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referendumuzak Muzak (scrivemmo sul I numero) vuol dire musicaccia. Ormai Muzak significa molte altre cose. Un giornale, innanzitutto. Un giornale diverso, un giornale che non considera la musica progressiva u,1 settore di pseudocultura per giovani un po' matti. Un giornale che prende sul serio i problemi musicali e della cultura underground in genere così come si è formata e conformata negli anni '60 e così come si sviluppa negli anni '70. Ma significa, Muzak, anche un modo diverso di affrontare ·ze questioni. Un modo intelligente, critico. E significa, infine, ( e dovrebbe ;significare sempre più) un modo nuovo d'impostare il dialogo fra lettori e giornale, musica e ascoltatori, musica e critica, lettori e cri/ ici. Questo abbiamo sempre tentato di fare. Con qualche risultato e qualche ritardo. Avvertiamo, proprio perché non siamo fra i « santoni » della cultura (e non vogliamo dividere nulla con loro), avvertiamo che c'è ancora molto da fare. Spogliandoci di quanto ci rimane di 'regressivo, e divenendo un mensile di musica progressiva nel senso più pieno della parola. Errori ne abbiamo fatti. In buona fede, però. E questo non è poco. Qualcuno ci ha rimproverato di non distinguere col necessario rigore fra musica buona e musica cattiva. Qualcun'altra ci ha senz'altro tacciati di raffinatezza. Molti ci hanno apprezzato, non risparmiandoci critiche e consigli duri anche se amichevoli. Non vogliamo ancora tracciare un bilancio, sebbene stiamo ripensando su molte cose. Vogliamo decidere tutti insieme cosa fare di Muzak nei prossimi mesi, anni o secoli. Bene: facciamolo tutti insieme questo giornale. Facciamo che ognuno abbia delle idee e le esprima. Sentiamo, e non per demagogia, il parere di chi Muzak lo crea ogni mese, ogni mese ne crea il successo e la stessa vita: dei lettori. Questo è il senso del refendumuzak. Non un referend11111 qualsiasi. Non un sondaggio per avere campioni certi da offrire agli inserzionisti per aumentare le pagine pubblicitarie. Non modo per creare uno schedario da utilizzare in modo più o meno pulito. Un referendumuzak, un mezzo per costruire il giornale in modo nuovo, vivo, non rispondente a un generico « mercato », ma ai desideri di quanti ci leggono o ci potrebbero leggere. Una volta di più le nostre prese di posizione possono sembrare utopiche o ingenue. Ingenuo, secondo noi, è solo chi crede di poter continuare a cianciare di musica secondo i suoi punti di vista, senza fare continuare i conti con i lettori, senza rendersi conto che un giornale è soprattutto un mezzo di comunicazione, e che farne un mezzo di manipolazione è la peggiore forma di truffa. Ingenui, o farabutti, sono coloro che vedono solo se stessi e i propri interessi. Ingenui, e studipi, che a forza di vedere solo se stessi potrebbero finire con un giornale letto solo ... da se stessi. Il collettivo redazionale REFERENDUMUZAK: norme e premi a pag. 65-66 3
IL I' MENSILE DI MUSICA PROGRESSIVA - N. 5 • ANNO 11- MARZO 1974 Collelllvo Red■zlonal•: Glalme Plntor (direttore) - Antonino Antonuccl Ferrara (dlretlo~ editoriale e ufl. pubblicità) ., Piero Tognl (coordinatore de! servizi fotografici) - Pappo Delconte e Giacomo Peltrcclolll (redazlorYe mllanese) - Janlce Comatock (corrispondente dagli Stati Uniti) ., Claudia Brambl1la (S'agreteria) - Domenico Ricci, Giovanni Aprile, Camlllo Coppola (dllfJslone centrala) .. Maurizio Bezzi (dilfua!one mltanese) - Ornella Amorlggl a Paolo Gorlnl (grafica a Impaginazione) ., Bruno Rugglero (amministrazione) - Fabrl:tlo Brunetti (servizi sAjtclali) - Nanni C!vltenga (strumenti e tecnica) ., Filiberto Llpperelll (direttore responsabile). Collaboratcirl: