza della nostra ragio-

c;,.,,,J Funk ne. Caricati dal desiderio di sconfiggere i folletti mostruosi possiamo lottare senza posa, certi d'una vittoria su qualsiasi nemico. Ma l'atmosfera cambia del tutto: sembra un circo enorme e luminoso, le nebbie non sono che polvere sollevata da grotteschi clown: lottiamo per finta e la ' gente ride ... con mostri di cartapesta, donchisciotte senza ideali... prendendo a calci buffoni dai sederi imbottiti d'ovatta. E se con rapido mutamento, ci troviamo in limpide mattinate, in un mondo reale, senza folletti e senza clown, senza spade né calci, senza polvere a ripararci dalla lucidità tremenda della lotta? Potrebbe benissimo essere un sogno. Ma, purtroppo, ha tutte le carte in regola per essere realtà. Realtà di ognuno e di tutti, realtà di lotta per quanto la si voglia rimandare o per quanto si voglia credere che, battuti i mulini a vento, Dulcinea sarà libera. E PER FINIRE FACCIAMO UN DISCORSO SERIO Forse l'hard non è stato che un pretesto. E se è così in parte ci scusiamo. Sarebbe stato bello parlare di ritmi primigeni, di crani scoperchiati, di nervi scoperti, di lava, di sangue, di circoli. Ma che senso avrebbe nascondersi ancora una volta dietro un dito? E dietro il dito meschinamente frugatore del critico paludato? Non è forse meglio vedere le cose come stanno, farsene una ragione e tornare ad esser persona fra le persone? "Arrivai al punto di disprezzare in me quella scienza che prima era il mio orgoglio, gli studi, che prima erano tutta la mia vita, mi sembrava che avessero un rapporto casuale e convenzionale con me. Mi scoprivo diverso, esistevo - Oh gioia! - anche al di fuori di essi. Come specialista mi resi conto di non essere niente. Come uomo mi conoscevo forse?" (Gide -· L'immoralista). Ecco forse un modo diverso di affrontare tutti la musica e i problemi che essa pone: non essere specialisti ma conoscersi come uomini. Può sembrar poc,, e p,>- c,, adatto da 4ueste col,mne. Ma forse così un discorso anche sull'hard cessa di essere un prtesto e, riguardato con intelligenza "umang", l'hard stesso cessa di essere mito da speciali ti, da vivisezionatori dell'esperienza di tutti. Giaime Pintor 9

muzak Itecnici: unproblemada·considerare Premessa In questa inchiesta parleremo dei tecnici, di quelle persone più o meno specializzate e qualificate che. pur contribuendo allo sviluppo di un lucroso meccanismo di produzione, sono tagliate fuori dai 11rossi profitti che il mondo della musica è invece capace di realizzare. Parleremo non solo del loro lavoro, delle condizioni in cui esso deve essere svolto ma anche del rischio che esso comporta a tutti i livelli e della loro fllluribile occupazione in funzione di una prospettiva sociale ed umana più ampia; melleremo inoltre a fuoco altre problematiche a carattere socio-politico che troveranno i temi domin<inti nel problema della pensione, della prevenzione dei rischi sul lavoro e sulla assicurazione in caso di incidenti. A tal fine. questa nostra inchiesta conclude con delle interviste con dei tecnici-campioni che cercheranno di definire meglio il quadro della situazione. e cioè con SPARTACO del Rovescio della Medaglia, CLAUDIO dei Semiramis eMARCELI.O di Alan Sorrenti. I ntrnduzione Quando la gente si reca ad 1111 concerto presta allenzione solo " quello che succede sul palco. si "i:ode .. il prezzo del bii:lietto e poi se ne ritorna a casa più o meno soddisfatta. Solo dopo che è scomparso il ramare assordante della amplificazione il pubblico comincia a porsi i quesiti più strani che vanno dai conti in tasca all 'organizwtore alla potenza dell'amplificazione, dalla marca del basso a quella del probabile rimmel dell'organislll: sono quesiti questi che forse avranno una risposta più o meno immediata ma ci sono altre risposte che non si sapranno mai per il semplice fatto che non esistono le relative domande. Una situazione di questo genere, unu mancanza di coscienza e di presa di posizione rii:uardo determinati problemi aiuta la routine di unu certa siI uazione che, chi ne approfitta, non hu nessuna intenzione di modificare. Una domandll che secondo noi dovrebbe invece essere posta è questa: quali persone. oltre ui:li artisti e gli orgunizzatori. rendono possibile lu realizzazione dei concerti e dei:li LP? Ci sembra giusto voler rivalutare la figura del loro lavoro ulla luce di una nuova realtà. determinando non solo la portata del loro lavoro mu anche la possibilità di occupazio11e che questo possiede. il suo wudo di prepllrazione ed il modo in cui esso viene acquisito, i rischi a cui è soi:gello, il criterio con il quale essi vengono preventivati e regolamentati e tutto un 'insieme di altre circostanze che verranno allu luce viu viu con il procedere di questo inchiestu. La h1urnée La tournée è la prova del fuoco per tutti, per gli artisti, per i tecnici,, per gli organizzatori e la casa discografica. E' una di quelle esprienze che se non viene affrontata con un certo spirito ed una certa competenza rischia di divenire motivo di alienazione permanente per tutti. Ogni singola ..:apacità, in ogni settore specifico. è chiamata continuamente in causa per dar riprova della sua validità ed efficacia. E' una lotta continua contro imprevisti mal calcolati e persone che non hanno