norità, il « sound »; qualcosa di scarno, essenziale, ma completo. pieno: una sintesi sonora di diversi modi di sentire e fare musica. Da una parte la forte presenza mai edulcorata della musica contadina del Lazio sempre rispettata nei suoi aspetti sostanziali (strutturali). dall'altra la creatività interpretativa che si colora di esperienze diverse, che coglie e mette in risalto certi aspetti formali piuttosto che altri, che urbanizza, rendendo attuale questa musica anche in un contesto sociale non contadino, alcuni modi, liberandosi dal mistificante populismo del ricalco. Un disco che si presenta, anche a un orecchio profano, estremamente ricco di significati, sia nella musica che nei testi, un disco che pur non avendo come primo scopo quello di piacere, si fa amare fin dal primo ascolto. Dalle canzoni più decisamente politiche basate sulla semplicità delle parole, a volte filastrocche, e sulla satira amara che presenta una figura del popolo romano anticonvenzionale, figura mai accettante o passiva, alle dolcissime canzoni d'amore, mai melense o retoriche, ma vivaci nelle immagini e nelle situazioni frutto di un continuo gioco alternato di realtà e fantasia; dalle canzoni di lavoro a quelle religiose, quel che colpisce nel disco e negli spettacoli del Canzoniere del Lazio, è il senso unitario del tutto, che fa della musica popolare qualcosa di vivo e dinamico. A proposito di dinamismo, recentemente il Canzoniere del Lazio si è ingrandito e ha scelto una strada nuova e diversa, unica in Italia. Agli strumenti di base, violino chitarre acustiche, organetto e tamburelli, si sono aggiunti, con relativi suonatori, sax soprano e tenore, basso e eh itarra elettrica, percussioni di ogni tipo e forma. La musica che ne esce partendo sempre dal materiale popolare raccolto da alcuni gruppi di ricerca nel Lazio, è Qualcosa di composito, dove vivono influenze ed esperienze diverse, chi ama le etichette potrebbe chiamarla folk-jazz, noi ci limitiamo a dire che questa fusione, speriamo di vedere i risultati discografici prima dell' estate, è molto interessante e che conferisce alla musica popolare contadina una durezza inusitata tipicamente metropolitana, e al jazz, un retroterra culturale e politico di cui sentiva la mancanza. p.m.r. r::i ' ELVIS PRESLEY A Legendary Performer Voi. 1 (RCA) I revivals vengono solitamente con molta abilità studiati e alimentati dall'industria, soprattutto in periodi di stasi creativa. Non fa eccezione a questa regola l'attuale revival del rock & roll, che riscuote particolare successo negli USA e in Inghilterra. Personaggi che impazzarono negli anni '50 durante la follia collettiva che prese i teenagers di allora, rivivono oggi non più scattanti e credibili come ai loro verdi anni e vengono applauditi da un pubblico che comprende generazioni diverse. Sono personaggi famosi e meno noti, che hanno già dato il meglio di sé, quando, in mezzo a musichette insulse e melense, gettarono una ventata di aria fresca e di gioventù con il loro rock & roll. una forma rozza e grossolana, ma estremamente contagiosa e aggressiva direttamente derivata dal blues nero più classico. Sull' onda di tale rinato (e sicuramente effimero) interesse, le case discografiche si danno da fare per ristampare antichi successi o nuove edizioni di pezzi dei vecchi rockers. Questo fatto fornisce l'occasione per rivalutare, positivamente o meno che sia, gli eroi di allora, alla luce del tempo trascorso e di una più attenta e lucida considerazione critica. Elvis Presley, tra tutti, è stato senza dubbio il più fortunato e divistico tra gli eroi del R&B: aspetto da ragazzotto semplicione e neanche troppo sviluppato mentalmente. abiti e atteggiamenti da Marlon Brando in « Fronte del porto •· mosse feline e sessualmente significative, voce aggressiva e urlante (ma sdolcinata e mielosa nei pezzi lenti). raggiunse vertici di popolarità e di fanatismo superati poi da pochissimi dei suoi eredi (i Rolling e Jagger sono l'esempio più clamoroso ...). Questo primo volume dedicatogli dalla RCA si presenta in una confezione ricca e furba, con una attraente copertina e un bel libretto denso di foto