Enzo Caffarelll (coordinazione generale) - Marco Ferr,nll e M•nuel lnsoler• (seiv!zl Interni ed esteri) • Rober1o Meaolll jfotografla) - Tuvla Fogel e Jeremy Karlln (corri:,pondentl da Londra) R&dazlone, ammlnlatrazlone, dlflus one: 00198 Roma J Via Alessandria, 119, tel. 8448483 - Pubbllcill: 198 Roma - Via Alessandria, 119 - Tel. 845.60.7 Un numero L 400 J .arretrali L. 600 • (unire alfa richiesta l'importo In francobolli) - abbonamento a 12 numeri L. 4.000 {a Roma & MIiano la distribuzione dellta copie Jn abbonamento viene espletata a mano senza variazione di preuo) - Per cambio d'indirizzo specificare Il vecchio recapito e Inviare L. 150 In francobo!I! - Concessionaria esclusiva per la diffusione: Panini & C. s.r.l .• Roma J Piazza lndipen-aenza. 11-b - Tel. 4992 • Milano Vla Fontana, 6 • Tet. 790.148 ~ Stampa Rotolilhos • Registrazione tribunale di Roma n. 15158d'al 26·7-1973 Manoscritti e foto; anche se non pubblicati, non si restituiscono . E' vi'atata la riproduzione anche parz!ale di foto, testi e d'lcumentl. Muzak non accetta pubbllcUà redazionale. Gli articoli, le recensioni, le Immagini e la foto di copertina sono pubblicate ad unico e n_dip~ndente giudizio del collettivo redazionale. _,., Pagina Titolo Autore Foto 5 Poster 8 Inchiesta E. Moroll, A. Di Biagio 12 Gli Uno a Londra Piero Tognl P.To. 13 Le Orme live • R.T. 14 John Mclaughlln: discografia completa Enzo Caffarelll 18 Suntreader Março Ferranti 22 Notizie 24 Muzak e gli altrl Janice Comstock 26 Grateful Dead, Manuel lnsolera movement, pacifismo, contraddizioni e Janice Comstock 30 Keith Jarrett. un artista di transizione Giacomo Pellicciotti R. Masottl 36 Rock e spettacolo Marco Ferranti il
Leggendo la lettera di Paolo Navarra, mi vengono spontanee alcune considerazioni: 1) Il Navarra afferma, praticamente, che Bob Dylan è un venduto. Vecchio problema: sappiamo tutti che in una società come questa essere e dover essere coincidono raramente. Senza scomodare Dylan e l'America guardiamoci intorno: quanti intellettualini sessantotteschi cresciuti nel « rifiuto della cultura borghese» sono oggi diventati rappresentanti di quella stessa cultura, e cioè professori? Essere compagni va bene - affermano da dietro una cattedra però se non sai niente della metafisica aristotelica io ti boccio. 2) Considerare la meravigliosa Bob Dylan's dream solo come « una ballata folk più consona all'orecchio e alla tasca del pubblico bianco ... » vuol dire ritenere l'uomo, anzi il compagno, degno solo di quei tanti sottoprodotti culturali che in nome della decantata « arte rivoluzionaria » vengono propinati dalla sinistra - extraparlamentate e non. 3) E' vero che prima delle manifestazioni nessuno ascolta gli Who o i Them, ma è anche vero che gli Who o i Them fanno parte <lei bagaglio culturale di almeno metà dei partecipanti alla manifestazione. 4) E' vero che il rock in sé non è rivoluzionario, ma è anche vero che ormai fa parte di un nuovo modo di essere rivoluzionario. Con tanti saluti a chi la rivoluzione la vuole fare solo con « le riunioni di cellula», o ascoltanto Bandiera Rossa. 5) Infine « chiudo tristemente » pensando che è proprio Navarra ad essere arrivato in ritardo con la storia, se si trova ancora oggi a combattere certe istanze che, per esempio, in America dieci-dodici anni fa venivano portate avanti - guarda caso - da Dylan, Jefferson Airplane etc. etc. Sergio Duichin (Roma) Intervengo anch'io, se permettete, nel dibattito così corret· tamente portato avanti dai lettori sul problema dei rapporti rock-società, aperto con un articolo di Manuel Insolera sul n. 2 (chi ha paura del lupo cattivo? pag. 25). Intervengo però con una lettera per due motivi. In primo luogo mi