Tempo d'estate, di festival, di nuovi pro_getti. Ma quest'anno bisognerà far sì che sia anche tempo di ripensamenti globali. Se infatti in questa stagione l'avanguardia ha dimostrato di avere più fiato di quanto non si pensasse, se l'interesse del pubblico è notevolmente cresciuto, non per questo sono stati risolti i nodi fo ndamentali della crisi che mfaaccia il nuovo teatro, oggi più che mai. Crisi economica da un lato e politica dall'altro che rischia di spazzar via anche i gruppi che sembrano più consolidati. Per spiegare da che cosa derivano previsioni così fosche, c onviene tornare indietro nel tempo e spostarci al convegno organizzato dalla Rassegna fiorentina dei Teatri Stabili, che si è tenuto ai primi di maggio. Il titolo era: « Un teatro pubblico per gli anni '80 », cioè in parole povere: « Che dobbiamo fare dei Teatri Stabili, a che cosa servon o e come li vorremmo posto che li vogliamo». Inutile dire che il convegno è stato interessantissimo (anche per quello che si diceva ne i corridoi e nei bar dove, complici due o tre bicchieri, la dipJomazia de i relatori si scioglieva in più chiare orazioni). Evidentemente l'avanguardia non era ufficialmente di scen a, ma se n'è molto parlato e non solo perché la relazione dell'autore e cri tico Ubaldo Sod~.u (quello di Ah... Charlot) ha messo il dito sulla piaga dei rapporti tra Teatri Stabili e teatro di sperimentazione, ma an che perché parlare dei teatri a gestione pubblica, cercando di comprend erne e limitarne le funzioni, vuol dire automaticamente chiedersi se gli Stabili devono o no inserire nei loro cartelloni o comunque stanzia re dei fondi per il teatro d'avanguardia. • La risposta a questo interrogativo è stata negativa: gli Sta bili devono limitarsi alla produzione e alla diffusione di spettacoli, la sciando alla Regione e agli Enti locali il compito di gestire le altre attiv ità come il « L'uomo di Babilonia» di Vasilicò inaugurerà la prima rassegna di Teatro Sperimentale a Pescara. Se la « scuola romana » dovesse aspettare che la Regione laziale inco- minci a funzionare, farebbero tutti meglio a cambiar mes tiere. La situazione, ammettiamolo non è rosea. Il prossimo ann o gli Stabili saranno ben lieti di scaricarsi di dosso il peso costituito d al teatro di sperimentazione e, in attesa della Regione, ricominceranno i pellegrinaggi in cerca di sovvenzioni, i giri B, C, D, E, F ... orga nizzati dall'ETI e chi più ne ha più ne metta. Tutte cose, intendi amoci, che non erano mai finite (anche perché per un gruppo che si afferma ce ne sono oramai. tre che ne· nascono), ma a cui il legame con gli Stabili era stato comunque un palliativo anche se temporaneo e tr oppo facile. • Che fare? Nessun profeta di sventure può essere credibile se non ha in tasca qualche- soluzione e anch'io ho i miei suggerimen ti da dare. Per prima cosa credo sia fondamentale che i gruppi teat rali d'avanguardia cerchino a più livelli un punto di incontro che pe rmetta loro di federarsi, di appoggiarsi l'un l'altro, di formulare a gran ..-oce richieste di comune interesse. E che la smettano una volta per tutte di riproporre all'interno di un teatro che si dice alternativo i rapporti tra compagnie che esistevano ai tempi della Duse, fatti di sgambetti e gelosie.
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