TANGERINE DREAM Phaedra (Virgin) Finalmente spunta anche dalle nostre parti un disco dei mitici Tangerine Dream, il complesso di Edgar Froese che è sempre stato in terre di sogno e di improbabilità nella nostra vicenda musicale, legata a dischi di favola difficilmente rintr.acciabili. Phaedra è il loro quinto lavoro, una fatica dolce e tinteggiata che cerca di mettere fuoco e colori densi nell'infuso dello stile, solenne e immutabile sin dai tempi dell'esordio di Electronic Medltation: una creatura convincente e dagli occhi azzurri, qualche passo oltre le incertezze e le vacuità che gravavano il corpo del « sogno tangerino » in opere come Zeit, come Alpha Centauri, le uniche che bene o male avevamo in bocca. La musica è ampia, smisurata, con respiro pesante e capelli lunghissimi, come vuole il desiderio d'infinito di tutti i musicanti tedeschi: e non ci sono parti vocali, la tonalità è sfiorata il più delle volte. in un contatto celeste con il Libero e l'Inafferrabile che fa capo a un organo, a un mellotron, a un sintetizzatore, agli arnesi magici in grado di creare mondi interi e dimensioni imprendibili. Il risultato è avvincente se non terribile, dolce se non sconvolgente: e c'è almeno il flusso di libere vibrazioni, il salire al cervello di immagini e tinte inusitati, via cento miglia dalle insulsaggini cui ci ha abituati la ultima generazione pop. Soprattutto, ogni cosa è compatta e raffermata, il suono è nodoso e, con radici lunghe: e si evita la sterile magrezza di tante opere passate, quel rincorrersi di piccoli rumori e di esili vibrazioni che uccideva il cuore al complesso. Phaedra. la lunga suite iniziale, è il momento cruciale di questa maturità raggiunta, il cardine del nuovo discorso del group: anche se in fondo non siamo nel reame dell' «assolutamente bello•. e certe strizzate d'occhio alla tonalità, certe descrizioni rumoristiche ovvie e un uso rigido del basso e del sintetizzatore non depongono a favore della immaginazione di Froese e degli altri. Con le stesse esaltazioni e i medesimi limiti Mysterious Semblance e Movements of a Visionary, sull'altra facciata: mentre Sequent C gioca benissimo le sue carte d'informalità, gorgheggiando per cinque minuti in una festa di umori pazzi, di ritagli di visione. di piccole idee senza schema che vanno e vengono e poi si condensano assieme. Un cenno doveroso alla parte grafica del solito e onnipresente Froese. un girotondo di ombre e di azzurri impossibili che ben si accoppia alla musica e al suo inna- ' morarnento di cielo. r.b. INCREDIBLE STRING BAND Hard Rope & Silken Twine (lsland) Il mondo dell'Incredibile String Band non è stato mai particolarmente chiaro o ben delineato. Per quanto possano aver influito i numerosi cambi di formazione succedutisi all'interno del gruppo, è la concezione dei due maggiori responsabili, Mike Heron e Robin Williamson (Malcom Le Maistre lo considero meno rilevante). ad essere stata sempre ambigua. Alla base dei loro lavori c'è sempre stato l'esoterismo. che è uno dei caposaldi di quella contorta pseudo-dottrina, di cui essi sono fedeli seguaci, la scientologia, Così ascoltandoli, possiamo trovare le atmosfere e gli umori più disparati, dalla musica orientale al folklore anglosassone e di varia provenienza, fino addirittura a certo cabaret di stampa antiquato. Sicuramente non si tratta di musicisti faciloni e da strapazzo (Williamson, ad esempio, possiede parecchie doti mimiche e teatrali tutt'altro che disprezzabili...), ma quella che è sempre mancata nella loro musica-teatro è la chiarezza. l'unità d'intenti, la sintesi. Il loro è un inventario di mille intenzioni e parodie di linguaggi differenti, alcune volte più centrati, altre meno, ma ciò che fa difetto costantemente è l'intima necessità, la coscienza positiva di ciò che essi fanno. La bravura, l'estro, le invenzioni sono un gioco fine a se stesso. C'è un indubbio ingegno, ma alla resa dei conti si dimostra sterile e inutilmente virtuosistico. Era fatale quindi, che dopo le prime e più soddisfacenti prove registrate (allora si poteva sperare in una futura chiarificazione e maturazione). del