sarebbe sembrato scorretto intervenire con un articolo o una risposta alle lettere, perché mi avrebbe posto in una posizione di previlegio nei confronti di un dibattito che vuol essere innanzitutto ricerca (e stimolo alla ricerca) collettiva su un problema così determinante. In secondo luo• go non penso che la mia posizione coincida in tutto con quella degli altri di Muzak e non mi sarebbe sembrato giusto farla indirettamente passare come tale. E mi si per• metta anzi una piccola parentesi (dato che da molte parti, in buona o in cattiva fede, s'è posto in dubbio l'effettiva validità del collettivo redazionale). Una parentesi per dire che il collettivo in effetti funziona, e forse questa lettera in parte lo dimostra, proprio come momento di confronto interno: il collettivo discute, decide, esamina e critica colletti. vamente. Salva restandO: una certa divisione del lavoro per quel che riguarda i momenti pratici di attuazione delle direttive collegialmente defini te. Ma entriamo nel merito della questione. Se errore c'è stato, da qualche parte in questo dibattito, è stato , a mio avviso, quello di vedere il problema in termini riduttivi, riducendolo cioè alla domanda: è il rock di per sé rivoluzionario o no? Prima di abbozzare un'ipotesi di risposta (ammesso che sia possibile) vorrei porre un problema di definizione. Mi servirò dunque. di due affermazioni e tenterò di giustificarle: a) l'arte, e la musica in particolare, hanno sempre rapporti più o meno stretti (e più o meno evidenti) con l'ambiente da cui nascono e in cui esercitano la loro influenza; b) l'artista risente sempre (più o meno direttamente) dell'ambiente sociale da cui è nato e in cui vive. Questo non vuol dire evipo,ta dentemente che l'opera d'arte sia sempre riportabile meccanicamente all'ambiente sociale in cui si colloca, né che l'artista sia sempre e comunque legato alle sue origini o alla sua collocazione sociale. ' Prova ne sono, se .non altro, grandissimi musicisti del passato e del presente che, sebbene fondamentalmente reazionari, hanno dato e danno prodotti musicali di altissimo potenziale rivoluzionario o progressista. Fatte queste due affermazioni e posti i limiti della loro validità, vediamo cosa vuol dire in pratica l'esistenza di un rapporto ( tutto da definire) fra arte e società. Potremo dire, per chiarezza, che l'opera d'arte esiste nel momento in cui sono dati due poli, il creatore e il fruitore, quello che fa l'opera d'arte e quello che la riceve. Tra· mite fra questi due poli e il linguaggio, inteso come insieme di segni, non come parole o concetti. Già così si vede come l'opera d'arte non sia Opera d'Arte, non sia eterna ma storicamente e socialmente determinata e circoscritta. E infatti chi è l'artista se non una persona che nasce in determinato momento, viene educato umanamente e artisticamente in un certo modo, vive con certa gente secondo certi schemi sociali? E cos'è il pubblico se non un insieme di persone che sono nel contempo persone che vivono, che hanno rapporti interpersonali, animali « politici »? E, infine, cos'è il linguaggio se non quella particolare forma di espressione variante di tempo in tempo, cli civiltà in civiltà, eia gruppo a gruppo? E dunque (pe1· questione di brevità procedo per punti e in modo un po' approssimativo) oggi come oggi, nell'ambito di quella che chiameremo cultura rock o underground, quali sono i rapporti, chi sono gli artisti, chi è il pubblico, qual è il linguaggio? Solo rispondendo a queste domande si può arrivare. a stabilire quale (se esiste) sia la carica eversiva, di contraposizione al sistema, la carica alternativa di questa musica. Dopodiché, tutto sommato, ritengo inutile dire la mia opinione. Mi sembra