muzakLP felice, che il continuare a parlarne costituirebbe un grave torto alla considerazione e al rispetto che un personaggio come Dylan, nonostante il suo ultimo controverso periodo, continua in ogni caso a meritarsi ampiamente. Il vero nuovo disco di Dylan è dunque « Planet waves »: e qui, di colpo, ci troviamo trasportati a livelli d: gran lunga superiori. Registrato durante lo scorso novembre con l'aiuto della Band, il disco è uscito contemporaneamente alla lunga, sensazionale tournée americana intrapresa con colossale successo da Dylan durante lo scorso gennaio. In esso. pur ribadendo attraverso le liriche dei dieci brani contenuti di voler rinunciare alla sua vecchia immagine di santone della rivoluzione e di mito della nuova generazione. Dylan abbandona musicalmente i melensi atteggiamenti che avevano contraddistinto il suo ultimo periodo artistico, e recupera la grinta acida. oratoria, aerea dei suoi momenti migliori, riportando persino l'uso della voce ai toni secchi, scarni, particolarissimi dei tempi andati: il tutto, però, non si limita ad una mera rievocazione di atmosfere passate, ma si trasfonde in una musicalità decisamente matura, perentoria, sicura di sé. La ricchezza strumentale si riallaccia, negli arrangiamenti, alle indimenticabili atmosfere di « Bionde on bionde». Tutti i brani risultano di gran lunga positivi, e in particolare night like this ». la lenta ballata di « Hazel » venata di malate malinconie, la misteriosa e onirica «Wedding song ». Finalmente è dunque giunto il grande ritorno, che ormai stavamo rassegnandoci a non aspettarci più, da parte di un grandissimo artista, la cui tormentata figura. che lui lo voglia o no, continua a rimanere un simbolo sconcertante per la nostra generazione. M.I. DISCHI D'IMPORTAZIONE Slll1EltlttNIC Via Gregorio VII, 391 00165 Roma - Tel. 637.79.04 HORSLIPS Happy to meet OATS Scoprire oggi tra la torma di nuovi complessi che la Gran Bretagna estrae dal cilindro i nuovi Gentle Giant. i nuovi Van Der Graaf o magari i nuovi Genesis non è certo una cosa facile: innanzitutto perché si è registrato un tale livellamento che ha precluso la strada a formule veramente nuove, poi perché e scoprire• un qualcosa di nuovo per un pubblico che già conosce tutto o quasi tutto non è certo facile, e per ultimo perché questa straziante crisi energetica incomincia a rendere impossibile l'esportazione dall'ln56 ghilterra di quei pochi dischi nuovi che vengono sfornati. Dunque la prima volta che ho ascoltato questi Horslips ho pensato finalmente di essermi imbattuto nel vero gruppo del futuro, la seconda volta ho cambiato nettamente idea e ho pensato che non valessero poi tanto: oggi dopo lunghe ore di ascolto di questo Happy To Meet posso tranquillamente dire che gli Horslips sono veramente una delle poche cose nuove spuntate fuori ad un certo livello da un anno in qua. Se sapranno sviluppare a fondo i loro temi migliori raggiungeranno dei livelli elevatissimi, se non ne sapranno approfittare ricadranno nell'anonimato: la risposta è più immediata di quanto pensiate: probabilmente nello stesso momento in cui leggete quesie note io sto ascoltando il secondo, agognato, album degli Horslips che esce proprio in questi giorni in Inghilterra. In attesa di una risposta definitiva esaminiamo ora questo HapPY To Meet la cui data di pubblicazione risale a sei mesi fa. Quell'operazione tentata in parte da complessi come Jethro Tull o Gentle Giant, cioè un proficuo avvicinamento tra rock e musica popolare inglese, è la operazione che gli Horslips conducono felicemente in porto. Da una parte la musica popolare inglese con i suoi ballabili allegri, le cantate maliziose, il suono accattivante dei flauti e dei recorders, il violino sgusciante, dall'altra il rock con le sue chitarre elettriche dure e prepotenti, i giochi pieni di suggestione delle tastiere, i ritmi violenti: ecco quà la musica degli Horslips. Veloci corse di ritmi. improvvisi squarci di antiche marce militari o di gighe, a soli feroci di chitarra. momenti statici in cui gli strumenti si beano del loro suono. in cui l'aria risuona solo di echi: peccato che al complesso non sempre riesca di mantenere viva questa tensione, che ogni tanto si perdano le redini del discorso e si ricada nella noia dell'inutilità. Peccato perché certi ritmi, certe allegre suonate di strumenti, coralità un po' ubriache e felici, certe rifiniture sono veramente senza uguali: se ci fosse una maggiore coerenza, un'accentuata ricerca compositiva saremmo veramente davanti alla perfezione. Gli Horslips non sono un gruppo di folk inglese, sia ben chiaro: se ne fottono allegramente degli schemi e di certe antiche regole. ma nello stesso tempo non vogliono ricadere nell'orgia dei luoghi comuni del rock: propio a causa di ciò credo possano venire incontro ai gusti degli amanti di questi due mondi musicali, di tutti coloro che ne vogliono spezzare la monotonia. Originalità stilistica a parte credo sia anche il caso di ammirare la preparazione e la tecnica dei musicisti che compongono gli Horslips e cioè di Jim Lochart, tastierista quanto mai originale spesso occupato a flauti e recorders vari, Johnny Fean, chitarra elettrica e acustica, Barry Devlin, basso e canto, Eamon Carr, batteria, Charles o· Connor, violino elettrico ed acustico, mandolino elettrico e acustico. concertina (la fisarmonica ottagonale inglese) e canto. Molto indovinata la copertina a forma. appunto, di concertina apribile: bella ma delicata, que-. sta la ragione per cui non ne vedete la foto qui sopra. PETER YARROW That's Enough For Me WB M.F. Il sottoscritto recensore dopo aver ascoltato per tutta una mattinata dischi di Terry Riley, Paul Bley, Can e risultandone il suo cervello praticamente fuso, si è imbattuto con gioia in questo misteriosissimo disco di tal misteriosissimo Peter Yarrow: chi è costui? Sarà indubbiamente alla sua opera prima, ma non è detto che poi spuntino fuori decine di album che Peter aveva registrato in gioventù. Americano o inglese? Il disco è registrato per un terzo negli USA, un terzo a Londra e il resto in Giamaica, il mistero quindi rimane. Ma dietro i suoi occhialetti cerchiati di metallo Peter Yarrow nasconde il classico aspetto del piccolo e felice frustrato americano. Egli canta, canta canzoni semplici e in sintesi alquanto piacevoli: le ha composte lui, oppure le ha rubate a Paul Simon, che dalle note di copertina si intuisce essergli amico, oppure le ha carpite a Jimmi Cliff durante il suo soggiorno giamaicano. E proprio a Giamaica Peter ha fatto le cose migliori; accompagnato dagli allegri suoni di Pops, percussionista, e di Huks, chitarrista, e dalle stupende voci negre in controcanto di Toots, capogruppo del coro dei Maytals. Peter si getta con spensieratezza nel mondo traboccante di ritmo del reggae. uscendone fuori a meraviglia. Quando il reggae viene a mancare Yarrow cesella invece atmosfere piene di pathos e di emozione: sono canzoni, ripeto, senza pretese rivoluzionarie, melodiche e orchestrate con una cura incredibile da quel Dave Katz che è oggi uno dei direttori d'orchestra più di moda nel
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