lata - Samba l'a Ti, deliziosa piècc eia serate nostalgiche e l11cide111at Nes'1abut stupendo attimo cli musica asettica chiusa in vitro. l n mezzo a tutto lui, San tana, con chitarra fiera ,e semplicissima, con inccclcrc felino e m:iestoso, .:on la spudorata k1iunc di 1-lendri, falla rotolare in mondi di velluto _su su verso i capelli dell'Orgasmo. Ma ogni cosa resta distante, non si salda mai: come far combaciare la trepida anarchia cli quelle corde percosse con gioia e la severa freddezza cli quello che sta attorno, musica per sere dorate, suono per velluti e flauti d'argento? Abraxas ancora si salva con il tocco della fiaba, con quel levigare sino alla pazzìa note e rumori che alla fine mette qualche frutto: ma un album come il terzo; si perde nell'autoglorificazione barocca, nella carezza all'intimo fulgore (e Caravanserai e l'orrido live sputano fuoco, invece, e inutile ruggine, cercando di farci ingoiare a forza un suono che in tutta onestà non si può digerire). C'è tutto un mondo dietro la musica di Santana: ma è un Universo lontano· e irraggiungibile, che nemmeno per un attimo occhieggia e getta semi tra le pieghe del suono: ed è il cosmo della musica pura, del ritmo tagliante, della frenesia, della danza vorticosa. Apriamo bene le orecchie: quella è la' verità e questo comodo ripiego quella è la strada giusta è questo è tenera sciocchezza. Chiediamo l'impossibile è schiacciamo con i desideri le tastiere di educati pianoforti, e impicchiamo le serate di « jazz» e profumi (Carlos Santàna non h.'l ancora imparato ad imbracciare il fucile della musi40 ca, e in fondo merita i coriandoli di mito che gli pio- \·ono addosso ...). (Non si parla mai del Santana «californiano», dell'uomo nato e cresciuto sotto le fronde di San Francisco la bella. Ma in realtà qualcosa andrebbe detto anche di questo, e cioè del nascere del suo stile immediatamente dopo Montcrcy e l'illusione/ guerra hip, nelle calde serate al Wintcrland o al Filimore \\'es1 - c'è: il ricordo di una grande noi te cL_buoni spiriti sotto il tendone dì Bill Graham, diciamo il 16 giugno 1968 con Big Brother, Steve Miller, Dan Hicks, e Sandy Bui!, un « bencfit » per quelli del Matrix e lui Carlos giovane-santo per la prima volta sotto i fasci di luce dell'ex impero Jefferson. Tempi andati. Carlos Santana ha incarnato la voglia smisurata di good vibrations della seconda epoca della Baia, una volta smessi gli abiti psichedelici e non ancora accesi i fuochi country, quando l'interesse della gente era per il ritmo scuro e magari anche «esotico», e dunque Tower of Power, o Cold Blood e Santana appunto. Ed è un vero peccato che non esistano registrazioni dell'artista prima di Woodstock, se si esclude un meraviglioso brano di tenero blues sul doppio Live Adventures di Bloomfield e Kooper - Santana già grandissimo e cristallino, qualche miglia oltre il povero Mike in imbarazzlrnte disarmo ...). Il misticismo dell'artista, un altro dilemma. Ne parlano tutti col sorriso a fior di labbra, Carlos così spaurito e giovane, con capelli corti e strenua voglia di « amo1·e universale »: e tutti raccontano le ,EO!ite amene imbecillità tristi su guru e mondo orientale: ma noi vorremmo solo dire della ingenuità, della debolezza, del pallido volto che le cose mostrano. Santana cerca ma non ottiene, domanda ma non riesce ad avere: e allora quella consapevolezza che gli brucia dentro, il fuoco giusto di « dovere» la musica a Qualcosa, a Qualcuno, appassisce e muore da sé, nel gorgo di un musicista che assolutamente non riesce a colorare i petali intimi. In tutto il suo excursus musicale, a Santana è riuscito un solo bacio alle stelle: con Singing Wind Crying Beasts, l'ouverture ad Abraxas, in quel gioco di chitarre e pianoforti che era estemporaneo tentativo di parlare alla mente e