OHTUV, ECCHBIOOBDYLAN sente l'ora, ma lui che era fatto così dice dai dai e andiamo e sulla tangenziale carichiamo questo tizio e ce lo portiamo dietro, (lui che voleva andare a Firenze), a mangiare salame e a bere albana. E Ludi poi se lo porta anche a casa sua a mangia re, e ci incontriamo nel pomeriggio, in giardino da Ludi, che aveva quel registratore con tutte le canzoni che ci piacevano allora, e c'era Brel, c'era Brassens, c'era Amodei, e qualcuna delle mie d'allora, tipo « le belle domeniche ». Palo Alto per ascoltare ascoltava. anche le nostre traduzioni, ma credo che non capisse bene queste cose, o che non gli importassero molto, perché poi gli americani sono così, se le cose non le hanno fatte loro, o non è arte del rinascimento, non è che gli interessino particolarmente. Folklore pataccaro, monumenti, e via andare, i ragazzi. E fa: « Conoscete Dylan? » « Certo » dico « Dylan Thomas ». E lui fa « No, no, Bob Dylan! Oh me, he's great! ». Bob Dylan è, per me, quel ragazzino americano, amico di mio fratello ma un poco più vecchio di lui, a Bologna con quella sua strana madre e un numero incredibile di fratelli più piccoli (come solo riescono ad averne gli americani) e questa sua strana madre a Bologna per un anno a scrivere un libro di cucina, o di viaggi, o qualcosa del genere. Venne un giorno a casa mia con dei dischi finalmente DISCHI, di Dylan e Guthrie. E soprattutto c'era quel meraviglioso « Freewheelin'», con «Don't think twice», e « Blowin' in the wind » e « Hard rain's », e i « Talkin' blues» di Dylan e di Guthrie, e io là ad ascoltarli per pomeriggi e a cercare di capire le parole, con gli amici di allora, poi a cercare di ripeterle, e a tradurle, e a buttare quei giri nuovi d'accordi sulla chitarra e in poco meno di tre mesi vennero fuori Auschwitz e Noi non ci saremo e E' dall'amore che nasce l' uomo. L'idea di « Noi non ci saremo » poi stranamente uscita da una mia strana interpretazione di Mr. Tamburine man. Bob Dylan è per me il primo folk-studio bolognese, le nostre idee di allora, le nostre discussi )Ili di politica e di musica, e il viaggio ad Amsterdam, coi primi soldi del26 le prime canzoni uscite. Ad Amsterdam era tempo di «provos » e io e Claudio con le nostre chitarre a cercarli, lungo i canali e negli scantinati; i provinciali che non capivano bene la situazione, un po' ·sospettosi, un po' curiosi. noi ancora coi capelli corti, arrivati là ouando il movimento stava già morendo. E quella marcia per il Viet-nam, In· centro ad Amsterdam, e io che cantavo « Masters of the war » e stranamente l'uomo della TV olandese venne a intervistare proprio me, forse si vedeva che ero straniero, e d'isse, perché questo, perché queste canzoni, e io a spiegare perché, e cos'erano quelle canzoni, e cosa rappresentavano. Ci si credeva, voglio dire: « I sempi cambiano, i tempi stanno cambiando» e in un certo senso era anche vero. Anche il nonno di quella ragazza, Nike, se ne stette tutta .una mattina ad ascoltare quelle canzoni, le mie e quelle di Dylan, con attenta pazienza, perché la nipote gli aveva detto « Ascoltale. sono nuove, sono importanti» e lui, il vecchio famoso a1·chitetto, in quella buffa casa piena di strani oggetti e disegni e sculture e foto, si emozionò, si esaltò, forse un po' gigionesco, dicendo cose tipo io credo ai giovani, mi piacciono, sorgono sempre, stanno ribellandosi, stanno arrivando, portando nuove forze, come i popoli del terzo mondo. Non tutto vero, forse retorico, ma allora era bello, come, nella confusione di allora, cantare Dylan, di sera, dentro le facoltà occupate, quelle