Muzak - anno II - n.05 - marzo 1974

unartistadi transizione che si è ritrovata tra le mani un gravosissimo compito, dopo i furori rivoluzionari e febbrili degli anni '60, di ricostruire una musica nuova, più umana, più libera, che non sia più costretta in rigide prigioni culturali, ma che esca finalmente dal ghetto e irrompa prepotentemente nelle strade e nella vita di tutti i giorni, alla portata di un pubblico il più aperto e largo possibile. Una generazione di artisti che per ora si muove ancora per tentativi e approssimazioni, e nei casi migliori riesce soltanto a intuire l'essenza di quella che qualcuno già chiama « Musica totale ». La musica di domani ... Durante quei tanto lodati concerti europei, Manfred Eicher è lì ogni sera a registrare tutta la musica che Keith fa, improvvisando in maniera sempre diversa a seconda delle sensazioni e degli umori del momento. Decidono poi di pubblicare un monumentale triplo album, che anche se non può restituirci la impagabile, mobilissima ed estremamente comunicativa mimica jarrettiana, ci offre una musica bellissima, rilassante, positiva, cui ogni tanto è necessario ricorrere dopo tanti altri esempi musicali più radicalmente sperimentali e provocatori, che uno ha il dovere di sentire. Negli States Keith si esibisce preferibilmente con il suo normale gruppo, che ora è divenuto un quintetto con l'ingresso del percussionista Danny Johnson. Con tale formazione, durante un'esibizione al famoso Village Vanguard di New York, è stato registrato il primo LP di Jarrett per l'Impulse, l'ottimo « Fort Yavuh ». Il volto jarrettiano più legato al retroterra della cultura popolare afroamericana, quello che gli permette di conservare un rapporto di comunicazione con altre personalità complementari ed affini, e di rendere in tal modo più varia e conclusa l'esigenza insopprimibile di fare musica. Dialetticamente contrapposto e non per questo scindibile dall'unità della complessa personalità jarrettiana è l'altro aspetto, quello del pianista e del compositore più legato agli schemi classici. L'aspetto che è stato portato ,fino alle estreme conseguenze con la realizzazione del doppio ECM « In The Light », che è vera e propria musica da camera di stampo classico, alquanto aliena da canoni sperimentali, con archi e fiati e con pacati interventi solistici di Keith al piano e di Ralph Towner alla chitarra. Un'esperienza forse meno interessante per noi, un po' al di fuori del tempo ,ma sempre onesta e specchio della particolare personalità del suo autore. Qui, a parte la collaborazione a pochi dischi di altri (tra cui l'album solo dell'amico Paul Motian), per ora si arresta la parabola artistica (e discografica) di Keith Jarrett, uno dei musicisti più appassionati e entusiasti dell'attuale fase di transizione che attraversiamo. Un artista che ha capito che la musica vera è una sola, uno che sa apprezzare ugualmente e secondo le giuste proporzioni sia Bach che Ornette Coleman, fino a Joni Mitchell. Un musicista che già ci ha dato frutti sufficienti per annoverarlo tra ,i nomi più interessanti di oggi, senza essere coinvolto in squallide e fallaci storie tanto frequenti tra i miti attuali dell'industria musicale dell'era consumistico - scatologica. E questo è tutt'altro che un merito da poco! Giacomo Pellicciotti (foto di Roberto Masotti) 33

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