Muzak - anno I - n.06 - aprile 1974

- riportata senza alcuna alterazione od influenza rock - caratterizza i momenti più convincenti (« Armadillo Stomp •· « Diggy Diggy Lo •· « Sunset On The Sage •). Un lavoro senza la più pallida velleità innovativa ma che si dimostra alla resa dei conti sufficientemente piacevole e divertente. Forse perché chiunque si può rendere conto di come gli otto strumentisti siano coinvolti nel modo più completo in questo viaggio - per noi - assurdo. dell'assenza di qualsaisi doppio fine nelle loro proposte. Commander Cody sarà tra qualche mese in Europa. assieme ai New Riders Of The Purple Sage: un'occasione da non perdere. per chi ama questi pazzi ma simpatici archeologi di sonorità ormai sepolte ... m.f. TERJE RYPDAL What Comes After (ECM) Il nome di Terje Rypdal è finora conosciuto dai più (che poi sono molto pochi) per la sua partecipazione al « Violin Summit! • del festival di Berlino con Ponty, Sugarcane Harris. Wyatt. eccetera: o al « Morning Glory • di Surman e soci. Ma tali opere. pur essendo ragguardevoli, non ci offrono che una pallida immagine delle meravigliose capacità artistico-espressive di Rypdal. Il fatto è che finora il giovane chitarrista-compositore norvegese ha resistito alle lusinghe di grosse compagnie discografiche, per restare tranquillo a studiare e approfondire a casa sua. registrando solo con la ECM. la piccola etichetta di Monaco con cui sa di non essere sfruttato o violentato nella creatività. Con loro ha inciso il suo primo LP. molto suggestivo, e due splendidi album firmati dall'altro originalis. Simo norvegese. il sassofonista ·flautista Jan Garbarek (• Afric Pepperbird » e « Sart •). Ora, finalmente. la ECM pubblica il secondo atteso album di Rypdal. Dico subito che è bellissimo e ci permette di essere certi che Terje è oggi una delle figure più interessanti e importanti che l'Europa possa offrire. Partito giovanissimo dal rock, è arrivato poi al jazz d'ava,nguardia. al seguito del nucleo attivo e fervido di musicisti scandinavi della nuova generazione. Da ultimo è pervenuto a costruire la sua personalissima strada. che come appare da questo LP, oggi è nitida e matura come poche. Per troppo tempo si è guardato all'Inghilterra come il paese-guida della scena musicale europea: che grosso sbaglio! Se ci si fosse rivolti un po' altrove. che so. alla Germania. alla Scandinavia appunto. si sarebbero potute fare tante liete scoperte. Dunque. Rvpdal dimostra che parlare oggi dei soliti due nomi in fatto di chitarra è assolutamente insufficiente ed ingiusto: c'è anche lui e in una maniera tutta sua. Anzitutto egli non è uno di quei jazzisti europei tecnicissimi e fedelissimi imitatori dei fuoriclasse neroamerican i. E poi non è nemmeno un jazzista: la sua è una musica sganciata dalle etichette come poche attualmente. Tutti gli elementi culturali vissuti da Rypdal sono fusi mirabilmente secondo una intensa sensibilità. Il suo mondo musicale è legato chiaramente ad una poetica indubitabilmente nordica. ma capace di prendere e coinvolgere. credo, chiun. que abbia una mente aperta e sensitiva. La musica di Rypdal ha un fascino arcano. segreto, interiore. Possiede una intensa e sorprendente magia, che evoca naturalmente le luci e le ombre di quelle terre del nord. E' un che di rarefatto e ripetitivo, secondo un procedere che penetra fino nel profondo dell'anima. E, come nei casi migliori. il pericolo della vacuità estetizzante e fine a se stessa (insita in discorsi del genere) è evitato grazie ad una salda coscienza interiore e ad una ricca capacità di sintesi. Rypdal non è un virtuoso della chitarra. ma uno che integra il suo strumento (elettrico od acustico che sia) nel gioco collettivo degli altri, nel clima e nell'atmosfera generali. Questo suo secondo disco è più maturo e lucido del precedente. eccellente ma un tantino evanescente. I suoi com. pagni di rotta sono ottimi e in carattere: il solito elegante percuissionista Jon Christensen e gli sconosciuti, ma non meno bravi. E.N. Larsen, oboista, e S. Hovensjo, bassista elettrico. In più c'è un eccezionale Barre Philips, che arricchisce notevolmente il tono complessivo con le affascinanti e suadenti linee del suo basso acustico. I pezzi tutti belli e convincenti: da notare • Yearning • e • Back of J. •· in cui Rypdal si cimenta con la chitarra acustica. Occhio a Terje Rypdal, dunque. perché è un nome che oggi non si può assolutamente ignorare! g.pe. JAN GARBAREK • Trlptykon • (ECM) Norvegese. sassofonista. già compagno di viaggio di Terje Rypdal e titolare di due terribili albums. Afrlc Pepperblrd e Sart, Jan Garbarek è una delle voci più inquietanti del nuovo panorama musicale europeo. Il suo stile è incisivo. graffiante. con solidi segni à la Surman ed elettrica cadenza shorteriana: e la musica che lo avvolge è violenta e spiritata, legata alla coda scura del mondo free e pure capace di sussulti poetici, di sprazzi di quasimisticismo. Triptykon, terzo album dell'uomo sempre in dimensioni scandinave. è però il segno più debole di questa avventura sonora. il momento del rinnovamento e della velata paura: perché viene a mancare il respiro caldo delle formazion I precedenti. perché la chitarra non corre qui accanto ai fiati del leader e c'è ruggine, c'è veleno. c'è un roco annodarsi di pulsazioni che rovina la magìa di Garbarek. riportando alla mente il Trio di Surman/Barre Philips/Stu Martin più che il Weather Report con guizzi e serpentine. L'artista è strano, elusivo. in preda a febbri e visioni: e il suo gioco strumentale si fa caotico e sgangherato, nel delirare di fondo di Arild Andersen ed Edward Vesala. un bassista e un batterista che pur nell'intima bravura non riescono a dar sostegno all'asmatico suono. Insomma. non c'è luce e lo spirito sussulta inquieto: e Garbarek è incapace di trovare misura e cadenza. lasciandosi andare ad estenuanti tirate strumentali che mostrano la corda, alla fine di tutto, senza gettar semi d'interesse o di amore. Solo JEV, una squisita pièce alla fine della tirsi side, riesce a baciar le stelle con un mirabolante viaggio flautistico: e Brure Mars), a sigillo di tutto, regala attimi deliziosi e inquieti. con un gioco di basso/fiati che ha del folle e dell'incredibile, modellato com'è su terra addirittura zappiana. Ma il resto è debole, il resto è libertà misera e nuda con poco senno: e RtM soprattutto e l'interminabile Trlptykon danno evidenti segni di stanchezza. chiusi nel ripostiglio del free con emozioni nulle. proprio come i più crudi momenti del già citato Trio. Garbarek può fare molto di più, può incantare e scuotere e tentare sortilegi: e chi avesse voglia di addentrarsi nel mondo dell'artista prima di Triptykon capirebbe cosa intendo dire, correndo sul filo teso di Beast of Kommodo o sul prato verde di quella favola irripetibile che è Song of Space. r.b. 63

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