dite di Gong, Henry Cow, Carnei e Global Villaga Trucking Co. Passiamo sotto silenzio questi ultimi, fragili e stanchi epigoni della canzonetta, ed osserviamo pure con occhio critico i Carnei, che ricordano singolarmente i primi Deep Purple (quelli di «Hush» e «Book Of Taliesyn», non quelli di «Fireball, ..), e che non riescono ad evadere da una dimensione estremamente semplicistica e superficiale: ma per questo mancano le luci e le emozioni, a partire dalla facciata dedicata agli Henry Cow. Lontana dalla rigidità e dalla meticolosità del suo album, la formazione stupisce e coinvolge, offrendo venti minuti di musica totalmente improvvisata, a volte caotica e troppo cerebrale ma mal eccessivamente statica od involuta, in •una costante rigenerazione di temi ed idee tesa solo a cogliere un attimo di colore, a tramutare una nota in un vortice multiforme di situazioni, sottilissime vibrazioni. Suono teso e sofferto, una fuga pianistica dai toni disperati od un lento incalzare di proposte Insinuanti: forse l'unico canto possibiic a eh; così crudamente la disintegrazione della propria esistenza, la soffocante presenza di una metropoli tentacolare ed alienante. L'angolo dei Gong, registrato per metà a Sheffield e per me- ,à !'li festival di Tabarka, In Tu11;$ia, è a• contrario un'orgia gioiosa ed assurda, una costante atmosfera da circo con Daevid Allen Sacerdote Buffone e la danza di una miriade di frammenti déjà vu; ma una musica che sorprende per intima coerenza e lucidità espressiva. Didier Malherbe in grandissima forma, ed attimi quasi «swinganii» o viscerali contrappuntati da tonalità eteree, rarefatte, spaziali. dove l'elettronica gioca un ruolo essenziale, anche. se mai invadente. Rapide visioni di pinkfloyd ma soprattutto teatro, gioco, un contatto con il pubblico che vive in ogni nota ed in ogni provocazione, coro, idea. Senz'altro una delle più convincenti prove fornite dal gruppo, In assoluto: suono che si gode con vero piacere in ogni sfumatura, che sa divertire ma che non viene mai meno alla propria limpida, totale consapevolezza. Ottime !e incisioni, basso il prezzo: complessivamente. un lavoro decisamente interessante. Peccato solo che la limitata tiratura di esemplari renda piuttosto problematica la sua reperibilità, almeno nel territorio nazionale. Ma :a strada è quella giusta: sottrarre la musica al monopolio di sclerotici businessmen, restituirla definitivamente ai suoi autentici protagonisti. .. m.f. Dischi d'Importazione DOLLAR BRANO Anclent Africa (Japo) Dollar Brand appartiene a quella rara schiera di veri musicisti che restano fuori dalle cronache di tutti I giorni solo perché non ritenuti degni di considerazione dall'Industria della musica. Forse Brand non è un gigante In assoluto. ma certamente lo è se paragonato a tanti falsi eroi di oggi. Viene dal Sudafrica, che anni fa lasciò per ragioni evidentemente polltlche: è nero e ne è fiero. Ora va in giro per tutto Il mondo, seguendo le esperienze della vita legate soprattutto alla sua musica. Una musica davvero forte e affascinante, se ha potuto colpire indelebilmente non molto tempo fa uomini come Don Cherry, Gato Barbieri o Elvln Jones, che vollero collaborare con lui con • entusiasmo e ammirazione. Brandi suona principalmente Il pianoforte, e lo suona con uno stile tutto suo, dinamico e percusslvo, chiaramente ispirato al modo di percuotere I tamburi In Africa. Al proprio paese e al ricordi d'infanzia sono Ispirate le sue composizioni, semplici e belle, come certi canti tribali di laggiù (anche se sono ugualmente presenti tracce evidenti di tutta la sua formazione