GATO BARBIERI 42 quentano una sorta di collegio-ospizio, « La Infancia Desval ida », dove apprendono i primi rudimenti di musica. Il primo strumento che Gato suona è il « requinto », una sorta di piccolo clarino. Il repertorio della banda del collegio comprende marce ed inni. Poi il fratello maggiore, trombettista, diventa professionista e va a Buenos Aires. Dopo un po' fa trasferire tutta la sua famiglia. Gato prima lavora in una tipografia, poi si mette a studiare seriamente il sassofono e il clarino con un professore. A quell'epoca a Buenos Aires i giovani amano il jazz neroamericano, che considerano il nuovo, l'avanguardia, il futuro. Mentre la musica popolare locale, basata essenzialmente sul tango, viene respinta come vecchia e destinata solo ai locali da ballo. Gato, diciassettenne, ammiratore di Charlie Parker, va tutti i lunedì alle jam session del « Bop Club ». Poi, rapidamente, si fa strada e diventa un professionista. Dalla semidilettantesca Casablanca Jazz Band fino all'orchestra e al quartetto di Lalo Schifrin: inoltre Gato suona con quasi tutti i jazzmen americani di passaggio, acquistando in breve la fama di migliore tra i musicisti giovani di Buenos Aires. Poi Schifrin va negli USA, ma Gato è trattenuto dal seguirlo per le sue convinzioni politiche (di sinistra). Ma è venuto il momento di partire, e la sua compagna, Michelle, che ha sempre avuto un ruolo determinante nelle scelte di Gato, pigro per natura, lo persuade a venire in Italia. Si stabilisce a Roma. Qui lo conosciamo come un tenorsassofon ista pieno di grinta c personalità, legato agli schemi dell'Hard Bop allora in voga. Anche se l'Italia non è certo un paese tan lo agguerri lo in fatto di jazz, in Gato si rafforza sempre più l'amore per la musica dei neri di America, con la convinzione che in essa risiedono tutte le caratteristiche fondamentali per un discorso basato sull'energia, sul calore, sull'entusiasmo, sul « feeling», al contrario della musica occidentale che si appoggia principalmente sull'intelletto, sulla ragione. E' una posizione che Gato ha sempre mantenuto e difeso, e che in fondo lo ha aiutato a compiere la sua esemplare svolta attuale. In Italia Gato continua prevalentemente ad aggiornarsi sui dischi, andando però a lutti i rari concerti cli jazzmen americani e suonando con essi, quando possibile. E'· tra i primi ad amare e seguire le rivoluzionarie proposte di Ornette Coleman e di fohn Coltrane: li capisce subito (mentre gli altri musicisti in Italia li accolgono con riserve e perplessità, per non parlare della nostra critica, costantemente su posizioni di retroguardia ...), grazie alla sua grande sensibilità musicale e alla sua buona preparazione ideologica-politica. A Roma ascolta un concerto del quartetto di Sonny Rollins, con il cornettista Don Cherrv, transfuga proprio allora dal gruppo di Ornette: ne rimane veramente impressionato. Quando mesi dopo sa che Don è a Parigi, Michelle e l'amico Gianni Amico, cineasta e appassionato di musica, non devono faticare molto per farlo partire. La prima sera sono al Blue Note, e Gato suona subito con Don: è un amore a prima vista. Nasce così un sodalizio estremamente importante per entram. bi, ma addirittura essenziale per Barbieri. « E' stata una cosa diversa, perché io fino a quel momen to pensavo alla musica in una maniera un po' troppo ristretta. Invece con Don è stato uno shock, tutta un'altra co- ;a. Come un pot pourri di musiche che si suonavano in continuazione, con assoli, con cambi di ritmo.. Veramente è stata una cosa fantastica! ... Ma nello stesso tempo mi creò un problema. E credo che sia stato il problema di tutti i musicisti ciel free jazz: trovare, dopo tutte queste stimolanti esperienze, una propria strada ». Con Don Cherry, dunque, Gato raggiunge risultali importantissimi. Irrobustisce e definisce il suo già personale stile di strumentista, che partito dai classici (eia Lester Young e Coleman Hawkins a Parker), ha recepito criticamente l'esperienza cli Coltrane fino a costruire sul suo tenore un grido lancinante quasi senza chiaroscuri, sospeso tra delirio e realtà, che s'inquadra perfettamente in un'epoca di protesta e cli rabbia come quella dei primi anni '60. Il suono del suo sax è violento e drammatico, è un suono che ha fatto sue le caratteristiche più intime e viscerali della musica afroamerit:ana. Si sente che Gato è diverso da tanti (spesso ottimi) musicisti bianchi, che frenati da un'educazione e da una cultura differenti (soprattutto gli europei), riescono ad ottenere risultati validi solo sul piano della forma, della tecnica, difettando ampiamente per quanto concerne il « feeling», l'impatto creativo. Finora solamente in tali dimensioni gioca la sua origine latinonamericana e la passionalità della sua gente. E le conseguenze si fanno sentire!. .. Con Cherry, inoltre, ha modo di suonare con uomini di valore, non solo i migliori che la scena europea possa offrire al momento, ma poi, quando Don riesce a portarlo per la prima volta a New York, solidarizza e lavora con i più grossi nomi della « New Thing » mondiale. Registra nel gruppo di Cherry con uomini come Pharoah Sanders, Eddie Black\v-ell, Henry Grimes, e con emigrati come lui del calibro di Karl Berger e J.F. Jenny-C!ark. Entra nel giro della •JCOA cli Cada Bley, un'associazione molto agguerirta che riunisce quasi tutti i migliori musicisti residenti a New York, e registra anche con loro in grossa formazione (ma Gato ha sempre un ruolo di solista in evidenza). Ma con Don Charry Gato comincia soprattutto a porsi problemi espressivi di natura sociopolitica: il suo orizzonte si allarga non solo dal punto di vista della maturità tecnica, ma egli, alla pari degli uomini più seri della« New Thing », come Sun Ra, Archie Sheep, Ceci! Tay-
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