Muzak - anno I - n.07 - maggio 1974

C'è uno scheletro sotto il cemento: l'ipocrisia imbellettata di tutta un'epoca falsa e artificiale inizia a partorire la sua progenie cancerogena, a nascondere dietro castelli inutili e sinistramente profetici una delle più paurose crisi di cuore della nostra musica. In America si vegeta non si crea, si dice: ma come definire allora ciò che sta accadendo nella patria della Grande Illusione di dieci anni fa, ora asservita ai Bowie ed agli Osmonds? Le forze occulte (ma non troppo) del controllo, della vita in scatola, del sogno consumista hanno trovato dimensioni inusitate da usare come veicolo di propaganda: e la controrivoluzione è già stata dichiarata, mentre i pavidi o troppo furbi alfieri di un illusorio rinnovamento scoprono l'improvvisa benevolenza del business, la placida ricettività di un pubblico ingannato troppo a lungo. L'estetismo più o meno masturbatorio, i barocchismi, le libidini formali sembrano oggi condizionare buona parte della scena inglese (e per riflesso tutta una serie di situazioni): le schiere di epigoni dei buoni vecchi Moody Blues si infoltiscono di giorno in giorno, creando confusione e profitti, dilettando i Nembo Kid della critica nostrana ma mostrando sembre più chiaramente i segni inconfondibili dell'opera7.ione commerciale, della catena di montaggio in stile liberty. Tutto era cominciato in tempi remoti, rei la fine del beat e le prime zoppicanti ricerche di nuove ispirazioni lucide e disinibite, capaci di ritrovare il brivido sacro e stupendo della comunicazione, di una forte utopistica libertà nel suono. Libertà che - a causa dell'immancabile paradosso - qualcuno voleva ricercare proprio all'interno delle strutture più rigide e soffocanti, anche se ricche di aloni perbenistici capaci di su. blimare le frustrazioni rela· tive alla propria figura di « musicista pop »: il suond classico, e mille situazioni da saccheggiare, da Bach a Rachmaninov ... Keith Emerson, si sa, vi approda cercando qualcosa di più significativo dell'honkytonk; altri (i Colosseum di « Valentyne Suite») proprio come sbocco necessario di un discorso improntato ad una sensibilità « complessa e raffinata». La trovatina non può reggere a lungo, ovviamente, dentro simili panni: ma riemerge subdola in più occasioni, velata di intenti gentili e romanticismi assonnati. Procol Harum e Moody Blues sono in questo periodo i principali portavoce di questo falso rinnovamento, indice evidente di una sostanziale incapacità di penetrare più a fondo lo spirito, la sapienza di quelle pur affascinanti pagine: l'elemento che ne viene ritenuto è solo la forma, l'aspetto, la vernice ormai putrefatta da museo degli orrori. Di fatto c'è chi riesce ad ingrassare su queste scorie: appare persino il mellotron, giudiziosa orchestra tascabiChris Copping dei Procol Harum le per musicanti complessati da Toscanini, e la matrice classicheggiante lascia posto ad una più sottile infiltrazione di un linguaggio finalizzato in buona parte a velluti e ricami eleganti, zuccherato a dovere per la delizia di palati « esigenti ». Il rock come rivoluzione, a questo punto, è già un simpatico ricordo, .argomento per conversazioni salottiere con i fratelli minori: ma non si riuscirebbe egual· mente a comprendere un così radicale e repentino rovesciamento di. tendenze, senza osservare cosa sta succedendo a livello di cultura e controcultra, nei piani dell'industria e nei crani dei consumatori. A differenza di quanto avviene per il « rock decadente », palese mistificazione ad uso e consumo di una controparte facilmente manovrabile, ingenua quanto basta, la mellotron-scuola si rivolge ad un ascoltatore più smaliziato, strizzando l'occhio al suo « gusto musicale » mediante una serie di virtuosismi, di accorgimenti tecnici poveri ma appariscenti, privi di significato quanto ricchi d'effetto. La tendenza che oggi fa capo - solo per nominare i personaggi che conservano una certa dignità ed intelligenza - a Yes, King Crimson e Genesis nasce nell'era delle macchine più perfezionate, delle case più comode, dei cibi più igienici, degli aerei più veloci: se mira a trasformare i propri adepti in relitti del duemila, sprofondati in comode poltrone nella magia del suono quadrafonico, affamati unicamente di suoni più puri ed esteticamente «puliti» (che solo i medium « geniali » alla Rick Wakeman, gli elettrotecnici senza anima possono creare), incapaci di porsi in prima persona come artefici di una qualsiasi espressione artistica. La musica che diviene Musica: da patrimonio universale, canto della sensibilità di ognuno, forma accessibile a tutti fino a strumento di potere nelle mani di pochi eletti, capaci di sac:ificare al Moloch astruso d1 una illusoria « preparazione tecnica » la stessa capacità di comunicare senza mediazioni, di emozionarsi e di emozionare, di vivere. Solo pochi anni fa, quando il rock possedeva ancora la sua formidabile forza catalizzatrice, tentativi del genere avrebbero trovato ben misera eco: a che scopo incatenare energia e vibrazioni. costringendole nella cintura di castità di un suono creato a tavolino, rifinito nei minimi particolari, studiato fino alla noia, privato della minima « imperfezione »? Una certa stampa ha spinto in modo poderoso quest'operazione di recupero e castrazione: da una parte la « nobiltà » del pop, capace di apprezzare aneliti formali e voli in 9/8, dall'altra la plebaglia ancora legata ad un rock duro più evidentemente morto annegato, travolto dalla propria ottusità e schematicità. Genesis e Yes sono nomi che godono oggi di un'immensa popolarità: ambedue hanno avuto una funzione utile ed importante - all'interno di una visione dinamica del pop -; i primi con le dolci favole di « Nursery Cryme », i secondi con « Fragile», riuscita sintesi di mille discorsi figli di Lennon-McCartney. Così i King Crimson, autentici capostipiti di tante tendenze più ibridi e striscianti, sacerdoti di dimensioni profonde e cerebrali ma non per questo asettiche, imbalsamate: per tutti è giunto il momento della crisi e del vuoto ( « Foxtrot », « Tales From Topographic Oceans », « Starless And Bible Black »), il suono ad una dimensione, palestra dei virtuosismi egocentrici dei singoli o di ambizioni impossibili, suites che vorr~bbero incidere a lettere d'oro la propria genialità ma che riescono solo a riprodurre immagini, momenti, rari spunti luminosi, vuoti di spirito senza fine. E che dire di tutto lo stuolo di nipotini, Greenslade ed Ekseption, perfino Manfred Mann ed i suoi tentativi di rileggere Dylan (!) in una chiave più «sontuosa»? Mentre ben altre figure si muovono verso un'espressione « totale » e complessiva, creando una possibilità di ulteriore evoluzione per la musica che passa attraverso la liquidazione di divisioni arbitrarie, qui si cerca solo di prolungare artificiosamente l' esistenza di una situazione che ha già ampiamente esaurito 29

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