Muzak - anno II - n.05 - marzo 1974

che emerge particolarmente e si conferma anche tecnicamente come uno dei migliori chitarristi della scena americana, ad eccezione di un robusto country del notissimo reverendo Gary Davis. Nonostante qualche sbavatura e incertezza, che continuano a farci preferire il precedente « Burgers », questa nuova fatica del gruppo californiano (che, pare, si sia in questi giorni definitivamente sciolto) resta dunque una opera riuscita e di gran lunga positiva. FLETWOOD MAC Mystery To Me Reprise M.I. Fletwood Mac resteranno nella storia per essere stati il complesso di Peter Green, una delle figure più originali e di spicco del passaggio tra anni sessanta e anni settanta, un chitarrista dallo stile nettamente diverso dagli altri. Dopo un certo periodo Peter abbandonò i Fletwood Mac e finì col fare l'infermiere: ora il suo ritorno alle scene è sicuro, si parlava addirittura di un ricongiungimento con il vecchio gruppo, ma quest'ultima ipotesi sembra quanto meno improbabile. Intanto i Fletwood sono andati avanti senza Green: più che andare avanti direi che sono andati indietro riuscendo a combinare da soli, attraverso un continuo mutare di formazioni. poco di buono. Solo l'altr'anno con l'album Penguin, il gruppo è apparso finalmente con un volto nuovo e sicuramente valido. Questo Mystery to me non fa altro che avanzare sulla strada tracciata con Penguin mostrandoci un complesso senz'altro non sensazionale. ma piacevole e spigliato, capace di sorprese. La prima sensazione che si ha ascoltando questi nuovi Fletwood. rinnovati anche rispetto al Penguin, rispetto a cui si sono persi il cantante Dave Walker, è che non abbiano niente in comune con i primi Mac. La sensazione è quella di trovarsi invece che davanti a un gruppo britannico, davanti al complesso americano: gli impasti vocali. le armonie in grande rilevanza. e la mancanza di una caccia al suono tipica del rock inglese, fa veramente pensare che i Fletwood abbiano grandemente risentito dell'influenza statunitense. soprattutto di certi gruppi di country abbastanza annacquato. Mystery to me raccoglie una serie di brani molto piacevoli, privi di esagerate pretese, retti da una ritmica non oppressiva ma che si fa sentire soprattutto grazie ad una certa originalità dei tempi che la muovono. le chitarre giocano spesso tra di loro, le tastiere non hanno funzione predominante ma vengono plasmate con gusto e varietà da Cristine McVie (le tastiere incominciano a diventare uno degli strumenti preferiti del « gentil » sesso) mentre alla batteria con il suo tocco inconfondibile siede ancora quel Mike Fletwood che della formazione originale fu uno dei fondatori. In sintesi un album positivo che a lungo andare riesce a farsi amare grazie ai suoi toni distesi, alla varietà con cui è composto: sorprese? Sì. una. l'inaspettata nuova versione di For You Love, già colossale successo degli Yardbirds: anche se minore per tensione e sonorità all'originale. ì1 brano conferma l'essere una delle più belle cose che il rock ci abbia mai regalato. GEORGE DUKE The inner source (MPS) M.F. Per chi non lo conoscesse, George Duke è uno dei migliori pianisti americani nell'ambito di quel nuovo jazz che sempre di più va liberandosi dei suoi connotati tradizionali per sfociare in una ricerca più vitalmente aperta a quanto di positivo può essere recepibile dal rock di avanguardia come da qualsiasi altra valida fonte di ispirazione. Di lui ricordiamo particolarmente la lunga e proficua collaborazione con Frank Zappa, sfociata nei vertici sublimi della seconda facciata del « Grand Wazoo ». che lo vede appunto brillantemente impegnato al piano elettrico, e inoltre i due LP incisi nel 1970 con Jean-Luc Ponty, ricchi di fascino e creatività, e infine anche le sue recenti collaborazioni, in un ambito un poco più tradizionale, con Cannonball Adderley. • Questo doppio album, anche se vede la luce soltanto in