Muzak - anno I - n.07 - maggio 1974

CAPTAIBNEEFHEART « Il pazzo vasaio di Mochica ha fatto un vaso con 6 occhi e 2 bocche e mezzo Naso e cinque guance e nessun mento, e tocca a noi capire ... » ALLEN GINSBEG, Etere (Non preoccupatevi se quello che è scritto all'inizio contraddice esattamente con ciò che è detto ,,!ia fine. Io mi ostino a credere che Captain Beefheart è stato assassinato la notte in cui registrò Trout Mask Replica: e che in sua vece, oggi, circola e si esibisce Richard Nixon, alla ricerca di alibi per Watergate ...) Il personaggio è di quelli leggendari. Coraggioso, pazzo, irriverente: con cento idee e duemila desideri, sempre dietro l'angolo della « storia » e in mezzo all'occhio del ciclone. Suona da dieci anni, incide da otto: ma è inutile cercarlo nelle classifiche luccicanti, nelle pagine tranquille delle riviste che contano, tra le righe dei libri-documc:nto o dei romanzi pop. Captain Beefheart non c'è, si nasconde o è liquidato con un « ah! sì, anche lui »; come un orco cattivo, come un oggetto di poco valore. Lo si può scovare solo nelle rapide commemorazioni, o nelle enciclopedie del pop per intero: quando tra un vecchio lustrino zappiano e una « luna a banana » di Daevid Allen compare anche il suo faccione, e si leggono cronache deliranti, « il re della bizzarrìa », il « signore della non-musica ». Ma lui si ribella, mangia la vernice della ipocrisìa, scappa dalla prigione dorata del pop « difficile ». « Non sono un freak, non sono un essere mostruoso, un personaggio oltre la mia arte come hanno voluto dipingermi. Non voglio esistere sullo stesso piano di Alice Cooper! ». Captain Beefheart fa paura. Perché rifiuta le sete e i divani lunghi, perché lascia perdere i « procedimenti comodi » e le operazioni « culturali », i sì e i no del perbenismo di sempre: perché sfugge ad ogni catalogazione, anche a quella « alternativa », cantando e tirando di spada nel suo mondo personalissimo, dove vibra solo la mente e il musicista, lo stregone, l'uomo che si è acceso dentro è veramente, come un giorno dice40 va Bob Dylan, «una persona nuda». Ecco spiegato il perché dello artista emarginato: ed ecco tratteggiata anche la sua potenza, il lucido significato, la importanza nell'affresco del pop interno. Captain Beefheart è la libertà, l'amore estremo, il volo senza freni della fantasìa: il riassunto bellissimo dell'arte nuova, quella che non conosce ciprie o rossetti e si dà da fare tra l'assurdo e il grottesco, cercando lo « sporco», il « brutto», l'« impossibile», i concetti che per anni sono rimasti sotto cumuli di polvere e oggi ancora danno fastidio a tanta gente. Non siamo nel reame della provocazione e basta, però, cerchiamo di capirlo: siamo nel pianeta della energia liberata, invece, nel mondo dell'arte senza catene, dove il creatore è flautista magico e noi le creature docili che dobbiamo seguirlo. In questo Universo distorto e complicato (che è poi l'anima, il cuore di Beenfheart stesso), c"è ogni cosa, polvere di rock, pasta di John Lee Hooker, qualche speda allucinata di Albert Ayler, i bianchi e i neri dell'antica narrazione dada; il tutto senza freni e con intima libidine, in una giostra d'anarchia che se da un Iato rammenta Zappa (la stessa insofferenza ai « generi fissi ». il medesimo saccheggio dal cielo e dalla terra), dall'altro se ne distacca profondamente, barattando la rigida geometria di Zio Frank con il liquido muoversi del non sense. Insomma, un grosso pasticcio profumato, arricchito da una voce « nera » come poche e da testi assurdi e svitati: ed è sempre stato così, anche ai tempi dei tempi, quando Captain Beefheart aveva capelli corti e giacca e cravatta, e ci voleva coraggio e somma perizia per narrare simile musica, all'epoca di Monkees e Lovin' Spoonfull. E' ii beat americano, infatti, quel periodo agrodolce che da Eve o/ Distruction corre ai Jefferson di Somebody to Love, la culla discografica di Captain Beefheart. L'uomo viene da Glendale, California, una nascita perfettamente americana nel 1941 e il nome vero di Donald Van Vliet che si trasformerà presto in quello più sanguinoso di Captain Cuor di Bue. Primi anni normali, la grigia infanzia negli Stati dopo la guerra: ma subito la scintilla del genio, se è vero che a otto anni Donald compone stranissimi disegni d'insetti e visioni che gli procurano una effimera notorietà locale, il pazzo bambino dei Van Vliet! Ma -poi tutto rientra nella tranquillità: e nel 1955 la vicenda si fa a'1cora più piatta, con il trasferimento della famiglia a Lan• caster, un oscuro paese dell'entroterra californiano. E' qui però che accadono gli avvenimenti più importanti per Donald•Captain Beefheart; la scoperta del rock appena alle origini e l'incontro con un altro americano « sbagliato », Frank Zappa. Sono anni leggendari, stagioni di fermento e d'intima illuminazione: e Zappa/Beefheart vivono insieme l'epoca di esaltazione, strepitando alla chitarra la propria voglia di cose nuove. Il miraggio è il ritmo libero, il suono sporco e strisciante che appartiene a Bo Diddley, ad Hank Ballard, alle schiere di temibili musicanti di color,: che guizzano nell'epoca: e gli sforzi creativi si chiamano Black Out, Soots, i complessi che bene o male, per un giorno o per sei mesi, ved0no coinvolti Zappa e Beefh~art in quell'era a più colori. Non vive molto, però. il soda'i7.iu: spinto dalle maree della ·,ila Frank ancor giovane p,·o.:n:.le la strada per Cucamonga e poi Los Angeles, tessendo giorno per giorno la leggenda della propria arte. Mentre Beefheart resta a Lancaster con una chitarra in mano e voce ancora acerba, e un orecchio a quelle terribili radio che vanno bombardando di R&R i figli dell'America Einsenhower. Si arriva così agli anni '60, con l'uomo sempre più affascinato da tradizione nerablues-ri tmo cattivo; e i complessi vorticano, le idee si ripuliscono, sino a che all'alba del 1964 il Captain raggiunge una solida stabilità con l'organico « definitivo», la Magie Band. E' una strana formazione basata sulle chitarre che cerca di afferrare il blues per i capelli, in una personalissima rielaborazione che rinuncia ad ogni taglio «classico» ••0 r puntar dritto alla energìa e allo sconquasso. Le corde sono tese con forza, la voce sputa ruggine e sangue: e si fa viva l'anima naif dell'artista, quel suo veder la musica come sfogo istintivo, come espressione naturale, che lo pone decisamente una spanna oltre tanti blues revivalists dei nostri giorni. Un 45 giri per la A&M, Diddy Wah Diddy di Bo Diddley, pone inizio alla gran festa discografica del group: ma poi

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