si vuole recuperare - la semplice sensibilità che sta all'origine di queste tradizioni: la dolcezza, la capacità di incantarsi e di commuoversi (« Drink Down The Monn », « Long-AGrowing »). ma anche il primitivo e divertente feeling di pretta marca anglosassone (« The Mooncoin Jig », « Two Magicians »). L'unico brano davvero inascoltabile è « To Know Him ls To Love Him », che si avvale della brillante (...) partecipazione di David Bowie nei panni di un sassofonista dagli occhi vitrei: il resto scorre sempre gradevolmente, ,anche perché manca (per fortuna ...) di qualsiasi pretenziosità. Certo che gli interrogativi relativi all'utilità ed alla pregnanza di un simile discorso restano: gli unici personaggi che apparivano in grado di sciogliere questo «storico» nodo, i Pentangle, sono già scomparsi, inghiottiti e sconfitti dalla propria stessa 'coerentissima lucidità, da affascinanti sogni forse impossibili ... TIM BUCKLEY « Starsailor » (Straight) m.f. Se esiste una musica che non può essere definita, erirata, rinchiusa nelle torri d vetrocemento del «genere» e del ghetto artistico, completamente in- . capace di prestarsi a qualsiasi recupero e mistificazione, questa appartiene a Tim Buckley: Tim angelo e diavo(o di lontane terre assolate di California, misconosciuto e splendido poeta di un'era che sta smarrendo inesorabilmente luce e chiarezza. creatività e gI0Ia. « Starsailor », finalmente disponibile anche da noi dopo quattro anni dalla sua pubblicazione - e quante cose sono accadute in questo tempo... ma non abbastanza per togliere una oncia di fascino all'uomo ... - rappresenta uno dei massimi vertici della produzione di Tim: l'attimo in cui non esiste più nu!la che valga la pena di perdere, e dove si può dunque partire senza remore o inibizioni alla ricerca di se stessi e di nuovi mondi, nuove percezioni, il segreto del suono e i mille particolari di ogni pensiero. L'elemento che colpisce più immediatamente è la voce (dimenticate Peter Hammill. per favore...). la quantità illimitata di toni ed emozioni che essa sa esprimere, in una continua trasfigurazione che la rende unico vero strumento, energia pura condensata e restituita sotto mille forme differenti ai nostri sensi. L'estensione vocale di Tim ha dell'incredibile. ed ancor più sorprendente è il modo in cui ogni elemento viene reso funzionale a questo carattere: il suono è a volte semplicissimo e ripetitivo (« Monterey ». « Jungle Fire »). trampolino per le più multicolori evoluzioni di chi canta; ma mostra sempre ed ovunque di avere assimilato un'enorme quantità di insegnamenti ed esperienze (« Down By The Borderline »). oltre ad una non indifferente capacità di sintesi, al coraggio di esplorare ancora più a fondo ogni spunto ed intuizione. Tutto l'album è impregnato di questa magìa: se si esclude « Song To The Siren », un dolcissimo quadro concepito secondo canoni melodici più definiti. il resto è improvvisazione e delirio, espressione in cui i confini tra sogno e realtà sembrano quanto mai labili e sfumati. Atmosfere spezzate e ricomposte, assurdo e reale: « Healing Festival». un brano che non ci si stanca mai di riascoltare, scoprendo ogni volta nuove sensazioni. nuovi suggerimenti; o « Starsailor », qualsiasi legame « ordinario» con le cose troncato, per lunghi minuti di viaggi di luce ... Ci sarebbero migliaia di elementi da esporre e da riflettere (e lo faremo in sede più appropriata): l'album. di certo, offre un'immagine quantomai matura e completa di Buckley innovatore e menestrello maledetto, un approccio forse traumatizzante ma stupendo. liberatorio, probabilmente irripetibile. Perché in seguito sono venuti i tempi delle ombre, « Greetings From L.A. » e «Sefronia ». e la sua anima si è reincarnata in lidi lontani ... m.f. YES Yes (Atlantic) Esce