ARTICOLO DI FRANCESCO GUCCINI dove un'occasione per parlare del misterioso e remoto bardo di Woodstock ( on Avon) si risolve in un'occasione per ricordare cose e persone che forse poi non c'entrano molto (o c'entrano definitivamente). Dice: « Non faresti un pezzetto su Dylan? Potrebbe es· sere interessante e tutto il resto "dice" sai, uno che fa canzoni, che scrive su un altro che fa canzoni, uno che poi ha avuto tanto peso eccetera eccetera ... » E io dico: «Perché no?» e l'idea mi sembra buona, e anche in un certo senso divertente. Si era più o meno in settembre, e a me piacciono i progetti a lunga scadenza, voglio dire che certe cose come idee lì per lì mi piacciono, ma spesso restano tali, nel senso che l'idea è buona, ma poi mettiti lì alla macchina da scrivere a tirar fuori le cose da dire. E poi non sono un critico; i dischi me li ascolto così, li metto su poi mi piacciono o no, parlo soprattutto dei testi, li ascolto e certi testi mi lasciano steso, e mi piacerebbe averle scritte io, quelle parole. Così ti rimangono dentro, te le rimescoli senza accorgerti di niente poi, anche dopo un anno magari, tiri fuori la tua, di canzone, non copiata, i-ntendiamoci, ma c'è sempre qualcosa da imparare, e in questo senso Dylan per me è stato importante. Ma una critica, o qualcosa di simile?! Sai, in giro c'è ouella gente (bravi, voglio dire) che sanno anche di che colore era la camicia che portava nel concerto quello là di quell'anno, che corde montava sulla chitarra, perché ha smesso di usare quelle, e giù giù fino a tutta la formazione del complesso in ordine alfabetico: Abbati, Abbondi, Accursi, Barigazzi, Bufalini. .. Poi allora dischi da ascoltare non ne avevo; era già molto se riuscivo a mettere assieme le duecento per le Nazionali senza filtro, mica storie; il giradischi sì, un mono bestiale con una puntina da 350 Kg. e non è che gli amici me li prestassero volentieri. Così dico: « Il pezzo lo faccio, ma in un altro senso, cioè diciamo cos'è stato Dylan, e lasciatemi sbrodolare addosso un po' di ricordi, che in quel senso a volte mi viene anche bene, e diciamo cos'è stato Dylan, ma soprattutto chi era che lo impersonava e cosa accadeva in quegli anni, a cominciare circa dal '64. E Bob Dylan, per me, era quel tale Joe Novitsky, che si faceva chiamare « Gringo » perché aveva fatto il corrispondente del N.Y. Times in Sud-America, dove credo sia ora a fare la stessa cosa; e pare che là lo chiamassero così. « Gringo » girava con un paio di stivali da CO\V·boy estate e inverno; ma d'inverno ci metteva sopra anche giubboni di pelle e strani copricapi (ora non so se DAVVERO portasse strani copricapi, ma ne era il tipo, voglio dire); girava spesso con una custodia nera e dentro c'era una Gibson, la prima che abbia mai visto, e la cosa, dico, la chitarra, era già un bel colpo, se la si paragonava alla mia, allora neanche Masetti, una Carmelo Catania tutta tenuta assieme dallo scotch nero perché avevo avuto la pessima idea di caderci sopra rientrando una sera. Joe studiava allora alla Johns-Hopkins, e ci si incontrava al giovedì sera in un posto che si chiamava la «Grondaia»; lui suonava roba americana, io le mie canzoni d'allora, come « il 3 dicembre del '39 », « l'antisociale» eccetera. E lo avrei ascoltato delle ore, per quel suo arpeggio maledetto che guardavo guardavo e non riuscivo a imparare. Gli avevo detto: « Insegnamelo» e lui me lo aveva anche insegnato, ma così, in fretta, e ovvio non ero riuscito a imparare niente. « Ma che arpeggio è?» « Boh » diceva « è il travi's pick, o chiamalo come vuoi ». « E questa canzone di chi è?». « Di Woody Guthrie ». « E chi è Guthrie? ». « Un vecchio folksinger, un "hobo"; è bravo, ora ai giovani piace Dylan, ma Dylan canta come lui, ha preso tutto da lui ... ». « Dylan, e chi è Dylan? », ma poi non mi interessava molto, chi era Dylan, mi interèssava più quell'arpeggio, pollice, pollice, medio, pollice, medio, indice, pollice ... Poi Bob Dylan è, per me, quell'autostoppista americano di cui non ricordo il nome, solo che veniva da Palo Alto, California. Solo il nome, per me allora, una specie di mito, in cui entravano Steinbeck, la California e tutto il resto; i figli dei fiori, allora, di là da venire, almeno da noi. Fu nello stesso anno, l'anno di Joe, più o meno il '64 credo ma la memoria ,'ei ve~rhi sp~sso s'incasina. Palo Alto era sulla tangenziale, che faceva l'autostop, e Ludi mi era venuto a prendere quella domenica mattina verso le I I perché aveva scoperto quell' osteria deliziosa, dice, dove c'era, (appena fuori Bologna, due passi, ho la macchina qui giù), « un salame e un'alba· na che non te li devi proprio perdere ». Ma dico, hai pre25
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