sufficiente (ed era il mio scopo) porre l'accento su una questione metodologica. I lettori, l'amico Manuel e gli altri del colletti· vo potranno, se lo riterranno opportuno trarre conclusioni.. Ma a me sembra che non si possa prescindere da una visione chiara dei rapporti, dia· letticamente intesi, fra cultura e società, pena arrivare a quelle conclusioni che svuotano la musica di ogni realtà per ritrovarsela appesa alle nuvole incapace di vivere per e con gli uomini. Giaime Pintor (Roma) Povera vita! Al giorno d'oggi tra beduini e rapine capita cli tutto; capita anche di leggere articoli su giornali « specializzati » che fanno cedere i genitali per terra! Ci riferiamo all'«articolone» ciel « dottissimo » G. Pintor sul N. 4 di MUZAK. MUZAK è un buon giornale, con artico• li di un certo interesse, ma, per Giove pluvio(!), c'è un direttore (al cui cospetto, come direttore e nient'altro, ci scappelliamo), che si sente in dovere, pur carentissimo di preparazione musicale, di fa. re un articolo sulla musica to· tale dei SOFT MACHINE tanto contraddittorio e insulso. « Caro amico » è bene che articoli, sui SOFT MACHINE o altri, non siano preparati da gente che alle riunioni tra amici preferisce ascoltare un disco di Mina, anziché di un RILEY o dei Softs stessi (e non ci domandi: « Chi ve l'ha detto?»). Inoltre ci meravigliamo che gente come quelli del vostro collettivo (vedi Insolera che vi ha «gentilmente» aiutato), forse per non contrariare un superiore, abbiano permesso la pubblicazione di un simile parto anale. Andiamo al so· do: fuori luogo è la lunghiss!ma e .insignificante disquis1z10ne mtroduttiva dove lei passa da RILEY a BEETHOVEN, da MOZART a STOCK HAUSEN, con una facilità 5
6 "novamusicha:' una nuova collana di musica per chi vuol vi vere il futuro del sound. LA RIVOLUZIONE MUSICALE E' GIA' INTORNOA NOI. ASCOLTA! John Cage Walter Marchetti Juan Hidalgo Charlemagne Palestine Gianni Emilio Sirnonetti Robert Ashley etc. tf po,ta scouccrtante come se si parlasse di zucchine e cavoli. Siamo d'accordissimo che in FIRST e in SECOND il rock è la rampa di lancio verso le folli astralità future, rna non vediamo che nesso ci sia col folle ZAPPA, preso come pietra di paragone per quanto riguarda la base ritmica, il .solismo percussivo e tutte le altre castronerie elencale dopo. A proposito cli THIRD e FOURTH è assolutamente falso che i Solfts « cerch:no delle strutture che rendano corrente il discorso musicale totale», ma sono semplicemente il completamento di ciò che era slato abbozzato nei primi due album. Ciò si nota specialmente in THIRD dove R. WYATT (genio folle!) non è ancora stato sopraffatto dal «quadrato» M. RATLEDGE e dal!'« egocentrico» E. DEAN e ci regala una perla come « THE MOON IN JUNE ». E non è tutto: in seguito abbiamo letto le più bestiali assurdità mai scritte. Infatti lei si contraddice come un « bambino bugiardo»: dice che FIFTH è un « risult<_1tome_raviglioso », poi ag- .gIUnge, inopportunamente ol1.re che « i musicisti sembrano farsi un po' il verso» (alludeva forse a boccacce?), che c'è del jazzismo scontato (boh!) e che il loro jazz-rock « diviene punto di vista e finisce col mordersi la coda » (povero jazz, che dolore?!). E come se non bastasse afferma che a causa di queste debolezze (cioè le sopraddette assurdità) i Softs, in SIX, scadono » almeno nella parte live » per il « tentativo (un po' goffo) di recuperare una credibilità di pubblico». Forse che ne avevano bisogno? Forse che avevano detto menzogne (in senso musicale) o avevano ingannato i loro estimatori con qualche compromesso tipo (e ci risiamo) Mina? Poi parlando della parte studio vi riscontra influenze (o copiature?!) della musica russa tipo