Muzak - anno I - n.07 - maggio 1974

J0HN CAGE Muslc for Marcel 0uchamp, Music tor amplified toy planos, Radio Music, 4'33", Slxty-two mesostlcs re Merce Cunningham (Cramps - Nova musicha) No, Cage non è un mistificatore. E' un americano. E tuttavia non è neanche la musica di Cage sottoprocesso. Più che altro la pessima scelta del disco. A parte mesostics gli altri pezzi hanno una funzione visiva che nel disco va, evidentemente, persa. Una funzione di provocazione che il disco, oggetto definitivo, non può assolvere, se non fa. cendosi passivamente precipitare dalla finestra. Francamente non ci sentiamo di liquidare in poche righe una delle più belle menti filosofiche (non musicali) dei nostri tempi. Ma scontiamo il fatto di non aver mai tatto un discorso sulla musica cosiddetta contemporanea. Cosicché prendere oggi le parti, che so?, di Nono contro Cage non si potrebbe spiegare. Limitiamoci dunque a un breve discorso generale e a una spiegazione particolare e rimandiamo ad altri numeri un discorso più profondo. Uno degli accorgimenti delle trovate cagiane, è il piano preparato Un pianoforte cioé fra le cui corde sono infilate ogni sorta di o_g1?etti il cui scopo è di modificare il timbro dello strumento, dare nuove sonorità. Per piano preparato è il primo pezzo, Music for Marce[ Duchamp. Un pezzo che dimostra i suoi anni (è del '47). E che dimostra anche come, almeno negli anni del primo dopoguerra, l'ironia cagiana si rovesciava in realtà in feticismo dello strumento. Quello stesso feticismo che poi è fatto oggetto di satira in Music for amplified toy pianos. Ma davvero si parla di satira? L'usare i pianini per bambini è davvero un momento di rivincita sull'orchestra posta cura di Riccardo Bertoncelli e Giacomo Pellicciotti recensioni di: Riccardo Bertoncelli (r.b.) Peppo Delconte (p.d.) Marco Fumagalli (m.f.) Danilo Moroni (d.m.) Giacomo Pellicciotti (g.pe.) Giaime Pintor {g.pi.) Paolo M. Ricci (p.m.r.) VZ/IA!JP mahleriana degli schonberghiani? O non è forse il consueto atteggiamento anarcoamericano, quello per cui la distruzione precede ogni momento costruttivo e lo sostituisce, per cui alla registrazione dei momenti di crisi si sostituisce la speranza che questa crisi sia mortale? I radicali americani sono gonfi di Spengler più di quanto essi stessi non riconoscano: ma il dire che tutto va in merda non è più rivoluzionario che dire che tutto va bene. E se crisi di linguaggio c'è (come in effetti c'è) non mi sembra un buon metodo dialettico ricomporla a partire dall'isolamento, dall'autodefinirsi genio, dal ricostruire nei fatti la figura romantica dell'Artista con la scusa di volerla negare, dal reinserire elementi «oggettivi» laddove la musica vive del rapporto necessarissimo e strettissimo fra momento soggettivo e momento oggettivo. Ma torniamo al nostro disco. Che prosegue con Radio Music, per 6 apparecchi radiofonici. Anche qui la tematica vecchiotta dell'arte del quotidiano nasconde in realtà gli stessi feticismi e lo stesso disprezzo per l'arte e per l'uomo. Anzi qui più che altrove. Ponendo una visione distorta e ridicolizzata di uno dei mass-media più popolari Cage si schiera con gli intellettuali « disorganici » di tutti i tempi e attirando su di sé l'ira dell'ascoltatore compie quell'operazione, che fu propria a tutto il romanticismo musicale, che fa del pubblico un male necessario, un orpello fastidioso, limitante le pure sfere dell'arte con sciocche pretese di piacevolezza. Mi diceva giustamente Berio una volta « ma come pretendi che uno che torna dal lavoro stanco e depresso, abbia voglia di sentirsi un quartetto di Webern? ». E perché dovrebbe sentirsi (anzi non sentirsi) 4'33" di Cage? E' un pezzo di completo silenzio rotto solo dal rumore dello sgabello, dal rumore delle pagine etc. Su disco del tutto incomprensibile. Dovrebbe essere una specie di manifesto dell'altra fondamentale teoria di Cage sul silenzio come parte integrante della musica. Teoria, per altro, ampiamente applicata da Webern 40 anni fa. Il disco chiude con mesostics: brani vocali in cui la particolare grafia dà indicazioni di massima sulla emissione della voce (lettere più piccole e più grandi, intersecate, etc.). In fondo come metodo (all'ascolto) non molto diverso da quel recitato-cantato che è proprio di tutta la musica contempora• nea non-tonale. Riconosciamo comunque alla Cramps il merito di aver avvicinato (con scars ~ fortune commerciali, prevediamo) un musicista contemporaneo e di aver tentato di trascinarlo fuori dalle sale accademiche che sanno di cadavere e di Pizzetti. Tuttavia dovendo occuparci di musica contemporanea, noi avremmo scelto anche altri nomi. Ricordando, fra l'altro, che uno può anche apprezzare una corrente musicale invece di un'altra, ma che nulla lo autorizza a dare, con la maschera della divulgazione di massa, una visione distorta di un movimento culturale come è quello della musica contemporanea. E per finire una domanda scocciata: leggiamo nelle note « giacché nessuna parvenza può oggi documentare I' essenza se non nel moto negativo dell'anabrosi che brucia la prolessi dei dubbiosi ». Non vogliamo fare l'apologia dell'ignoranza. Ma vi pare il caso di esprimersi in questo modo in una collana che mira alla divulgazione? g.pi. ALBEROMOTORE « Il grande gioco» (Car Juke Box) I nuovi gruppi italiani, il solito problemaccio. Troppo stupido e superficiale fare d'ogni erba un fascio e stroncare in partenza, o genericamente assolvere. Spesso i limiti e i difetti sono fin troppo evidenti. inutile insistere nell'anatema. nella condanna che non può giovare a nessuno, inutile astrarsi e non volere vedere tutte le difficoltà che incontra un gruppo alle prime armi. Il nostro discorso parte innanzitutto dal rispetto per chi cerca di dire qualche cosa, per chi cerca di comunicare, per chi porta avanti un discorso in qualche modo nuovo e coraggioso, lasciandosi alle spalle il risaputo e la scontata faciloneria. Preferiamo mettere in risalto quegli_aspetti che ci paio-I no nuovi, interessanti e « progressivi». piuttosto che sbavare sull'airetratezza culturale e musicale del paese d31 «sole mio•. Il grande gioco, dunque. un L.P. che preferiamo ai vari Isola di niente, Contaminazione, lo sono nato libero, ecc. Un disco che nasce in modo creativo e mai forzato dalla sintesi di alcune melodie di Fernando Fera (chitarre) e Glauco Borrelli (basso) e dei testi di Gianco-Nebbiosi. Testi finalmente 111tc1essanti e non futili, parole che vogliono dire e che riescono a dire nonostante la difficoltà ormai risaputa di canta1e della musica Rock Blues in italiano. L'obbiettivo del gruppo è comu53

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==