in Italia a distanza di quattro anni il primo album degli Yes, quello degli albori di questo fortunatissimo gruppo di superstar. E' l'unico disco che aveva preceduto la sola apparizione italiana. che risale giusto a quei tempi lontani e aveva rivelato al nostro pubblico le qualità di quei musicisti inglesi ancora sconosciuti e presentati come umile supporto del Black Widow. Il tempo a volte , ridimensiona così rapidamente mode e mitologie da sembrare persino dotato di molto umorismo. Forse è il caso di tener d'occhio ora il gruppo supporto degli Yes. Comunque questo disco. pur presentando la formazione originale. (molto diversa dall'attuale). ci presenta un gruppo votato al successo con delle caratteristiche peculiari di sound e di grinta, e soprattutto con idee chiare (e sostanzialmente conservatrici) fin dall'inizio. Che si tratti di un esordio lo dimostra la maggiore varietà di· repertorio, che include - accanto ai primi brani firmati dal gruppo - degli hits dei Beatles (« Every Little Thing ») e dei Birds ( « I See You »). Le parti cantate sono già fortemente tipicizzate, con la voce di Jon Anderson, fragile e indisponente. spesso sopravanzata dagli inconfondibili e impeccabili coretti. I temi un po' più ingenui ma oiacevoli, come d'altronde i testi dello stesso Anderson, preferibili a quelli attuali, intrisi di misticismo da supermarket. Gli altri componenti sono: il bassista Chris Squire (l'altro superstite rimasto con Jon negli Yes di oggi). il batterista Bill Bruford, che ha recente1T1ente trovato nei King Crinsom una maturità che qui ancora ricercava; Pete Banks e Tony Kaye, due buoni strumentisti ma privi di quella maschera di virtuosi che avrebbe fatto la fortuna dei loro sostituti, Steve Howe e Rick Wakeman. E' già un prodotto di rock piacevolmente professionale. ma meno confezionato e più fresco di altri lavori degli Yes. Salvo « Fragile», il risultato più maturo del grJppo, questo è ancora l'album che preferisco; e trovo in fondo comprensibile che molti fans se lo accaparrino per il suo « valore stori- • CO». p.d. JEFFERSON AIRPLANE Early Flight (Grunt) Dagli archivi della parsimoniosa Grunt vien fuori questo bou. quet d'inediti Jefferson. una compilazione senza molto rigore « storico• che ha il solo fine di addolcire la bocca. un po' amara per gli ultimi traballamenti dell'Aeroplano leggendario. C'è un velo di artificio, infatti, in operazioni come queste. una bava di astuzia mercantile: e dunque Early Flight sembra il palliativo per duri tempi di crisi, il viàtico consumistico che getta negli occhi il fumo della favola trascorsa, dimenticando le odierne incertezze della signora Slick e il disfarsi un po' penoso di tutta la struttura Jefferson, le vicende quotidiane, insomma. Ma non è difficile saltare la siepe del sospetto e finire in braccio al passato glorioso e pieno di luce; perché davvero Early Flight ci donç1 scampoli di vecchie verttà, bocconi piccoli ma sempre bene accetti di una saggezza che ci ha aiutati a svestire e a capire il pop, anni addietro. Un bell'album . quindi: o meglio ancora un dolcissimo sogno, un viaggio_ dai primi istanti di vita del complesso sino allo ieri più importante, ai primi del 1970, all'ultima stagione davvero insuperabile della famiglia Slickantner. La maggior parte dei brani (sette su dieci) è riferibile ai primissimi mesi del group, alle stagioni di zucchero e di fuoco che diedero corpo a Takes Off e a Surrealistic Pillow, tra il 1965 e il 1967: e di quei giorni resta la ingenuità solida e viva, il suono magro e irresoluto, il thud batteristico e l'ansimare delle chitarre che . tentano di figurare in strane maniere ii mondo che ruota attorno. Debolezza, povertà espressiva: ma quanta voglia di uscire dal 55
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