niente a che vedere con i progetti iniziali. E' doveroso in questo caso fare una considerazione generale sui tecmc1,erare una netta divisione a seconda dlle loro capacità e delle loro funzioni. Vi è innanzi tutto il Fonico, quello che ha la responsabilità della Consolle e si occupa dell'intensità e degli effetti che il suono deve avere, è quello che seguirà poi il gruppo in sala di incisione e si guadagnerà il pane ed il superfluo. Per lui la tournée è un grosso punto interrogativo in quanto non tutto quello che egli spera di ottenere dall'amplificazione è sempre realizzabile, -dovuto sia per la fretta di montare l'impianto. che per la particolare sonorità della sala via via diversa, congiunta alla sua rapidità di ovviare a determinati inconvenienti di natura tecnica ed organizzativa. Vi è poi il tecnico delle luci che è un poco il regista della situazione, Cl)n la sua determinante opera a livello di SP<:ttacolo visto che il concerto è tanto efficace quanto la scenografia delle luci è capace di esprimere il significato della musica. Un 'altra figura importante è quella dell'elettricista. capace di riparare con la massima rapidità tutti i guasti di natura elettrica sia dell'amplificazione che degli strumenti e profondo conoscitore quindi sia delle particolarità s,,- nore degli aimplificatori che delle singole caratteristiche strumentali. Vi sono poi altri coadiutori meno qualificati quali gli scaricatori, i ragazzi di fatica e gli autisti, che devono sapere fare un po· di tutto e devono dare una mano a tutti. Sono queste persone che hanno i maggiori problemi e le maggiori responsabilità, e sono questi i più sfruttati. Dop,, aver fatto questa dovuta precisazione nella classificazione dell'apparato tecnico organizwtivo, parliamo della tournée. del lungo viaggio che vedrà accomunate persone di ,,gni estrazione sociale, della breve avventura piena di grossi rischi e piccole soddisfazioni. La tournée è 1·unica fonte di guadagno per gli artisti italiani poiché sono pochi quelli che possono permettersi il lusso di rinunciarvi potendo vivere snlo con i proventi dei dis..:hi e della SIAE, ma anche per i gruppi più affermati la tournée è un fatto determinante in quanto permette di reclamizzare un LP e di farsi conoscere da sempre più persone. (Questo viaggio deve essere organiz2<11<i1n ogni minimo particolare altrimeni si rischia di

uscirne distrutti econumic<1mente e moralmente). All'iniz.io di prenotano gli alberghi, si mette a punto l'amplificazione, si controllano gli strumenti, si calcolano eventuali dispersioni di danaro, si organizza un'ufficio stampa, si affittano pulmini speciali e poi si parte. A questo punto dovete pensare c~e le persone coinvolte in questo viaggio sono quasi una ventina e già questo dovrebbe darvi un 'idea della complessità della situazione. Ci sono persone di ogni ·regione ed estrazione sociale.che dovranno convivere per un periodo molto lungo, ognuno con la sua umanità, le sue manie, il suo modo di vivere e con in testa mille cose ed uno specifico interesse che è la sola ragione di quel viaggio. Si parte dunque e si lascia alle spalle tutto ciò che fino a ieri si credeva importante e necessario. (Il primo pulmino viaggia spedito verso il luogo del concerto e deve arrivarci in orario nonostante tutto perché il ritardo vuol dire una forte multa; il se.condo pulmino lo segue da vicino mentre gli artisti partiranno più tardi e con un mezzo più veloce, devono arrivare freschi e riposati perché non si può pretendere che un batterista stanco possa poi reggere lo stress di tre ore di spettacolo. Ma ritorniamo al primo pulmino). L'autista guida in silenzio mentre gli altri dormono per arrivare riposati, il loro lavoro manuale comporta un cerh> riposo; passa così tutta la notte e solo al mattino qualcuno comincia a svegliarsi ed ha voglia di fare quattro chiacchiere. L'autista, che forse ha aspettato\ quel momento da diverse ore, non sembra averne più voglia ma accetta di buon grado per dimenticare il rumore monotono del motore. Ci si ferma un attimo sull'autostrada per far colazione e poi di nuovo in marcia fino al luogo del concerto. Si è arrivati. E' un'altra città, gli stessi volti della gente te lo ricordano, cercando il luogo del concerto e smontando gli strumenti e l'amplificazione. E' un lavoro duro, molto duro, reso ancor più impossibile dal fatto che non hai dormito dentro un letto. (L'autista si concede alcune ore di sonno mentre gli altri iniziano il loro lavoro). Hai quasi fame ma il tuo stomaco non reagisce; forse hai fumato troppo o hai fatto colazione troppo in fretta e con roba che di solito non mangi. Alcune ore dopo gli strumentisti sono in sala, il tecnico si sistema da sé i suoi cavi e mette in moto il Power del Mixer, l'altro si occupa delle luci ed i generici montano la batteria e sistemano il palco per lo spettacolo. Queste sono cose che non si improvvisano, bisogna essere pratici ed allenati, durante tutto il concerto le cose devono andare lisce per poter dar modo agli artisti di fare il loro spettacolo. Bisogna avere un certo affiatamento ed occorre non arrendersi subito davanti alle difficoltà del momento ed agli imprevisti; occorre avere il dono dell'improvvisazione e della novità, bisogna star calmi e non· lasciarsi