Muzak - anno I - n.06 - aprile 1974

della attuale produzione inglese, solitamente abbastanza insulsa e stereotipata, questo sì. Il gruppo ha raggiunto un affiatamento e una maturità notevoli; i compagni di Way, pur non essendo dei giganti, mostrano di essere perfettamente integrati nel discorso complessivo e marciano agevolmente senza intoppi; il chitarrista John Etheridge, pur non essendo sicuramente un Mclaughlin, si avvia a diventare uno dei migliori specialisti britannici; infine, Darryl fa vedere di essersi finalmente alleggerito dei pesanti fardelli delal sua educazione da conservatorio e di librarsi con ali proprie. Ho nominato prima non casualmente Mclaughlin, perché l'accostamento chitarra-violino rinvia forzatamente alla sua Mahavishnu Orchestra, ma si tratta di un sound del tutto diverso, perché quello dei Wolf ha un sapore più immediato e ruvido, più europeo e decadentemente ambiguo (la musica classica e il rock inglese sono gli ingredienti pi ùin vista), senza contare la diversa classe delle forze in campo. Quanto alla musica del LP, io preferisco la seconda facciata che, mi sembra, abbia una scorrevolezza e un impatto maggiori (ma anche la prima non è da buttar via ...). I pezzi sono tutti di composizione di Way, eccetto «Slow Rag» e «Game of X» che sono di Etheridge. g.pe. KING CRIMSON Starless and Bible Black (lsland) I Crimson, o del cerebralismo ambiguo ed estetizzante anche della migliore scena musicale britannica. Questo LP viene dopo la discutibile pausa dell"ambum-laboratorio di Eno-Fripp e prosegue il nuovo corso crimsoniano del precedente «Lark's Tongues in Aspic». prova rarefatta e preziosa che lasciava parecchi interrogativi sul futuro del gruppo e che mostrava inequivocabilmente, se ancora ce ne fosse bisogno. che i fortunati e fertili tempi dei primi tre LP sono ormai irrimediabilmente e logicamente tramontati. Certamente il gruppo di Fripp è stato uno dei più significativi e validi del pop inglese, ma oggi è doveroso porsi diversi quesiti in senso critico non solo sui Crimson attuali, ma pure su quelli del periodo migliore. All'inizio i Pink Floyd avevano fatto giustamente scuola e c'era anche qualche fervore jazzistico, ma soprattutto il tocco personale suggellato dai testi immaginifici. poetici. fiabeschi, dolci. Fripp era in grado di liberare i tortuosi meandri della sua mente, anche perché erano accanto a lui uomini allora alquanto positivi e musicalmente freschi e semplici. Ma già d'allora si potevano intravedere i segni di un'ambiguità: se uno pensa ai gruppi più o meno conosciuti usciti dalla ricca e creativa scena di Canterbury, può rilevare che in essi in varia misura la poesia veniva vivificata e accesa da estri diversi. dallo sberleffo all'ironia (vedi le incredibili allegorie del pianeta Gong). e non pietrificata in fantasticherie attraenti e belle. ma in fondo estetizzanti e, al limite. decadenti. Purtuttavia i King Crimson di allora ci davano sensazioni affascinanti. ma con il quarto LP iniziò la parabola discendente, con le defezioni a catena e il sempre crescente sbandamento del gruppo, ora lasciato in balia quasi completa della ragnatela cerebrale di Bob Fripp. Con l'album precedente. dopo un più o meno lungo scioglimento, i King Crimson riapparvero con uomini nuovi e di diversissima provenienza. Erano con Fripp il violinistatastierista David Cross, il bassista e vocalista John Wetton, il batterista Bill Bruford e il polipercussionista Jamie Muir. Il LP era di ottimo livello formale, ma se era chiaramente riconoscibile l'impronta frippiana, mancava tutto il resto: le parti vocali erano ridotte e la musica appariva di sapore sperimentale, di tono freddo e quasi involuto. Ma i difensori ad oltranza dissero che era solo l'inizio di un rinnovamento e che, quindi, le incertezze erano giustificabili e sarebbero state eliminate probabilmente alla prossima pro. va registrata. Ma il disco è arrivato e il miracolo non è avvenuto. Il LP precedente, al paragone, è un capolavoro. Qui regnano le contraddizioni più sconcertanti e la speranza di una rinascita sono, per il momento, definitivamente rimandate. Sul fronte dei musicisti è partito (subito