Muzak - anno II - n.08 - giugno 1974

so e la vita tra J'.ipocrisìa dei genitori e lunghe partite a flipper, ha segni chiari d'artificio; evidenti limiti da basso feuilleton. Ma quel che conta è il principio, lo scardinamento di tanti luoghi comuni; il pop diventa «serio» e riverito anche grazie a calderoni come questi, a opere astute/efficaci che fanno il giro delle stra• de e delle menti giuste. La musica stessa non sfugge a queste regole. Colorata, piena di luce, fatta girare con abilità tra iii duro e il soffice, riesce a piacere grazie a sottili inganni, a volteggi furbissimi tra fibre e cervello. Non c'è il fuoco e la grinta un giorno ammirati, non c'è l'aggressione al corpo e alle sue appendici: tutto è sfumato, invece, con temi larghi un po' leggeri e un po' retorici (si pensi all'Ouverture), e qualche fi. lo di fumo soltanto dell'an• tica tempesta (Pun Bali Wizard, Acid Queen, i brani migliori). I Who tentennano, il complesso sforna «ottimi prodotti » senza trovare la devastante sincerità di un tempo: ed è tempo di decidersi, anche se la critica impazzisce e manda grida di gioia, anche se il consumo non ha problemi e qualunque « materiale Who» gli torna comodo. Violenza o « nuovi minuetti », rabbia in corpo o l'ibrida ispirazione che Townshend va masticando da un paio d'anni? La decisione arriva con gli ultimi mesi del '60, la risposta giunge in piena crisi pop. Ritorno al rock, riferimento preciso ai discorsi di My Generation, alle linee scarne e dritte del « calore in musica »: Tommy resterà discorso marginale, tema da riafferrare solo molto più in là, quando la jungla del suono fisico sarà stata esplorata completamente. Who Live at Leeds, l'addio del complesso ai favdlosi Sixties, è la pietra angolare di questa riconversione al passato. E' la trascrizione di un concerto come tanti, la stesura pura e semplice di 40 minuti di vero suono Who: e c'è il ritmo e il sangue grondante, c'è Townshend con gemiti e ululati, c'è John Entwhsitle che 12 scuote mezzo mondo bassistico, c'è il caos e My Generation lunga 14 minuti, e Summertime Blues, e insomma tutto l'armamenta• rio magico/nevrotico del rock e deHa musica fottuta. Con dischi come questi (e come quello che verrà dopo) il complesso serve la causa dei pop molto meglio che con ibridi collage sul tipo di Tommy, o di Who Sell Out: perché anziché lavorare sulle scorze e sulle apparenze, anziché dipingere dolci utopìe (l'opera rock?), i Who filano dritti al cuore della vicenda, operando sulla musica, sui contenuti, sulle vibrazioni, codificando tutto un certo modo di vedere il pop, di suonare con rabbia e cervello. Who's Next, un anno dopo (è i,! 1971), sottolinea ancor più chiaramente le parole scritte. Lo stile è ripulito, i margini grossi sono levigati: e quel che ·accade è uno spettacdlo pirotecnico, uno stupendo gioco di prestigio, dove una base strumentale ormai caduta in disuso (voce . basso . chitarra • batteria) sa afferrare emozioni inaudite. Nell'epoca dei primi Slade, dei Deep Purple « in rock », delle miserabili sconcezze etichettate « dark sound », i Who sono gli unici a inseguire onestamente il « suono fisico »; senza trucchi, senza abbagli, senza istrionismo spacciato per genialità. La loro via è dritta e semplicissima, ma l'energìa sprigionata è immensa, oltre ogni « orchestrazione » e voglia di Moog: e i pezzi migliori, Baba O' Riley (un omaggio a Terry ill maestro) e Won't Get Gooled Again, valgono da soli interi LPs degli altri mestieranti del mondo rock, nel gioco eterno di sincopi al basso e alla chitarra. Ma dopo Who's Next, dopo quel fuoco tanto esaltante in epoche di crisi, che ne è dei signori Who, che ne è dei loro problemi e della musica dura come accia-io? Il complesso non incide per due anni, si ferma e lascia correre lentamente anche le esibizioni dal vivo (sempre eccitanti, sempre oneste e travolgenti): e volano gli avvenimenti più dispa• rati, da una bruttissima edizione « sinfonica» di Tommy, rappresentata in teatro e incisa su disco, a una compilazione « ufficiale » (Meaty Beaty Big&Bouncy), che raccoglie vecchi cimeli del tempo d'oro e spezzoni inediti, alla marea di boot• legs che li vede protagonisti (ecceNente il Radio London della Godzilla ). Ma è soprattutto nelle opere solistiche che i componenti consumano il tempo, dal '71 al '73. John Entwhistle è il più prolifico, siglando tre albums (Smash Your Head Again-st The Wall, Whistle Rhymes e Rigor Mortis Sets In con un comp'IP.sso personale) che dorano di rock e di anni 'SO, come vuole la logica della nostalgia e del « divertimen• to »? Brutte cose, che sprecano il gran talento dell'ar• tista: e mediocri egualmente sono le parole spese da Roger Daltrey, il cantante, in un Lp solistico che scivola piano nell'insulsaggine, nell'eterno dilemma tra rock e « canzone be1la », tra Rod Stewart e Paul Mc Cartney. Solo Pete Townshend, il leader, riesce a non sprecare il suo tempo. In quelle stagioni senza Who, infatti, egli affina il suo stile, scopre torrenti di musica nuova, si innamora di Riley e della filosofia orientale, sulle orme di Meher Baba; e gli albums che lo vedono protagonista (Instant Party, una raccolta a tiratura limitata, e il Who Carne First « ufficiale ,.) risentono di questo sforzo creativo, di questa ricerca tra il quotidiano e lo impossibile che fa volare il suono oltre ogni monotonìa. Sempre il ritmo come verbo principale, sempre il ca-~ !ore come fine e l'orgasmo nervoso come sogno: ma per arrivarvi, che spiegamento di fantasìa e di guizzi strumentali, che dimostrazione di forza e di ecci• tante saggezza! Ma alla fine tutto si ricom• pone, e il 1973 del pop boccheggiante rivede i Who con luce e sorrisi, ancora sulla scena, ancora su disco, come ai tempi dei tempi e sui « libri di storia ,._ Eccitanti serate a Londra e dintorni fanno respirare anco- •ra aria di leggenda, con la giostra dei Grandi Ricordi, My Generation, Happy Jack, Tommy: e Quadrophenia, il doppio Lp che il complesso allestisce e manda in or• bita nel novembre del 1973, sigilla il « .ritorno favoloso », con mille discorsi che si riannodano e si compiono, e il fuoco strumentale, la delizia ritmica, l'opera rock definitivamente. Siamo sutle stesse terre di Tommy, in quel reame di orchestrazione/ durezza che già avevamo visto come momento debole e un po' ambiguo, pur se importante. ~n effetti, anche qui, la vogha di parole smisurate romp~ gli argini e spezza. l'equ1!J: brio, facendo morire Ofi:Dl cosa nella troppa superbia: i fiati si sprecano, il Moog corre da una parte all'altra del disco, uccidendo la scarna verità Who, il sibilare di pochi essenz'ia!li concetti. Ma pure, in fondo al cilin• dro della esagerazione, c'è qualcosa che risalta e affa. scina, c'è il segno confortante che i Who sono vivi ed estasianti: e in realtà il ritmo è succoso e bello, la chitarra freme nell"insolenza il basso inventa giochi mai ascoltati e Doctor Jimmy, Love Reign O'er ~e e 5.15 sono frammenti d1 lucida ispirazione degni di stare accanto al4e cose più belle di tutta la storia. Insomma, della struttura « teatrale » della vicenda che si snoda lungo il disco (ricordi di epoche Mods, in: chini a Londra 1965 e a1 primi tempi del compiesso) ci importa poco o mente: quello che c1 affascina, u_na volta di più, è la capacità di creare energìa e calore, l'abilità magica nel tirar fuori dal nulla il suono, il clima E' questo il segreto Who, la formula magica della loro bellezza: gli strumenti sono liberi e poi s'incontrano in un mondo a parte, in una dimensione che appartiene al complesso_ e a lui soltanto. Sound, dicevamo una volta: il quid misterioso e obliquo che separa un art'ista da un altro, eh~ rende subito evidenti lo stI· le, la musica proposti. Cose che appartengono solo alla gente « giusta », che cercheremmo invano nella processione meschina dei gior• ni nostri· ma i Who sono diversi, i' Who sono . grandi e irraggiungibili, i Wh~ tengono uniti dieci anni d1 musica nuova con il filo strano dell'eccitazione e del sudore. Il rock rivistato trova in loro gli ultimi tiranni, i signori estremi, i tecnici del tramonto inevitabile; dopo ci sarà solo il freddo, il vuoto la morte espressiva, doP~ dovremo fingere !'ecci• tazione di fronte agli inutili buffoni dell'ha.rd. contem• poraneo. 'Riccardo Bertoncelli Foto: Roberto Masotti

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