questi giorni. è stato registrato nel '71, con la collaborazione di altri musicisti notissimi nel « giro» dei club californiani di musica d'avanguardia come James Leary, Jerome Richardson, John Heard. Dick Berk e persino due del «giro• dei Santana. vale a dire Luis Gasca e Armando Peraza. La musica che si sprigiona da questa incisione è quanto di più libero, informale, e mai pesantemente intellettualistico, il che non guasta. si possa ascoltare: i climi variano e spaziano da un'atmosfera disincantata e fluente ad una più contenuta e «organizzata». a un'altra più irruente e immaginifica: tutti gli strumentisti sono eccezionali, e il piano di Duke si mette costantemente in luce per il suo stile scintillante, veloce, ricco di irruenza. Da « Feel so good » a « Lite » a « So there you go » a « Solus • a « Nigerian numberuma », alcuni tra i titoli più riusciti, II suono di George Duke ci trasporta per un poco in un fragile mondo, in bilico tra favola e paranoia. M.I. TEMPTATIONS 1990 (Tamia Motown) A breve distanza dal triplo album edito per commemorare la decennale presenza sulle scene dei Temptations e contenente tutte le loro più note esecuzioni. esce ora il nuovo album del gruppo negro di rythm & blues che è stato tra i pochissimi esponenti di questo discutibile genere musicale a saper rinnovarne positivamente e modernamente i loro contenuti, tanto da continuare a fornire negli ultimi tempi, a partire soprattutto dal loro precedente LP • Masterpiece ». un prodotto musicale commerciale senz'altro, ma ricco di buon gusto e di novità tanto da accostarsi, per il particolare stile percussivo e corale e per un certo spirito interiore. a quella generale tendenza di rinnovamento che, in dimensioni chiaramente diversissime, accomuna musicisti provenienti da generi anche differenti tra loro, come John Mclaughlin, Carlos Santana, l'ultimo Miles Davis o Sly Stone, naturalmente, ripeto, fatte in ogni caso le debite proporzioni. Questo nuovo album, atteso con curiosità, si conferma all'altezza delle aspettative, in particolare con i due lunghi brani che occupano la seconda facciata, « 1990 » e «Zoom». dalle strutture dilatate che tentano, nei limiti di questo tipo di musica, un discorso più ambizioso e ampio. A questo si aggiunga la furba e abilissima produzione di Norman Whitfield. da molti anni l'autentico «Pigmalione• del gruppo, che come di consueto riesce nuovamente a fare centro. I brani della prima facciata. più brevi, sono anche più vicini alle abituali caratteristiche dei Temptations, e quindi un tantino meno originali, eccettuati gli esempi più sofisticati e robustamente costruiti di « Heavenly » e « Ain't no justice ». In definitiva, un disco commerciale ma anche sinceramente interessante. che consiglio pure a coloro che amano la musica più impegnata e cerebrale, M.I. BOB 0YLAN Dylan (CBS) Planet waves (Asylum) Escono quasi contemporaneamente due nuovi LP di Bob Dylan. dei quali, però. soltanto il secondo, « Planet waves •· è da considerarsi il suo unico, autentico «ritorno». L'altro disco, infatti, quello intitolato « Dylan », è stato fatto uscire per dispetto dalla Columbia. contro il parere dello stesso Dylan, con l'intento. in definitiva poco onesto. di inflazionare il mercato. dopo il passaggio del grande folk singer americano alla nuova etichetta Asylum; il disco. completamente raffazzonato. contiene alcuni brani inediti registrati tra il '69 e il '70 e a suo tempo scartati dalla pubblicazione. Scarti, quindi, e per di più di un periodo tra i più artisticamente infelici di Dylan, quello melenso e irritante di « Selfportrait » e « New Morning •: inoltre soltanto due o tre canzoni sono attribuibili a Bob. mentre le altre sono state composte da altri. Immaginatevi che Dylan, con voce gorgheggiante, canta persino due vecchi hit di Elvis Presley. Si tratta, in definitiva. di un disco così in55

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