e di documenti. Sui solchi del disco ritroviamo parecchi dei cavalli di battaglia di Elvis nei vari periodi della carriera, compresi i successi dozzinali e più canzonettistici del periodo più tardo (tipo la lacrimosa « Are You Lonesome Tonight? »). più due estratti da sue interviste. Inoltre le versioni delle canzoni non sono tutte quelle classiche. ma ce ne sono alcune inedite, soprattutto dal vivo. E' chiaro che il tempo impietoso oggi rivela tutti i numerosi difetti ed ingenuità: i pezzi che, nonostante tutto, ci mostrano ancor oggi una certa divertente ed ingenua carica sono « Teartbreak Hotel », « Don't Be Cruel » e « A Fool Such As I». Il resto è polvere e futilità Ma la considerazione più importante (e amara) che si possa fare oggi su Presley è che la sua fortuna appare immeritata ed esagerata, rispetto ad alcuni rockers neri immensamente più bravi e rigorosi di lui (Little Richard, Chuck Berry, Fats Domino ...). E' la solita vecchia storia dello show-business americano. GRATEFUL DEAD « Aoxomoxoa • Warner Bros. g.pe. Questo è Il disco dell'era psichedelica, il fiore cattivo che anni fa ci fece sobbalzare tutti rispondendo con ferocia alla domanda « Può la musica volare oltre i desideri?». Nacque in sere pazze di 1967, a San Francisco città libera, nei caroselli di musica fino all'alba e nelle spettrali illusioni di droga/creatività, con i Dead giovani e illuminati, a suonar con la testa in fumo e a vedere, toccare, provare « cosa veniva fuori•· Altri tempi, sogni oggi sfilacciati, quando Neal Cassidy, Pigpen e Jack Kerouac erano vivi e presenti, e Jeremy Carme! Garcia non era ancora pacioso e «americano»: eppure, a sette anni dalla «sua» epoca e dalle esatte vibrazioni, come non accorgersi che Aoxomoxoa sprizza scintille e manda energia, come non sentire la forza travolgente di un suono pazzo e isterico, in terribile sintonia con mondi «oltre»? Siamo a capofitto nel primo mondo Dead, quello dell'orrida allucinazione, del la vita presa a rovescio con occhi bianchi e schiuma alla bocca. Il blues degli inizi ha messo artigli e squame strane, ucciso dalla voglia di rappresentare I' indefinibile: ora le chitarre sono ubriache e deliranti, ora la batteria ha voce di tuono e di veleno, nel cosmo Grateful che ancora è incapace di velluti country, di porpora folk, come poi sarà da Worklngman's Dead innanzi. Sia ben chiaro, non c'è la « bellezza » classica, non c'è il dolce intreccio di cose nitide e « al loro posto». Vive lo «sporco», invece, il distorto, l'out of tune, il gioco bastardo di chi non conosce regole o forme: ma qui sta la forza e qui la saggezza, e la frenesia. in uno stile « diverso » perché diverso appare il mondo, in un suono scordato perché così indica la mente, alla ricerca di linee invisibili ed essenziali. La facciata A è tutto un approccio a questo Universo, una lenta ed orqasmica antifona: e c'è Saint Stephen con l'insulso singhiozzare di Garcia, e Rosemary che getta semi di calda ballata, giù fino a Mountalns of the Moon dove un harmonium depravato raccoglie impulsi di strano country e li descrive con amore ed allucinazione. Ma il fulcro è l'altro lato, la continuazione e I' epilogo, con tre episodi che succhiano il cervello librandolo in aria - China Cat Sunflower, volo su mongolfiera con rottami di ferro e mente che scricchiola, Cosmlc Charlle con irritazione e disastri, le voci coperte da uno strato di nebbia che cantano e vanno, e What's Become of My Baby, i primi sfracelli rumoristici cercando di afferrare il Vero. i Pink Floyd visti al contrario e le paure, i tormenti, le violenze carnali dei signori Velvet Underground. Dove possiamo trovare ora tanto coraggio e tanta perdizione, oggi che tutti sono scolari di Padre Consumo? Ben vengano questi Dead, allora, e la provvida edizione italiana di un disco mai uscito da queste parti: dopo il miele sciocco di Wake of lhe Flood ci voleva davvero un'opera simile per darci gioia e conforto, per. farci tornare ai magici climi della prima California, quella senza mito e luoghi comuni ma stradannata e bellissima nella sua voglia di fare. r.b. 57
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