musicale, dalla classica europea al jazz neroamerlcano). Si esibisce normalmente da solo, suonando anche di tanto In tanto Il flauto di legno, Il sax soprano, le piccole percussioni, ecc. Recentemente è venuto In tour In Europa con la sua prima· (In tanti anni di attività) formazione di una certa consistenza numer-lca. L'Afrfcan Space Program si è esibito pure In ltalla, ma nessuno se n'è accorto, data la assoluta mancanza di promozione. Negli ultimi tempi cominciano ançhe a circolare un po' di dischi di Brand, ma sono tutti pubblicati da eti• chette piccole la cui distribuzione è difficile ed avventurosa. Questo « Anclent Africa , è ·l'ultimo In ordine di uscita ed è Il secondo pubblicato dalla Japo, una sottomarca della ECM di Monaco. Contie• ne una lunga medley di composizioni brandlane offerta senza pausa a·lcuna, tratta da un'esibizione pubblica al Jazz -hus Montmartre di Copenhagen nel giugno del 1972. La resa acustica è eccellente e la musica costantemente piena di feeling e di calore, con il piano instancabile di Dollar e perfino con una incantevole sequenza finale al flauto. Se vi piace la musica senza aggettivi, cercatevi senza altro questo disco. Se poi amate In particolare il « plano-solo,, avete una ragione in più per trovarlo: che diamine non esistono solo i Corea e I Jarrett! Dischi dall'estero K-ln Ayers: g.pe. CONFESSIONS OF DOCTOR DREAM (laland) Alla sua quinta esperienza, dopo l'adorabile pasticcio di Bananamour, Kevln Ayers conferma la sua fama di artista venuto a metà, di creatore Intimamente ambiguo. A sette anni dagli inizi con i meravigliosi Soft Machine «dada,, infatti, Ayers non è ancora riuscito a darsi un senso, una dirittura precisa. una solida coerenza: e dunque I suoi dischi vivono d'Incertezza, di tremori, di esaltazioni legate a crolll impietosi, con la buffoneria mischiata al genio e cento desideri che Il più del- .Je·volte non riescono ad avverarsi. Confesalona of Doctor Dream, il disco in questione, sottolinea la fragllltà di cui si è appena dlsoorso, con la pericolosa aggravante di una ambigua voluta: perché se nel precedenti albums Il discorso era molle o pesante per l'Incapacità dell'uomo di dar corpo ai propri segni, qui c'è invece il desiderio insano di lasciarsi andare al futile, al commerciale, al fatuo, sciupando nella banalità l'intimo fuoco ispirativo. Mancanza di coraggio, dunque: e la seconda facciata per intero lo dimostra, con la girandola delle amene stupidità che « rendono celebri ,. dal R&B alla melodia leggera, senza che nemmeno traspaia l'umorismo al vetriolo che in simill casi salva in corner tanti discorsi. Tutt'altro clima sulla facciata, dove ascoltiamo l'Ayers lucido e spettinato dei R10mentl «giusti,, l'uomo del Cabaret Voltaire, l'amante del collage e dell'happening, Il creatore di dolcissimi Lps « diversi , come Shootlng at The Moon o Joy of a Toy. Nella lunga suite che Intitola Il disco, In realtà, Kevin ha modo di mostrare la maturità raggiunta, con le vecchie lenzuola dada che finalmente coprono qualcosa di solido; l'ispirazione è Intricata ma scintillante, Il quadro cambia ad ogni respiro, e certi .sbeffeggiamenti vocali alla Wyatt, certi Interventi con un occhio ·al Caravan e uno ai Soft Machine hanno una loro misteriosa bellezz.a, un'efficacia che sa ben andare oltre Il logico choc. Peccato solo che Il consumismo rovini ogni cosa, che Il disco nella sua totalità sia cosl squilibrato e Insulso: sono cinque anni almeno che attendiamo di ascoltare un grande Lp di Kevln Ayers, e questa poteva essere davero •1a volta buona. r.b. 39
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