innervosire. Dopo tutto ciò si può pensare anche e mangiare. Spesso, nelle altre regioni, non sai adattarti a dei particolari menù, spesso non troverai da mangiare perché hai i capelli lunghi ed il cameriere ti manda via pensando tu non abbia poi da pagare, spesso ti danno un 'elemosina di primo e secondo trattandoti come un accattone piuttosto che da cliente. Ti viene voglia di mandare tutto a quel paese ma superi questo momento di crisi perché devi tornare al lavoro, devi dare gli ultimi accorgimenti a tutto quello che hai preparato prima. Hai ancora tutto sulllo stomaco e ti senti poco bene perché il coktail caffè-pranzocaffè è fuori dalla tua regola comune. A questo punto arrivano gli artisti, controllano se tutto è a posto e poi se ne vanno a mamgiare. I tecnici restano al loro· posto, uno dietro al mixer, uno dietro le luci, uno dietro la batteria e l'autista deve fare un po' di tutto. A concerto finito, gli artisti se ne vanno in albergo mentre i tecnici rimontano il tutto e si avviano verso il luogo del successivo concerto. L'autista del giorno prima dorme ed un altro prende il suo posto. Si controlla se non manca nulla, se tutto funziona ancora e via. Questa non è che una giornata del loro lavoro, provate a moltiplicarla per cinquanta o sessanta ed avrete un quadro completo della situazione. Proviamo ora a parlare dei problemi del singolo concerto in modo specifico. / Il concerto Quando si parte per la tournéc; solo il Road Manager conosce le caratteristiche acustiche di tutti I locali dove si terranno i concerti perché ci è stato prima per fissa, re le date; i tecnici invece sonu all'oscuro di tutto ed ogni con, certo diventa così un imprevisto a breve scadenza. li fonico deve scegliere il postu più adatto dove mettere il mixer, ti tecnico delle luci deve adattare il suo apparato alla nuova situazione mentre il lavoro più ingrato è quello dei generici. Essi devo- -no calcofare-bene l'ampiezza del palco per poter dar modo agli artisti di rispettare le usuali posizioni durante il concerto, devono montare in modo adeguato sia i Woofer che i Toweeder cercando di rispettare la volontà del fonico che in questo senso ha anche lui i suoi problemi di acustica. Spazio a disposizione ed acustica difficilmente vanno d'accordo e sorgono in questo caso i prµblemi più duri. A questo punto arrivano gli artisti che provano il tutto e prendono gli ultimi accordi con i tecnici. Il concerto inizia. Il Fonico controlla eventuali rumori di fondo e si occupa degli effetti base del concerto, il tecnico delle luci è immerso dietro il suo miscelatore e le sue diapositive, l'elettricista controlla continuamente i cavi e le spie. Gli altri si sottopongono ai lavori più rischiosi e massacranti, bisogna avere colpo d'occhio e mani veloci per evitare delle catastrofi in miniatura. C'è quello piazzaio dietro la batteria che deve controllarne continuamente la stabilità e la posizione, quello piantato dietro gli amplificatori che, nel rumore più assordante, deve stare attento ai pericoli di incendio e di caduta delle casse, ed un altro ancora che deve avere mille occhi e più tentacoli. Deve star attento al solito fotografo che vuol scattare le fotografie dal palco, quello stesso fotografo che magari durante il concerto, al buio, strapperà inavvertitamente il Jack della chitarra e farà andare in bestia sia il chitarrista che il fonico dietro al Mixer. Deve stare attento a che nessuno fumi col rischio di tramutare, il palco in una piccola Roma neroniana. Deve stare attento alla solita fans che vuole il foulard che è al collo del suo idolo. Deve stare attento a che nessuno si porti via un microfono come souvenirs ed a tante altre cos che potrebbero influenzare negativamente lo spettacolo. Sono ore di tensione per tutti, è uno stress continuo che logora i nervi più saldi. Questo è il concerto visto dall'altra parte della barricata. Tutti dobbiamo prendere atto di queste circostanze per capire più a fondo il significato del concerto, come ,creazione di gruppo comprendente non solo il fattore artistico ma anche quello tecnico che da solo varrebbe a giustificare tanto interesse. Se è vero che il concerto sta divenendo più che mai un fatto di costume e un nuovo mezzo di un messaggio culturale ed umano più recepibile da tutti, è altrettanto vero che dobbiamo analizzarlo anche alla luce di queste considerazioni. Ci rendiamo conto tuttavia che esistono altri problemi di natura ben differente e cerchiamo ora di anaJitzarli intervistando alcuni tra i tecnici più rappresentativi del nostro panorama musicale. 11

