Muzak - anno II - n.05 - marzo 1974

teotro La scorsa stagione teatrale potrà a buon dirltto essere ricordata negli annali come quella del boom del teatro di sperimentazione. Se si esclude il trionfale successo del Risveglio di primavera di Nanni, risalente a due anni fa, si può dire che tutte le grandi « rivelazi<:mi», gli spettacoli che hanno improvvisamente portato sui giornali nomi fino ad allora noti solo nell'intima cerchia di pochi addetti ai lavori, sono andati in scena nel 1973. Ma se, ancora a metà anno, è già lecito fare un primo bilancio, mi sembra si possa dire senza esitazioni che anche questo primo scorcio di stagione sia stato ricchissimo di novità e di motivi di interesse, accompagnati, il che non guasta mai, da una prima possibilità di discorso critico generale su un fenomeno che, evidentemente, non va paternalisticamente considerato come sottoprodotto margiale, ma che ha pure innegabilmente delle caratteristiche proprie, diverse da quelle del teatro tradizionale. E proprio come riconferma e chiarificazione di queste caratteristiche, delle differenze tra un regista e l'altro, tra una compagnia e l'altra, sono arrivati i tre spettacoli migliori di questo inizio del '74 e cioè Le tre me/arance di Mario Ricci, il Tarzan di Memè Perlini e L'angelo custode di Marini (presentato quest'ultimo anche l'anno scorso al r.:imano e orrf!ai storico Beat '72). Tutti e tre presentati dal:a f,ezione « Teatro Ricerca » dd Teatro di Roma. Come sarebbe una partOLlh', un'or~ia di gruppo, in cui. dopo aver sorseg~iato Jol1-111y Walker e Martini Dry, Biancaneve si facesse tastare da Guglielmo Teli, la strega cattiva dal Principe Azzurro, complici i Bassotti e Frank Sinatra? Un'idea teatrale stimolante, ammettiamolo, e, per l'Italia almeno, molto nuova, questa della rivisitazione in chiave erotica e demistificatoria del mondo di Disney e delle favole. Ed è la parte 46 Tarzan di Memé Perlini nella foto A. Collin e F. Piacentini centrale dello spettacolo di Ricci, che coinvolge implacabilmente chiunque, da Adamo ed Eva in poi, abbia avuto a che fare con una mela. Certo se lo spettacolo si limitasse a questa, per altro godibilissima, satira sarebbe un po' poco. Il fatto è che il filo conduttore della mela attraversa problematiche ben più scottanti e si rivela alla fin fine come lo strumento per un viaggio nel mondo dell'eros e dei rapporti uomodonna visti da un'ottica che tiene intelligentemente presenti le tematiche più interessanti del movimento femminista. Schiava infatti di un rapporto alienante col marito-tiranno è la giovane massaia del lungo filmato iniziale, che protesta, in un'efficace tiritera, volutamente recitata con monotono cantilenare, contro lo. ultimo capriccio del suo uomo, che vuole sempre in tavola le costosissime melarance del titolo. E schiave sono le tre donne del finale che pigre e sensuali non hanno altro scopo che quello di attenàere l'uomo accovacciato per terra a comporre un quadro che sembra quasi una raffinata ricostruzione moderna delle Donne di Algeri di Delacroix. Gli uomini arriveranno, alla fine, e vinceranno le donne giocando ad una colossale e argentea slot-machine, che, all'apparire sul tabellone delle tre immagini uguali (naturalmente tre mele) vomita femmine invece che monetine. Per comporre quello che è indubbiamente il suo spettacolo fino ad oggi più dichiaratamente «impegnato», Ricci si è servito di mezzi a lui cari da molto tempo, come la ripetizione incessante delle immagini, l'uso dei filmati, lo impiego puntuale e ricercato della colonna sonora (che va dal Guglielmo Teli a Strangers in the night), l'amorosa cura per il materiale scenico, sempre efficacemente disposto e sapientemente funzionale e ha dato piena conferma della sua esperienza di veterano e della validità del suo « teatro laboratorio ». Memè Perlini: prima pittore, poi attore nel vecchio gruppo di Giancarlo Nanni. Da quando ha messo su il Teatro La Maschera ha realizzato due snettacoli: Pirandello chi? che fu uno dei successi dell'anno passato e questo recentissimo Tarzan. Rispetto a Pirandello chi?, Tarzan si pone come momento di riproposta e chiarificazione dei temi principali della poetica di Perlini. I bianchi rettangoli luminosi che rompono un buio assoluto ( « la grande subdola Notte » che

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