all'anima, oltre il rugginoso panorama del corpo. Ma dopo? Caravanserai freme di ascetiche voglie, il terzo album spara cartucce di routine: ed è un « confezionar climi », ancora una volta, senza che il respiro salga eia solo, sibilando come una canna d'organo. E Love Devotion Surrender non è forse la disperazione della miseria; il grido angosciato di chi tenta e non ha in mano nulla? Non gioco di furbizia, non astuto « prodot• 10 »: ma tratteggio d'incredibile ingenuità, dove il desiderio è spacciato per risultata, dove il sogno mangia il cuore alla realtà e la « sacralità» è feticcio invocato e mai effettivamente fatto sorgere innanzi. Carlo Santana è ben lontano dall'infinito, dal puro spaziare di suono: e solo cli rado gli riesce di toccar la barba al Supremo, come in quel dolce e vaporoso collage che è Mother Africa sull'ultimo Welcome, dove final· mente la musica è grande, ampia, fremente, e lo stile ciel nuovo Santana (il tirar lungo le note, il godere di silenzi e cauti ricami, via via dai duri soprassalti di ieri) ha dignità e luce, e prende alla gola. Un colpo di sciabola che non può cancellare incertezze e falsi pudori, e tutto un guardare il mondo poco lucidamente. L'artista ha intuito qualcosa, ha capito il nesso tra Vita e Musica, ha compreso il battere del polso Universale: ma non sa metter per iscritto l'equazione, non riesce a svelare il segreto: davvero non bastano le frasi lu· minose e le amorevoli « dichiarazioni di guerra »... E allora? Tra jazz all'odor di rosa, ritmo preso da elenchi telefonici e tenera sabbia « mistica », Carlos Santana esce con le ossa rotte: e ora c'è anche l'ombra grifagna di un Leon Thomas che getta benzina sul fuoco della confusione, tanto i suoi interventi sono sconnessi e poco funzionali al « nuovo corso» dell'artista, deciso almeno all'appa· rcll7.a a farla finita con la musica luccicante. Il Santana d'oggi infatti si muove, tenta carte diverse, cerca verginità inattesa smettendo gli abiti cli ieri. Ma siamo sempre nel l'mbo d::1lc intenzioni, delle pie preghiere: la chitarra ha smussalo l'antica disperazione, la superbia si è accartocciata teneramente sino a farsi umiltà, l'organo ha preso il sopravvento nella scacchiera strumentale, in un fuoco d'artificio che vorrebbe tendere a uno stile compatto, universale, denso cli colori. Ma intanto il ritmo indugia lungo gli stessi viali di ieri, e i climi nascono a fatica dalle intricate elucubrazioni che mangiano il senno alla spontaneità: e la « pace interiore» che l'uomo pretende di aver trovato nella giostra della vita è ben lungi dall'incarnarsi in suono, dal farsi nota e vibrazione. Santana si è compiaciuto di futili cose per troppo tempo, perdendo fiato e idee lungo i sentieri della formula fatta e finita: ed è quindi chieder troppo che tutto si appiani in un momento, che il passato svanisca e la chitarra voli in alto distruggendo l'ipocrita castello della musica attorno a sé. Ma c'è il rischio che per fuggire da una gabbia si corra verso un'altra prigionìa: e non è forse questo il senso :iascosto di Love Devolion Surrender, la nevrotica debolezza del lavoro, fatto di assalti sconclusionati verso un ipotetico misticismo in musica? A Santana non chiediamo un mutamento di forme, ma un cambio nello spirito: all'artista non domandiamo un nuovo campionario cli fatue « bellezze», ma l'esplorazione decisa e bella della mente e delle sue immagini. Un Santana «mistico» che faccia il paio con quello « sudamericano» può esser utile solo alla girandola del Consumo: noi stiamo ancora aspettando lo uomo libero e terribile sognato a Woodstock, lo stregone d'inquietudine, l'esploratore di terre nere e rosa oltre ogni inganno e ogni triste « diver· timento ». Riccardo Bertoncc-lli Foto di Piero Togni
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