Il tecnico deve stare attento alla solita fan che v11oleil fo11lard che è al colto del stto idolo Intervista SPARTACO (R0vescio della Medaglia), CLAUDIO (Semiramis) e MARCELLO (Alan S0rrenti). Muzak: Quali sono i tuoi rnpporti di lavoro e di amici1;ia con il Rovescio della Medaglia e quali benefici hai ricevut/l da questa rela1:ione con loro? Spartac0: 10 nùn s0n,, s0lamente il Fonicu del R0vesciu. ma facciù parte del gruppo in modù tcitale perché suonu cun luro. Suonu perché da dietru il mixer creo degli effetti e delle atmosfere pari a quelle, per esempio, create da Stefano cun il basso. Basti dire che anche io prendo i diritti di aut0re sui dischi che facciam0. Con loro p,,i sono in 0ttime relazioni di amicizia prnpri,, per queste ragioni: se un tecnico é solù stipendiatù il suù interesse nei concerti e nella registrazi0ne del disc0 non va 0ltre l'interesse dello stipendio e quindi ad un certo punto se ne può anche fregare del resto. Devo dire che h0 avut0 da l0r0 delle bellissime c0se e fra tutte quella di aver acquisit0 una nu0va sensibilità creativa e quindi unù stim0l0 en0rme per quanto riguarda il mio lav0r0 di fonic0. In questi termini i0 cunsider0 la funzione del fonic,,: il fonico é un membro del grupp,> che divide tutte> con loro, il successo e gli insuccessi, i s0ldi e le cambiali. Forse per questo il Rovesci0 ha avuto sempre tutti c0ntro, siamo tutti affiatati e disp0sti alla lotta contro la mafia dei mezzi •di informazi0ne musicale. Muzak: Ma ragionando sulle vostre condi1;ioni di lavoro non hai mai pensato che ti si dovrebbe dare una pensione e un 'assicurazione contro eventuali incidenti sul lavoro? Spartaco: Pens0 propri,, di sì, ma bis0gna vagliare bene questa c0nsiderazione. Chi d0vrebbe provvedere a ciò dovrebbe essere o la casa discografica ù la SIAE che incassa miliardi da tutti, ma dovrebbero farlo in mod0 indiretto. Mi spiego. E' il gruppo che dovrebbe fare questa operazi0ne di regolamentazione del lavoro del tecnico e d0vrebbe farlo quandù la casa discografica 0 la SIAE 12 sonù disposte ad alzare le percentuali. Si deve dar m0do ai picc0li gruppi di stare bene e que~to mm è p0ssibile fin qua_ndoun gruppo ha il 5 per cénto sulla vendita dei dischi. La SIAE inoltre dovrebbe fare lo stesso e dare un po' più di respiro agli artisti, in quanto fino a questo m0mento, li sfrutta e basta. Quest0 discorsù vale anche per l'assiçurazione in cas,, di infortunio. I rischi, nel n0stro lavoro, son,> davvero tanti; pu0i prenderti una ~cossa, ti può cadere l'amplificat0re in testa, puoi avere un incidente stradale durante la t0urnée o rimanere invalid,> per tutta la vita senzg rimedio e senza c0mpenso. A queste c0se nessuno ci pensa perché manca una tale c0scienza nella n0stra categ0ria e forse questa categ0ria n0n è nemmeno definita. Muzak: Quindi tu vedi la soluzione di questo problema con la presa di posi1:ione da parte delle case discografiche di concepire ed ·ovviare a qaesto problema di fondo? Spartaco: E' così; le case discografiche prom~zion~lmente no~ capisc0n0 niente e d0vrebbero almeno cercare d1 ovviare a questi problemi di carattere prettamente econ0mico. Se il gruppo può vivere anche il problema dei tecnici sarà tenuto in c0nsiderazi0ne. Muzak: Come hai iniziato a fare il tecnico e in che rapporti ti trovi ora con i Semiramis? Claudio: lù hù cominciato quasi per gi0co, mi interessavo di elettronica e p,ii ho iniziat0 a fare il fonic0 dllpù aver pres0 confidenza con quelli che son0 gli apsetti base del mestiere. Ora intendo fare proprio sul serio perché è da qualche anno che lo faccio ed ho ricevutù n0tevoli soddisfazioni, intendù riferirmi a quelle norali perché di soldi se ne ved0no proprio pochi. Con i Semiramis son,> in ottimi rapp0rti di amicizia e n0n mi sento uno stipendiato perché Cùn iùfo dividù veramente tutto. Tutt0 quello che guadagnamù durante i concerti lo dividiamo tra noi, tranne una piccola parte che è destinata alle spese più immediate ed all'acquisto di nuovi strumenti. Con tutto ciò io riesco a guadagnare una media di quaranta-cinquantamila lire per serata. Muzak: Cosa ne pensi del problema dei _tecnici in rela1:ione alla

loro possibilità di occupazione, alla pensione, alla previdenza dei rischi sul lavoro ed alla relativa assicurazion&.i< Claudio: Se non esiste una presa di coscienza di questi problemi è tutta colpa di noi tecnici in quanto non esiste una categoria di questo genere ed il relativo regolamento. Io penso che questo avvenga perché molti considerano questa attività come non professionistica ed infatti i fonici in Italia sono veramente pochi. Anche io, del resto, frequento l'università ma se avessi una benché minima speranza di potermi organizzare con il lavoro in questo campo lascerei tutto e farei solo questo. Noi tecnici siamo trattati e considerati nel modo sbagliato e molta della musica cattiva che si ·produce in Italia risente di questi effetti. Io penso che la SIAE dovrebbe stanziare un fondo per quanto riguarda le pensioni e le assicurazioni, i rischi che noi corriamo s,ino davvero tanti non vorrei rimetterci la pelle o qualche organo del corpo. Anche noi tecnici, come qualsiasi altro operaio, viviam,> la nostra condizione di sfruttati anche se nessuno se ne accorge ed il bello è che non abbiam,> nemmeno un sindacato con il quale organizzarci per rivendicare j nostri diritti. E' anche colpa delle scuole che in Italia mancano, 111entredovrebbero essercene per coloro che fanno questo lavoro perché solo così si potrebbe essere più preparati e più qualificati. Muzak: Quule pensi che siu il futuro della tua professione, pensi di avere un fu/uro come tecnico? • Claudio: In queste condizioni penso assolutamente di no. lo voglio avere uno sbocco professionale serio, voglio avere la possibilità di occupazione a lunga scadenza c,ime qualsiasi altro professionista. Purtroppo guardo la situazione dei gruppi e resto perplesso, poiché se non sono tenuti in considerazione loro figurati