tipo di « u... o di « Liquid Acrobat As Regards The Air » (con la leggiadra Licorice), la confusione aumentasse e divenisse in pratica i11voluzionc e, dispersione elevate all'ennesima potenza. Così, dopo il bruttissimo « No Ruinous Feud », ecco questo ultimo « Hard Rope & Silken Twine », in cui è all'opera l'ultimissima e recente formazione dell'incredibile. Le cose vanno forse un po' meglio dell'album precedente, ma certamente la parabola discendente continua in modo inesorabile. L'Incredibile ha avuto sempre un pubblico fedele. ma sicuramente limitato numericamente. Ora probabilmente cerca di uscire da tali ristrettezze per conquistarsi più cospicue simpatie, introducendo elementi più elettrici e Heavyrock. Ma manca la convinzione, e certi tardivi « recuperi» lasciano il tempo che trovano, accrescendo la confusione in un discorso così particolaro com'è quello dell'Incredibile. Una suite come « lthcos » (che occupa la intera seconda facciata del LP) è solo inconcludente e noiosa. purtroppa. g.pe. CHICAGO Seven (doppio disco) (Columbia) I Chicago respirano forte. boccheggiano, tirando gran fendenti di musica alla ricerca di quella lucidità che sembra esser loro sfuggita di mano sin dai tempi del Third, l'ultima opera deliziosa e chiara di Walter Parazaider e compagni. Questo Seven, doppio come vuole l'antica « matriée » del complesso, cerca di uscire dall'impasse, viaggiando sul filo teso ormai consueto del bandismo e della eccitazione spicciola: e ci riesce, ma solo in parte. con dubbi e scrolloni che ci assalgono da ogni dove. Insomma, il punto centrale è cosa chiedere alla musica: e se la domanda è scossa elettrica, eccitazione frettolosa. divertimento innocente e zuccherino allora i Chicago vanno benissimo, con i loro fiati simmetrici e rilassanti e tutto un impasto « jazz ma non troppo». sul modello collaudatissimo di tante formazioni easy, Ma forse la promessa del complesso non era questa: e non fatichiamo a ricordarci che i primi albums correvano meglio,· che le emozioni gocciolavano e andavano via spedite, che tutto, insomma. si muoveva con più grazia e solidità, anche se l'area limitante era quella del « suono fisico». Oggi stiamo un po' stretti nella stanza del complesso: e le «invenzioni» da bigband, l'annodarsi perfetto e puntuale di fiati e chitarre, il taglio morbido delle canzoni non :i accontentano sino in fondo, lasciando in bocca l'amaro di qualcosa che avrebbe potuto accadere e non si è verificato. Ma lasciamo perdere i problemi ed i rimorsi, e addentriamoci nella bravura un po' fredda e automatica dei Chicago, nel loro mondo fatto di songs vellutate, sempre più lunghe e sempre più ricamate. Le prime due facciate sembrano le migliori, con una varietà di temi che fa scappare il disco dal pericolo della monotonia: così Devil's Street si divincola tra chitarra e assolo batteristico, Arie regala scintille di «classico» stile, Happy Man tira i peli a un certo Sudamerica da cartolina, mentre Prelude to Arie, il pezzo più valido di tutto il LP, gioca sui contrasto tra l'esile flauto di Walter Parazaider e il mellotron «visionario» di Robert Lamm. Più molli e senza nerbo gli altri due lati (il brano più colorato è Mononuc!eosis). dove lo stile caro al complesso è snocciolato senza molta fantasia, negli sche_ mi rigidissimi di fiàti - tastiere - chitarra: la riprova che il complesso ancora non si è ritrovato completamente chiuso troppe volte a chiave nella stanza della propria scintillante abilità. r.b. PREM. FORNERIA MARCONI « L'isola di niente » (Numero Uno) « Italia mia benché sparlar sia indarno»... io ci provo. Ovviamente a sparlare, nella speranza forse vana che possa servire a qualcosa. Così le novelle sono tristi. Diceva quel tale: « 11 meglio del pop all'italiana, hanno sfondato in Inghilterra e l'America è ormai loro: sono il nostro vanto». Lusinghe patriottarde, provinciale spirito dannunziano: il meglio del pop casareccio? Il simbolo di « o I t re l'underground»? Santi Numi! qualcuno sta dando di testa. Non esa_- geriamo, la premiata è un buon 61
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