prime volte. Bob Dylan è, per me, il '68-69, l'arrivo a Bologna di Debby e di quel gruppo d'americani miei allievi coi quali si era sempre assieme. Forse gli ultimi anni interessanti di questi ultimi anni. E vuol d:re Gandolfi, l'osteria fuori porta d'Azeglio, prima che diventasse un posto importante, di moda; solo noi e i vecchi, prima, poi tutta la genté che ci seguiva il giovedì sera, e poi anche le altre sere. C'era anche Alex, greco, e tutti i suoi amici, Janis che ballava, e il vecchio Bergamini con la fisarmonica, a cantare mezzo francese e mezzo italiano, lui che aveva portato dalle « mine » quello strumento e la silicosi. E infatti due anni dopo, quando il Moretto che aveva preso il locale me lo fece rivedere, ed erano due anni che non ci entravo, di proposito, e anche allora non sapevo che sarebbe diventato un posto importante, vidi su un mobile, fra la polvere e la confusione lasciata dagli imbianchini la fisarmonica di Bergamini. E il Moretto mi fa « Sai, l'ha lasciata qui, poi è morto, e nessuno l'è venuta a riprendere » e fu un colpo davvero, e scrissi quella canzone « le osterie di fuori porta » anche per lui, per Bergamini, e non solo per quello che noi eravamo allora. Che a raccontarlo così fa un po' cineromanzo, ma a farle, le cose, è differente. E c'era Lynn, la strana Lynn che cantava assieme a me Mr. Tamburine man, ubriaca di vino da 250 lire la bottiglia, allora, e crollava sotto ai tavoli ridendo e piangendo; e c'era Frascari, un vecchio contadino che ci portava a casa sua alle tre di notte, quando Gandolfì chiudeva, e tirava fuori vino e salame e pane e ciccioli, e faceva friggere la salsiccia alla moglie che si alzava e ci guardava sbalordita, e noi ancora a cantare, sotto gli occhi stupiti delle figlie che dovevano andare a lavorare. Chissà se a Dylan fischiavano le orecchie, in quei momenti? Certo, la situazione, non se la poteva immaginare, noi là, americani greci e italiani, sulle colline di Bologna, a urlare « it ain't no use to sit and wonder why, baby» fin quando Frascari andava a mungere e noi voltavamo le macchine verso Bologna. Ma già tutto sapeva di qualcosa che stava per finire, o che doveva finire, anche se forse non ce ne accorgevamo; eravamo felici, anelava bene, e non guardi mai molto avanti, in quei momenti. Ma non ritrovai Dylan l'anno dopo, in America, e non c' erano le cose che avevo pensato di vedere e di trovare. Già Dylan, per dire solo lui, era come invecchiato, e non lo si cantava più. Farlo, sembrava di ripetere qualcosa di già conosciuto. C'erano altri nomi; lui, chissà dov'era, era già passato; di presente c'era la malinconia e la voglia cli tornare a casa per vedere se era possibile ripetere quelle cose che non si possono ripetere. Al massimo, si fanno diverse, con altra gente e in altri posti. Le cose finiscono e i miti passano, restano i ricordi. E anche Dylan, in un certo senso, era scomparso. Ma Dylan è stato per me quello strano personaggio di un film, « Pat Garret » quando lui, proprio lui, così piccolo (e Debby, che l'aveva conosciuto e ci aveva suonato assieme, a New York, me lo aveva detto, che era piccolo) quando lui dicevo esce fuori da quella porta e il tizio gli fa: « Come ti chiami» o « E tu chi sei?» qualcosa così, non ricordo bene. E lui sta un attimo zitto, e poi risponde: « Che domande ». E quella strizzata d'occhio, fatta a quelli che l'hanno capita, mi è piaciuta, e mi ha ricordato tutte le cose che erano state e che avevamo fatto, assieme a lui; e forse più grandi di lui. Francesco Guccini
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