noi. Quelli che manovrano consapevolmente questa situazione devono però stare molto attenti a trattarla in quanto, se succederà qualcosa, c,ime io spero, saranno guai grossi per molti. Noi in fondo siamo dei lavoratori sJagionali, lav,iriamo con le tournée e dovremmo essere super pagati ed assistiti come tutti gli altri lavorah>ri di questo settore. Fino•a quando questa situazione sarà misconosciuta? Speriamo che qualcosa si muova altrimenti nel giro di pochi anni non avremn sol<>la musica d'oltre oceano a deltare legge da noi, ma anche i tecnici verranno a farsi i snidi qui. E quelli vogliono essere strapagati. Muzak: In çhe rapporti sei con Alan Sorrenti e come esplichi lu tua attività di fonico verso di lui? Marcello: Da qualche temp,1 ho smesso di lavorare per Alan, è una cosa che ahbiam,> decis,> assieme perché lui ha altri interessi ed in, del resto, di:vo fare un altro lavoru. Questo dimostra a quale punto di intesa sono arrivato con lui prescindendo da qualsiasi legame d'inerzia. Se abbiamo veramente da fare qualc,>sa lavoriamo e poi ognuno per la sua strada, proprio perché ognuno può avere altri interessi ctie prescindano dalla musica. Quesh> vuol dire che noi non c1 vea,amo piil, anzi, proprio perché ognuno è libero della propria libertà quando si sta insieme vuol dire che se ne ha voglia vera!flente. Ora lavoro da qualche tempo con i Saint Just perché vogliono sfondare anche all'estero ed hanno bisogno di genie di molta esperienza in tutti i settori e mi ci trovo altreuanto bene. Muzak: Secondo quanto hai detto il personaggio del tecnico assurge proprio a quella del professionista più vero. Marcello: Infatti io la penso proprio così, perché io faccio una netta distinzione tra il fonico ed il tecnico. Il fonico è il vero professionista, è colui il quale non ha legami di sorta con nessuno e la~ora _c~n le per~one _più disparate pur mantenendo con queste degh ott1m1 rapporti a livello umano. Se questo rapporto viene a mancar~ il fonico non è completo né dal punto di vista professionale, ne tanto meno, da quello umano. Il tecnico invece deve per f?rza sce_gliersiu. n "datore di lavoro" fisso che gli dia la possibilita materiale d1 guadagnare. Questa distinzione può essere una soluzione al problema al quale abbiamo prima accennalo. Muzak: Intendi riferirti ul problema della pensione, dell'assicurazione e della prevenzione dei rischi sul lavoro? Marcello: Infatti. Il fonico è essenzialmente un professionista e quindi queste cose lo toccano in modo relativo. Lo stesso fatto di essere un professionista implica un certo discorso che esula completamente dal resto di questa problematica. Il fonico secondo me è alla stessa altezza di un dottore, di un ingegnere o di un avvocato. Per il tecnico ed i generici il discorso è differente, essendo queste le persone al centro del nostro problema. Questa gente non è da considerarsi professionista perché hanno delle mansioni in un certo senso limitate e legate solo ad una determinata attività e sono queste stesse dunque che devono essere assisite sotto tutti gli aspetti. Il fonico può lavorare in te}1tro, nel cinema e nell'ambito della musica in genere, mentre il tecnico od i generici hanno solo questa possibilità di occupazione. E' giusta per loro la pensione e tutti gli annessi e connessi ed anzi mi meraviglio come questo possa essere ancora mLitivo di discussione, essendo in ultima analisi dei lavorat<>ri in piena regola e per questo anche soggetti ad uno sfruttamento più razionale ed incontrollato ma non per questo men,> reale. Muzak: In che cosa tu vedi la soluzione di questo problema? Marcello: Innanzi tutto in una presa di posizione reale che implichi un programma di lotta a carattere rivendicativo in modo totale ed uniforme, dove finalmente esista una nuova mentalità organizzativa anche a livello sindacati. Il problema della pensione in se stessa si deve risolvere invece istituendu un nuovo rapporto con i datori di lavoro, ed a questo punto si apre il discorso alternativo sulle case discografiche o sulla SIAE. Muzak: Spiegati meglio. Marcello:· Intendo dire che se la casa discografica e la SIAE operano un'azione di strozzinaggio verso i gruppi e gli artisti in genere, non vedo come il tecnico possa avere via di scampo. Lo sfruttamento esiste ED ESISTE PER TUTTI. Franco Schipani Il tecnico deve stare attento a chi durante il concerto, al buio. strapperà inavvertitamente il jack della chitarra 13

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di Giaime Pintor I FESTIVAL ALEATOR Le regioni, gli enti locali, le organizzazioni di massa scaricano la responsabilità. Gli organizzatori gestiscono la "cosa" con l',1.1_t:iiceo dichiarato scopo del massimo profitto (salvo poi a non valere nulla nemmeno da un punto di vista efficientisticoneocapitalista).. I giovani vogliono la musica e la vogliono in un certo modo, non per buttar via un po' di soldi, ma per avere momenti reali di socializzazione, di star insieme e di star bene insieme: fra noi con la musica. Nulla di strano che, in questo quadro, il megafestival di Santa Monica sia andato a farsi benedire e che la cosa non sia piaciuta per nulla. Quello che sfugge (e preoccupa) è il fatto che mentre il questore di Forlì nega l'autorizzazione qui, altrove altri questori