Muzak - anno I - n.07 - maggio 1974

ARETHA FRANKLIN Let Me In Your Life. (Atlantic) Questo LP è esemplare per misurare i rapporti che al giorno d'oggi s'instaurano correntemente tra un'artista di successo e l'industria dello spettacolo, secondo una logica consumistica e livellatrice che Jende a spegnere e ad anne are qualsiasi creatività umana. Aretha la conosciamo tutti, sappiamo della sua straordinaria classe, della sua generosità d'interprete, della immensa grinta, del prodigioso feeling, dell'inarrestabile energia ch'ella possiede, degna figlia della migliore tradizione della musica afroamericana. Chi l'ha potuta ascoltare dal vivo in qualche concerto (o, almeno, in dischi-live famosi, come « Aretha in Paris » o « At Fillmore West») sarà rimasto sicuramente stupito dal suo inimitabile canto, intriso del più nero Soul, che cento imitatrici di pelle bianca non sono riuscite nemmeno a scalfire. Ebbene Aretha è da tempo un nome di successo, di quelli da Hit-Parade: ogni suo LP è un a~fare quasi sicuro, che interessa un pubblico vasto e differenziato. Ma ogni successo ha bisogno di essere rinverdito, rimpolpato ogni tanto. Anche per conquistarsi quella fetta di pubblico più giovane, che ài lei sa poco. Allora si decide di aggiornare anzitutto il personaggio dal punto di vista estetico. Si prende la Franklin, le si toglie quella 60 VZ//Jr!J() I genuina aria di matrona nera e, con l'aiuto c., estetisti e parrucchieri alla moda, la si trasforma in una sottile e smilza signora borghese, rossa di capelli, impellicciata ed ingioiellata, alquanto patetica e poco credibile. Poi la si porta in s\udio, si chiamano per accompagnarla fior di musicisti (qui i nomi di fama si sprecano, dal bassista Stanley Clarke al pianista-arrangiatore Eumir Deodata, dal tastierista Donny Hathway al batterista Bernard Purdie, ecc. ecc.). diecine di coristi, per finire con la scelta degli arrangiatori, rigorosamente impostata sui migliori specialisti del genere « ridondante • hollywoodiano». Le canzoni possono essere di varia provenienza, note e meno note, di Aretha stessa o di altri, non importa. Infine si fa cantare la Star. Nella maggioranza dei casi l'artista è spacciato, tanta è la macchinosità e l'artificiosità del background in cui avviene l'atto artistico. Nel caso di questo ultimo album di Aretha, malgrado la zavorra di contorno sia tanta e dettata dal più bieco conformismo, lei, la Franklin riesce a gridare più forte e a far dimenticare spesso la sciocca opera dell'industria. In pezzi come « Every Natural Thing », « Let Me In Your Life », « Until You Come Back To Mè » e « Eight Days On The Road » le splendide doti di Arethet. intatte e più vive che mai, riescono ad avere ragione anche della melassa che le è stata costruita attorno. Ma un tale miracolo, purtroppo, rimane un'eccezione che difficilmente uno può ripetere: allora, attenta Aretha! Sei un'artista troppo grande per lasciarti schiacciare dalla implacabile macchina del dio dollaro. g.pe. PAOLO PIETRANGELI Karlmarxstrasse (I Dischi del Sole) Varrebbe la pena di camparlo anche solo per la copertina: il divertentissimo disegno di Chiappori (quello di « Up il sovversivo» e del « Belpaese ») dà una idea precisa del contenuto del disco. Lasciando ad altri il compito di esaltare l'arte di Chiappori, noi ci limitiamo ad esaltare le canzoni di Pietrangeli. Ci troviamo di fronte a qualcosa di diverso dal solito folksinger a cui ci hanno abituato, qualcosa che non ha nulla a che vedere con gli sdolcinamenti acustici, le fisarmoniche casadeiane o le instantabili imitazioni del buon Dylan. Niente dei banali cliché secondo i quali il cantante popolare deve essere questo o quest'altro: niente qualunquistico miele campagnolo o pretenzioso e trionfalistico impegno tipo • lotta • lotta - lotta ». Pietrangeli è lontano, lontanissimo da tutto ciò, .è molto più avanti, e « sia ringraziato il dubbio perché / mai fa fermar / e ci costringe sempre tutto a ricambiar». I tempi di «Contessa» (chi non si ricorda I'« Internazionale del '68 », « Compagni dai campi e dalle officine») sono finiti ed è ora di abbattere questa identificazione PietrangeliContessa non più vera. « Karlmarxstrasse » segna il cammino fatto in questi ultimi tempi da Paolo Pietrangeli che, se perde in entusiasmo a « Mio caro padrone domani .ti sparo», acquista in poesia. Non c'è più l'inno, il canto di massa, ci sono delle canzoni molto più personali: dal sogno alla disillusione, dalla rabbia all'amore, dalla sconfitta alla speranza. E la musica è sempre la «sua». inconfondibile e unica. Da una parte piena di ironia e di divertimento cabarettistico, dall'altra carica di poesia e di intimità. Forse preferiamo il Pietrangeli « serio» (quelol di « Fermi in mezzo alla strada», oppure di «Suicidio», o di « La Comune non morrà»). per quanto tutti i momenti del i Petrangeli « scherzo- •so e ironico» siano veramente divertenti e unici nella loro forza espressiva. Da sottolineare la particolare cura dedicata in questo disco agli arrangiamenti che mettono· in risalto lo spirito veramente popolare e l'originalità della musica e della voce di Pietrangeli: certi modi bandistici sottolineati dal trombone, l'ironia leggera del clarino, i richiami all'operetta e al Vaudeville portati dal pianforte, il violino lamentoso tra il « country» e lo «zingaresco». la seriosità del contrabbasso suonato con l'archetto, tutto concorre ad un « unicum » di meravigliosa intensità; ancora sogno e disillusione, realtà e speranza, KARL· MARXSTRASSE e l'Uomo Nuovo. p.m.r.

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