Muzak - anno I - n.07 - maggio 1974

sica, cioè tutti gli strumenti che ci passano per le mani. La gente ci chiede spesso: perché tanti strumenti? Domandano ciò a proposito dell'Art Ensemble, del Black Artists Group di Saint Louis, di Anthony Braxton. Orbene questi musicisti, questi gruppi vengono tutti dal Middle West. E' là che il fenomeno è apparso per la prima volta. E ciò non per « strafare » o per essere « originali » a tutti i costi, perché lavorare su ciascuno strumento, provare, porta via un mucchio di tempo. Perché tanti strumenti? Nessuno tra di noi lo sa veramente. E' solo che noi sentiamo il bisogno di esprimere certi suoni in certi momenti. Noi cerchiamo allora l'utensile che potrà produrli. Potrà essere un kazoo, una campanella, una tromba, un sassofono ... Questo è l'aspetto fondamentale, funzionale. Poi, in particolare per l'Art Ensemble, c'è l'aspetto visuale, l'occhio. Noi ricolleghiamo questo aspetto alla storia della musica nera, ma ciò esiste in ogni cultura ... Noi ci rifacciamo alla nostra tradizione. E' un modo di rappresentare quel mondo, e anche altri mondi esistenti, fisicamente o nel nostro spirito». Sono le parole di Joseph Jarman che, nell'economia del gruppo, è il maggiore responsabile dell'aspetto teatrale dell'AEC. Un gruppo senza leaders, ma veramente organizzato su basi comunitarie. Anzi, se vogliamo, l'AEC è finora l'esempio più realizzato del lavoro musicale in senso collettivo. Se nell'Arkestra di Sun Ra o nell'Unit di Ceci! Taylor la figura di una « mente ordinatrice e catalizzatrice» è ancora indispensabile, nell'AEC ciascun componente ha uguale peso nell'insieme e offre lo stesso contributo creativo degli altri. Senza contare, tra l'altro, che l'AEC è una comunità nella comunità (l'A•ACM). Sono questi motivi sufficienti, malgrado le difficoltà di ordine pratico-economico, per tenere uniti i cinque da così tanto tempo e dargli costantemente un entusiasmo e una carica da lasciare senza fiato. Sentiamo ancora le parole di Jarman: « Pochi musicisti, salvo il Black Artists Group, hanno capito la necessità di un tale impegno ideologico - lavorare insieme, vivere insieme, viaggiare insieme, avere insieme dei momenti buoni e cattivi... Questa idea collettiva è molto raramente realizzata su questo pianeta. Le persone sono continuamente :ostrette ad entrare in competizione con altri individui, i)roprio quando lo spirito unano potrebbe sopravvivere 18 senza questa competizione capitalistica. Ma quando si vuole intraprendere un'azione collettiva, è indispensabile conoscersi bene gli uni e gli altri. ...Sono ormai quasi dieci anni che noi lavoriamo insieme. A causa dell'espressione che abbiamo trovato insieme, io penso che l'Art Ensemble of Chicago esisterà finché noi vivremo. Noi abbiamo capito, sentiamo che per fare quello che vogliamo fare, non c'è altra via. In più, siamo assolutamente liberi. Noi abbiamo fatto, facciamo e faremo sicuramente altre cose fuori del gruppo, altre musiche, con altri musicisti. Ma avremo sempre voglia di suonare insieme. Io non vedo nessuno capace di distogliere uno di noi dal nostro gruppo ». Sono parole estremamente chiare che rivelano un alto grado di coscienza, e che danno clamorosamente torto ai fautori della « musica per la musica », che invano cercano di togliere alla musica afroamericana più avanzata i contenuti socio-politici presenti in misura cosciente o meno negli esempi migliori. Negli happenings, nelle gags, negli scherzi, nei rumori, nei suoni che troviamo ogni volta diversi negli spettacoli dell' Art Ensemble of Chicago, possiamo rivedere le parate di New Orleans, le funzioni religiose, l'epoca del hop e cento altri elementi che rivisitano tutta la cultura afroamericana, anche parodiando certe forme ambigue create dalla strumentalizzazione occidentale-colonialista. E ogni volta che si esibisce, l'Art Ensemble ci mostra vivo e palpitante il volto forte e terribilmente umano della migliore musica nera, una musica che malgrado i mille e svaria ti tentativi di sopraffazione da parte del sistema, possiede inalterato ancora oggi tutto il suo alto potenziale di bellezza e di creatività. Giacomo Pellicciotti (foto di Roberto Masotti) DISCOGRAFIA: ROSCOE MITCHELL: « Sound » (Delmark DS-410), 1966; « Congliptious » (Nessa N-2), 1968. JOSE•PH JARMAN: « Song For » (Delmark DS-408), 1966; « As If It Were The Seasons » (Delmark DS-417), 1967_ LESTER BOWIE: « Mumbers 1&2» (Nessa N-1), 1967. ART ENSEMBLE OF CHICAGO: « People In Sorrow » (Nessa N-3), 1969; « Reese & The Smooth Ones » (Byg 27), 1969; « A Jackson In Your House » (Byg 28), 1969; « Message To Our Folks » (Byg 29), 1969; « Gittin To Know Y'all », Baden Baden Free Jazz Orchestra, Dir. Lester Bowie (MPS 15269), 1969; « The Spiritual» (Freedom Polydor), 1969; « Les Stances à Sophie » (Nessa N-4). 1971; « Phase One » (America 6116), 1971; « Certain Blacks » (America 6098), 1971; « The Art Ensemble of Chicago With Fontella Bass » (America 6117), ,1971; « ChiCongo » (America 6118), 1971; « Bap-tizum » (Atlantic SD-1639), 1972; « Fanfare For The Warriors » (Atlantic SD-1651), 1973. Inoltre, i singoli componenti dell'AEC hanno inciso per altri, come Brigitte Fontaine, Archie Sheep, Alan Silva, Sunny Murray, per le etichette francesi Saravah, Byg e America.

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