autorizzino festival identici (seppure non peggiori). E mentre la Regione Emilia Romagna (rossa) si oppone a un festival pop, per ragioni (badate bene) di ordine pubblico, la Regione Umbria (rossa anch'essa) finanzia e organizza un festival jazz. Forse per gli amministratori pubblici il jazz è più ordinato del pop, secondo una visione dei due fenomeni molto vicina al pensiero di tutti i reazionari nostalgici della giacca e cravatta e della ·sfumatura alta? Dimostra in realtà ed evidenza, l'episodio di S. Monica, l'assenza da tempo esistente degli enti locali e delle organizzazioni progressiste e di massa dalla gestione della cultura giovanile. Un'assenza che oggi rischia di divenire cronica e irreversibile smarrendo il valore di questo movimento o di inseguirlo in modo codino e, peggio, sostituendo a un "commercio" privato del fatto culturale un "commercio" pubblico. La crisi di gestione della cultura giovanile, la mancanza di una visione organica di questi problemi, è certo legata all'endemica musicofobia della kultura dell'ltalietta e alla gestione corrotta e insana delle istituzioni culturali, ma è anche (ed è il fatto più g~ave) legata ai vuoti lasciati da tempo da quelle forze che, per la loro collocazione progressista e per la stessa loro storia, dovrebbero invece farsi parte dirigente e egemone di questo movimento culturale, guidarlo, mutarne i segni negativi e valorizzare quelli postivi, gestirlo, stimolarlo, farlo uscire dal settorialismo corporativo (i giovani come classe a parte) in cui rischia di cadere. Anche perché, l'ho detto e credo che lo abbiamo ampiamente dimostrato, i cosiddetti organizzatori, industriali della cultura, non solo guadagnano su una mediazione e non su un lavoro reale (cosa peraltro capitalisticamente logica) ma non sanno neanche svolgere con efficienza il loro mestiere. Ma che dico efficienza! con animo meno da magliari, da venditori di Porta Portese. E' parlare in libertà e in modo sciocco dire (come pare abbia detto Francesco Sanavio, socio di Zard nell'organizzazione del Festival di Riccione) "ringraziate i contestatori se il festival è andato a monte!". I contestatori (parola allucinantemente idiota) esistono, certo. Ma il loro peso è decisamente inferiore a quanto vogliono far credere questi "accumulatori primitivi" del capitalismo culturale. La forza è, in realtà, quella di un meccanismo che essi stessi hanno involontariamente messo in moto. Ben sapeva (o avrebbe dovuto sapere) il Mamone dei tempi d'oro che prima o poi, da una parte gli interessi, le concorrenze, le mafie, dall'altra le realtà sociali mutate e cresciute, i desideri, la voglia di contare dei giovani, sarebbero balzati in primo piano a contrastargli il dubbio mestiere di commerciante di cultura. Questo mercato non è più mercato, o comunque non è più governabile secondo leggi economiche spicciole (tanto = tanto + il mio guadagno). L'organizzazione "capitalistica" della cultura è seriamente in crisi. Ed è su questa crisi che chi ha la forza (soprattutto sociale) dovrebbe far leva per far saltare definitivamente questo modo di vender cultura. Ed è da questa crisi che bisognerebbe partire per articolare un discorso che, superate le inibizioni "legalitarie" e i deliri "rivoluzionari", possa concretamente porsi ed abbia speranza di successo. Non siamo qui a proporre nessun "compromesso storico" per il governo del movement. Credo piuttosto che sia giunto il momento di rivedere tutto il problema dalle fondamente, senza ripararsi dietro l'alibi del "ognuno faccia il suo mestiere". E del resto che la faccenda vada integralmente rivista lo dimostra anche il secondo festival fallito sempre a Santa Monica (anche se con meno scalpore), quello di Stampa Alternativa. Questo dimostra, se non altro, che con il moralismo e la buona volontà non si conclude nulla. Tant'è appunto, che il colpo del contro-festival gratis non è riuscito nemmeno a chi di buona volontà sembra averne tanta e di moralismo ne potrebbe vendere a tonnellate senza rimanerne sprovvisto. E allora? E allora anche chi si proclama alternativo non può esimersi dal fare i conti con una realtà non risolvibile con petizioni di principio del tipo "la musica è nostra, riprendiamocela!", Non si tratta di sbeffeggiare gli organizzatori ufficiali, non si tratta di dimostrare a Zard (o a chi per lui) che "volendo" si può fare anche un festival gratuito e libero e anche con gruppi di prestigio e buona qualità (gruppi tedeschi e artisti Virgin pare si fossero offerti di partecipare al contro-festival di S.A.). Si tratta di mettersi a lavorare seriamente per fare in modo che i concerti si possano fare, per fare siano autogestiti ma reali, non lager ma nemmeno nuvolette nel cielo delle idee. E finché il problema non sarà affrontato alle radici sarà vana impresa sperare che gli organizzatori, colpiti da grazia divina, si ritirino in convento ad autofustigarsi per i loro guadagni passati o che alcuni "volenterosi" alternativi, senza una lira, senza un seguito e senza una linea precisa, riescano a sostituirli. In questo modo il "sogno" che vi abbiamo raccontato rischia di divenire un incubo: l'incubo di vedere la musica ridotta a merce nemmeno commerciabile, a pura follia, a caldo ventre materno abbandonato e rimpianto.