dopo l'incisione di « Lark's ») il versatile e bravissimo Muir, evidentemente il disaccordo con il leader; Cross suona sempre meno il violino e si dimostra sempre più inconsistente e inaudibile; Fripp come chitarrista appare ancor più «frustrato » del solito (concordo con questo giudizio espresso recentemente dal suo ex-collega Pete Sinfield). Il disco si apre con i due pezzi più sconcertanti: «The Great Deceiver » e «Lament», addirittura accostabili a certa produzione tipo-Roxy Music (!). Poi, per fortuna, ci sono quattro brani più semplici e più crimsoniani «We'II Let You Know», «The Night 'Watch», «Trio» e «The Mincer», che sono gli episodi migliori, anche se nulla di nuovo appare all'orizzonte. Infine, i due pezzi della seconda facciata: quello che dà il titolo al LP e «Fracture», in cui il vano sperimentalismo di «Lark's» viene portato alle conseguenze più improduttive e calligrafiche. Peccato: che la stagione felice dei fin troppo lodati King Crimson sia tramontata senza ormai neanche più la possibilità di una soddisfacente senilità? g.pe. SYD BARRETT • Barrett/Madcap Laughs » (2 LPs) Harvest Syd Barrett, antico chitarrista dei Pink Floyd, dandy paranoico di una Inghilterra non descritta dal Melody Maker, esce dal nascondiglio e cerca carezze di gloria anche da noi, con questo doppo Lp che mette insieme le sue uniche pagine a tutt'oggi, Barrett e Madcap Laughs, brillanti poemi di tre-quattr'anni addietro. Sono passati sette anni dalla improvvisa apparizione dell'artista nel caldo seno di Mamma GB, cento mesi o poco meno da Ila «psichedelìa» e da Astronomy Domlné, dagli sketches un po' dada e un po· lisergici che fecero il mito Pink Floyd: e sei anni dista l'abbandono di Barrett dal group, la fuga da una scena amata/odiata; la corsa verso un'intima libertà fatta di visioni e di pome~iggi lunghi passati ad accarezzare una chitarra, o un'emozione. Poi è venuta una degenza in ospedale psichiatrico, poi è venuto il rinchiudersi testardo dell'uomo nel proprio guscio: e sono nati questi albums doloi/bellissimi, fiori di spontaneità e di saggezza. contributi un un'anima libera alla poesia in musica. Sono «cose» strane, creature librate in aria, lavori nati di getto da impulsi feroci o malinconici: e hanno, un fascino strano, un incanto malefico. con la chitarra assorta e l'organo molle e la voce, quella voce obliqua e magra. a raccontare fiabe in mondi di pietra, come Nico come il Robin Williamson degli attimi spettrali. Barrett, il primo disco. è un omaggio al tempo perduto. ai Pink Floyd di See Emily Play e dell'UFO, alla musica sbrindellata e corrotta del complesso « prima di Gilmour ». Il suono è slegato, perfido, senza innocenza. preso in faccia da folate di pazzia sonora: e c'è tutto un clima ironico/fantastico, che prende alla gola, dalle contorsioni di Baby temonade alle paillettes decadenti di Gigolo Aunt giù sino a Rats con paura e svenimenti, sempre sulla strada della chiarezza e della semplicità, e non-voglia di forme opprimenti. Madcap Laughs, invece. v-ibra di assonanze più quiete. Il suono si è rarefatto, le linee sono diventate più scarne ancora· e vien fuori il musicista nel più essenziale dei modi. con chitarra e voce e anima spalancata. senza trucchi o gioielli abbaglianti con cui irridere l'ascoltatore. Il Barrett più affascinante è qui: nei racconti narrati a fior di pelle. nelle dissertazioni magiche e minute, in Octopus, Terrapln o nella intensa Late Night, dove tutti mostri della vita dell'uomo prendono torma e menano la danza. Un po· di decadenza, qualche sfumatura di febbre e di visione; e soprattutto la voglia di far correre la mente, il desiderio/utopia di mostrarsi completamente con la musica. Davvero due opere signif,icative: e il solo cruccio è l'assenza dei testi, magnifici e tenebrosi, parte nucleare del discorso di vita/creatività che Syd Barrett ha imperniato con l'arte e con la musica, solitario e coraggioso nell'orgia triste dei musicanti d'Inghilterra. r.b. JONI MITCHELL « Court And Spark » (Asylum) Ritorna la dolcissima Joni. figura a tutt'oggi ben diversamente caratterizzata da certe 55

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