L'associazione della musica ad altre forme espressive il cui scopo sia quello di adornarne solo formalmente l'esecuzione o di interpretarne fig-urntivamente alcuni significati, non solo è di origine antichissima presso i popoli oggi considerati culturalmente più elevati, ma, come possono ad esempio dimostrare le danze dell'Africa Equatoriale o gli elementi mistici delle musiche orientali, trova applicazione in qualsiasi cultura fin dagli stadi più elementari. Lo stretto legame genetico che unisce musica e danza, e la primitiva origine magico-religiosa di questa, hanno fatto sì che per manifestazione musicale non si intendesse soltanto la produzione delle onde sonore, ma bensì una serie di atteggiamenti, di regole attraverso le quali l'atto dovesse essere compiuto; in sintesi fin dai primordi il suonare un qualsiasi strumento rivela una certa teatralità dell'atto, un'operazione scenica. Da qui traslare il significato dell'atto alla persona che lo compie il passo è breve. Il musicista, la persona cioè che possiede le facoltà o tecniche, o poetiche o di casta che lo portano all'uso delle note si differenzia automaticamente dalle persone che lo circondano per tutta una serie di attributi che agli altri vengono a mancare; lo stregone musicante che per questa sua mansione porta sul corpo delle strisce dipinte, l'aeda cieco che l'antica Grecia ci ha tra· mandato con il nome di Omero, il menestrello avvolto nel tipico costume sgargiante, insolito simbolo di libertà individuale in un mondo di servitù, sono tutte interpretazioni sceniche di un'arte chiamata musica. Dunque il fatto che chi fa della musica possieda non solo doti tecniche e artistiche, ma debba rispondere a requisiti di ben altra natura rappresenta il primo legame tra essenza musicale e sue varie attribuzioni. Contemporaneamente a questa osmosi che si manterrà inalterata al passaggio tra musica primitiva e forme più colte, si sviluppa la teoria 36 rocke spettacolo che nun vuole la musica co· me fine a se stessa. E' in effetti la genesi stessa della musica ben lontana dal volere creare una nuova formula di espressione artistica; sia nata per scopi venatori, imitazione del canto degli uccelli, o come metodo differenziato dalla parola per le comunicazioni tra uomo e divinità, è comunque certo che la sua origine è strettamente legata a bisogni necessari o contingenti dell'uomo. Non esiste dunque all'origine una musica intesa come ascolto allo stato puro, bensì una musica come funzione religiosa, una musica come ritmo per il ballo, eccetera: ad isolare la musica come fatto artistico ed espressivo a se stante si giungerà molto più tardi, ma appena realizzata questa divisione ecco che già si pensa alle possibilità di abbinamento con le altre discipline, all'inserimento in espressioni artistiche nuove. Il teatro greco è il grande risultato di tale ricerca, un'arte nuova che poggia le sue basi sulle g1andi tradizioni grammaticali e musicali di quel paese. A partire dalla tragedia greca la musica diviene elemento artistico basilare volontariamente pronto a qualsiasi intreccio e ai fini espressivi e a quelli spettacolari. Le grandiose rappresentazioni vangeliche cantate del medio evo, il madrigale, l'opera lirica, le marcie militari, il clown che suona, sono tutte connessioni visive necessarie per quelle musiche: partendo da questa somma inesauribile di esperienze si può affermare che per tutto il periodo che intercorre tra la tragedia greca e il seicento, la musica si trovò sempre allacciata a un concetto di visualizzazione, di teatralità, di spettacolarità. Il seicento con la musica da camera cerca per primo di sciogliere la musica da questo legame dando il via ad una ricerca musicale in senso stretto, priva di ogni altra attribuzione; rimane comunque che anche la musica colta, classica in generale, con la sua coreografia orchestrale, la cui scenograficità a volte sopravanza la presenza acustica, con il rispetto di alcune tradizioni come ad esempio il frac, risponde anch'essa a dei precisi canoni visivi. Comunque è proprio dal '600 che ha inizio, e con la musica classica e con quella popolare, una rivoluzione che porterà all'eliminazione di uno dei due contenuti visivi della musica: il musicista. Con il propagarsi di quest'arte, allorché i barbieri divengono più famosi per le chitarre che per le forbici, che le giovanette imparano l'uso del clavicembalo e poi del piano, il propagarsi delle scuole di musica e la strada stessa che diventa maestra di quest'arte, è chiaro che il musicista inteso come insieme tecnico-coreografico cessa di essere tale. Chiunque può suonare, senza distinzioni estetiche: da questa devisualizzazione si salveranno ben pochi, giusto i pazzarielli o i cantastorie popolari. E incomincia così anche il logoramento del legame musicaarti visive: il concerto, la sinfonia, accentrano sempre più l'interesse generale sulla sostanza musicale; nonostante l'imperversare della lirica la musica si va liberando di tutti i suoi attributi. Ma il vero colpo viene molto più tardi: arriva sull'onda della tecnologia. Se il ventesimo secolo con l'invenzione del cinema e della televisione arricchisce enormemente l'espressione visiva, esso relega la musica a puro fatto auditivo. La radio, il disco sono il nuovo linguaggio di una musica asciutta, -totalmente priva di ogni interpretazione visiva; incomincia dunque questo periodo nuovo per l'arte sonora, decisivo in quanto proprio tramite tali mezzi di comunicazione la musica trova la sua maggiore estensione come un fatto sociale e artistico. La musica rock nasce in questa dimensione, ma nasce anche con alle spalle una delle poche isole di musica visiva che il ventesimo secolo con· serva: la musica negra. La cultura africana ha conservata intatta durante il suo forzato trapianto americano la vitalità visiva della propria musica, addirittura arricchendola di contenuti nuovi o modi fìcati: il gospel, il canto di lavoro vivono tuttora nella loro completezza di gesti, il musicista jazz si avvicina al suo strumento, lo stimola, Io suona con una grande gamma di comportamenti che vanno molto al di là degli atti rich ie-sti dalla pura tecnica. • E non a caso i primi a introdurre un concetto visivo di suono nella musica rock sono proprio i gruppi che maggiormente si agganciano al blues: mentre i Beatles o gli Shadows appaiono sul palco vestiti tutti uguali, nella divisa classica del gruppo di musica leggera di allora, Keith Richard proclama: - Non mi piace vestirmi come tutti gli altri, odio presentarmi sul palco come un allievo di college, voglio vestirmi male, il peggio possibile! - Forse inconsciamente attraverso queste frasi si delinea un ritorno all'antico rapporto costume-musicista, siglato in quel primitivo periodo dalla «scandalosa » usanza dei capelli lunghi. Rolling Stones, Animals, Yardbirds sono i primi creatori dello stage-act del rock: in loro confluiscono tutte le violenze sociali, sessuali ed espressive della cultura negra americana e che da questa erano già filtrate in numerosi cantanti di rock&roll. II primo dunque è un elemento esterno della musica rock, un'assimilazione che in un certo contesto non tarda a divenire particolarmente provocante. E particolarmente provocante diviene un Mick Jagger o un Eric Burdon in un contesto conservatore e contraddittorio come quello della Gran Bretagna, un invito violento alla libertà per la gioventù di quel paese. Il fenomeno dei mods e dei rokers non ha niente a che vedere con quello dei negri d'America e viene marginalmente investito dalla sensualità emanata da Mick Jagger sul palco: al contrario esso non tarda a portare la sua influenza al nascente act rock inglese. Si chiamano Who: producono suni insoliti sfondando con le
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