JOHN.CALE il drarhmè. ingEinub dell 1artTidnia Articolo di ~aurizio Baia-ta L'artista spesso sa essere eclettico, anzi sa abbandonarsi nel suo eclettismo senza curarsi della bontà della sua opera in assoluto, limitandosi ad affondare memoria, spiritualità e musicalità in ogni senso qua e là, senza rigore logico. Nella maggioranza dei casi il risultato, soprattutto nella storia giovane del rock, è stato disastroso: al rock manca la via molteplice per giungere all'ascoltawre, giacché se si tratta di vero rock, '1avia è una sola, quella sensuale, impattante, durissima, pur nelle sue forme più diverse. Il suo linguaggio è fluido e scarnificato, ma unilaterale; le forme di questa lingua vanno dall 'acustica all'elettrica, mentre non si può fare del buon rock tenendo presenti la musica classica, sinfonica, o tonale ... in questa dimensione il musicista ha bisogno di un appiglio pratico, lo trova, ma resta un musicante, resta fermò alla pura sensualizzazione delle sue idee e nulla più: ben altro avviene quando l'artista scioglie in linee larghe una scrittura minuta, quando è nelle sue mani il mezzo tecnico, e non estetico, per esprimere in insieme di sensazioni aperto e libero, esteso sull'intero panorama dell'espressione musicale. La grande contraddizione di quanto fin qui detto (male) è fohn Cale, conosciuto tra il sontuoso melodizzare sue immagini· poetiche strane ("PARIS 1919"), suonare tra le chimiche nero decorate dei Velvet Underground e poi risolversi nelle pagine nobili e divertenti di "ACADEMY IN PERIL": cos'è dunque il Cale, •un teatrante ottocentesco, un italiano pieno di sentimenti, un "vellLto sotterraneo" acido ed incontrollato, musica semplice, còmplessa, estetica, naturale? Probl~matiche contraddittmie che, attualmente, vanno rudemente risolvendosi a favore del • rock, 1 e per ora ne siamo immensamehte felici, musica espressa in c~mune con Nico, Kevin Ayers, Eno, Robert Wyatt... LE GENERAZIONI INGOZZATE E STROZZATE Sono figure simboliche, calde, umane e ad un tempo puzzano di una morte psicok,gica sottile ed inquietante... sembra quasi che la stJria dell'ultimo rock, dal '70 in poi, le abbia volute strozzare silentiosamente, tra i morbidi tapJ>d.tidel businness americano, e rallucinata ricerca di una materia. sonora che fosse libera, non ghettjzzata... sciarpe di velluto sapientemente avvoltolate dal sistema hanno loro tolto la. giusta voce per molto tempo... ma Wyatt, tra tutti, canta con una forza metafisica e purissima, Nico eice dalla sua catacomba ed innalza a Jim Morrison un'immort~le "THE END", Kevin, attrayerso esperienze autonome, spinge i suoi singhiozzi sino alla chiarezza ed i suoi lavori sono 'leggibili e pazzi, godibili e slegati finalihente ... Eno non dimentica Cage,e la California, ma dimenti: ca i Roxy Music ed il loro dandysmo decadente, le vene elet17

trifìcate da generatori e paillettes per "preludi e sintetizzatori" ... la sua "BABY'S ON FIRE" è stupenda ... Cale sta a guardare con aria ironicamente ingenua, ma è in lui, credo, che si compia maggiormente il dramma, perché il sistema lo colpisce con più forza e il cappio si è stretto con maggiore velocità: in lui vediamo la morte dell'altro rock, nella sua musica sconvolgente e fredda, nel soggetto ora esotista ora chiaramente occidentale del suo tipo musicale scorgiamo la fine del sogno... il rock muore con Jim Murrison, Dio non voglia sia così. ma se ne può avere una gran paura ... ed il nome di Jim muove sperò le fila della rinascita silenziosa e buttata in faccia al sistema... Jim Morrison non era i DOORS, Jim Morrison era realtà, forza di penetrazione musicale attraverso vie sessuali e mentali, era percezione libera e suo simbolo ritmico, era l'incarnazione della dimensione fisica del rock, con le ombre. le paure. le esperienze nero pallide eh 'esso comp0rta... e questo, con lui, non è morto, ma raccolto per strada da 'un nucleo di straccioni. pazzi ed infidi che il sistema si sforza di far rientrare nei margini di un discors<>beli<>e pulito. di controllarli senza sforzi ... ma l,>- ro, gli emarginati, vogliono essere tali, pur nella vita estenuata, pur nell'abbandono al morbido incanto delle pillole. pur nella consapevolezza del cedimento di una generazione ... John Cale è l'espressione tecnica ed umana di quanto va accadendo in questi anni alla gente del rock vero: chi aveva disturbato il sonno dei buoni benpensanti è stato messo a tacere, o su di lui s'è fatto un pesante silenzio naturale, i sopravvissuti e specialmente gli inglesi sono apparizioni scheletriche, improvvise luci ed ombre che si stendono sulla vita del rock "decadente'· (accidenti) e il ghetto si allarga a dismisura, sino alle provocazioni degli Sparks, sino ai nuovi deliri uterini per ritmi che della spiritualità elettrica delle origini non hanno un bel niente. Proviamo un po' a pensare come sarebbe il rock attuale senza il retaggio dei Velvet: una boutade motoria e basta. semplice piacevolezza. musica salottiera ... purtroppo siamo vicini all'estetica per l'estetica e così John Cale resta sotto, sott0 la tonalità appena un po' d'avanguardia, sotto il respiro meno pesante e di cattivo gusto di un Elton John o dei Genesis, soth) un gioco lineare e non difficile che per anni il suo eclettismo ha espresso con com18 CALE 1. Cale insieme a Nico, Eno e K. Ayers in un recente concerto londinese. piutezza, con forza nel toccare dove si voleva, con dolcezza nell'avvolgere l'arte fine ed elegante della "nobiltà acida": musica socialmente e di che interesse? L'ACCADEMIA SVENTRATA Attraverso tre albums e partecipazioni laterali Cale ha contrapposto una vitalità aspra e priva di falsificazioni ai torbidi fantasmi dell'ultimo espressionismo angloamericano. Sparks e consimili sono fantasmi ... e puzzano di nazism0 ... eppure la musica caleiana non è mai uscita allo scoperto. a scontrarsi di 0 forza con questa disumanizzazione sistematica e programmata, a fare a calci per la strada c0n i giovani adorat,>ri del "bel canto'' attuale, ed il suo modo di dire le cose ha colpito soprattutto le mura dell'accademia classica e putrescente, del suono antico e vero da riscoprire. magari per mezzo della libertà che l'avanguardia elergisce nel contatto quotidiano con la vita dell'artista... così le tre 0pere principali giungono sulle sogl°ie della nuova armonia. pur senza superarle, bussano furiosamente alla loro porta, menano gran botte, frutto di un'apparente pazzia ma... Cale non è iconoclasta né completamente pazzo: musicista innanzitutto, suona le corde in modo inimitabile, sa rendere elettrico il marmo. e fili d'invenzione gli scorrono nel corpo dalle vene più sottili dell'elettroacustica, alle dita larghe dell'armonia tradizionale ... Cale ha colpito dove la musica si era fatta dotta e borghese, lungo le innervl\ture di una struttura melodica che era proibita ai giovani, tra le righe di un classico sinfonico tabù e monolite. "ACADEMY IN PERIL" è la sua opera di maggior respiro e di migliore intensità di contenuti: Andy Warhol sposa l'immagine poetica indicata da Stravinsky ed il risultato sono composizioni pseudo-tutto, semi-sconvolte, come "BRAHMS" e "THE PHILOSOPHER", come "KING HARRY" e "DAYS OF STEAM", mentre l'intuizione della nuova, drammatica armonia, nasce di spontaneità e vigore, tra "ACADEMY IN PERIL" e la montagna di rumori svincolati, di distensioni illegali, di non costrizioni, in quel perfido "JOHN MILTON" che è tutto il temperamente classico del Cale post Velvet. Il musicista compositore di "PARIS 1919" è l'uomh, innanzitutto, tradito dallo spirito francese e vellutato dei suoi sogni lirici: nasce un album stupndo e privo di ogni alienazione, lo stile è peiano e semplice, piccole cellule sonore intrecciate alla perfezione e con estrema eleganza ... e poi i testi, la cui trama ti coinvolge e ti porta in "HALF PAST FRANCE" ed in "ANDALUSIA" con lucidità e purezza cristallina. E' quanto ritroviamo in ogni suo lavorn "solo" e nel tocco per onale delle sue partecipazioni speciali: mai frettolosità ud approssimazione, una visione completa della musica da scoprire, tra Terry Riley e Nico, tra "Church of Antrax" e l'ultimissimo "JUNE '74", mondo angloamericano a morire ... miti a morire, ma non morte né decadenza ... piuttosto il rito perpetuo del rock delle metamorfosi, del passato e del futuro. M.B.

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