SCRIABIN - MUSSORGKY (ma l'ha ascoltato bei1e il disco? Mi sorge questo dubbio) oppure quegli « ammiccamenti a RILEY » che « non salvano il disco ». Ma è proprio vero? O fors..: sono proprio quei ,famigerati « ammiccamenti a RILE Y » che rendono l'album più sperimentale dei precedenti e che portano di nuovo i SOFT MACHINE ai livelli di . THIRD? Ma forse, e vogliamo essere buoni, il suo sbaglio di fondo è l'apprezzare un gruppo solo se continua sempre gli stessi c identici schemi di come ha cominciato. Ma questo cambiamento di campi musicali, alla fin fine, non dimostra soprattutto la grandezza e la molteplicità del genio, della mente guida dei Softs, M. RATLEDGE> Inoltre, parlando di SEVEN, potremmo riscontrare l'unico punto su cui siamo d'accordo, cioè quando dice che l'album è una cristallizzazione del gruppo ma non è possibile perché solo in alcuni punti ci sono riferimenti all'opera precedente; perciò non è il completo cristallizzarsi ma è semmai il perdere un colpo. Non è infatti una commercializzazione anche perché, volendo accettare la sua tesi, provi a mettere CAROL ANN (che sarà, forse per lei un pezzo negativo nell'opera, ma che ha sfumature d'incantesimo anche se si rimane ancorati ai precedenti album) su 45 giri per vedere le grandi vendite, e non solo, questo pezzo non è la fine dei Softs perché non moriranno mai anche se facessero roba commerciare proprio per tutti i capolàvori che fino ad adesso ci hanno regalati. Inoltre, per concludere e anche per cercare di chiarirle certe idee {sperem!) le vorrei dire due parole riguardo a quello che lei dice sulla produzione e cioè: FIRST e SECO D partono da basi rock, in THIRD e FOURTH c'è la ricerca delle strutture che « rendano corrente il discorso musicale m1z1ato », in FIFTH e SIX « l'esplosione di forme musicali vere e canonizzate» e in SEVEN si corre il pericolo « di fare sperimentalismo di maniera». Ma tutto ciò è assolutamente falso. Perché lei divide la pro-
duzione di un gruppo in 4 periodi? Al contrario la produzione dei Softs è molto logica e unitaria: all'inizio, in FIRST e SECOND molta ritmica rock anche se con spunti o forse con molto ja7L, ma già in SECOND vediamo una certa ricerca e, in embrione, tutta la musica dei SOFT MACHINE; nelle opere successiv~ e specie in THIRD c'è l'arrivo a vertici musicali che non si possono pit'.1definire: sono jazz, sono rock, sono sperimentalismo; in FOURTH si riscontra facilmente la mancanza di un po' di follia, di quel «quid» che lo rende un capolavoro veramente superiore; adesso è la volta di FIFTH che è senz'altro la logica continuazione del precedente, è il traitd'union tra i precedenti e i posteriori LP del gruppo con un allargamento dei confini musicali in cui poter spaziare con più libertà e con la scoperta di nuovi punti di vista, cosa che avviene pure in SIX ma più estesamente; infine abbiamo l'ultimo parto della MORBIDA MACCHINA, SEVEN, dove si sente il bisogno, senza la necessità, di completare ulteriormente il discorso quasi concluso con SIX, e così, di conseguenza abbiamo il ristagnare, nel senso buono, di una musica che in questo LP avrebbe dovuto esplorare e conoscere un altro settore delle buone vibrazioni musicali. Con ciò abbiamo finito di scrivere e speriamo che non ce ne voglia per quello che abbiamo detto. Sperando che pubblicherete la nostra lunghissima lettera vi inviamo i nostri più cordiali saluti Giancarlo F::iresta Iacono Giuseppe Caltanissetta . Te!. 23020 Solo alcune notare/le. D'accordo per aprire il dibattito critico. Non è che un direttore valga più di 1111 qualsiasi articolista (l'i11si11uazio11e al « superiore » suo11a solo volgare senza essere spiritosa). Solo che una volta cli più ct sfugge perché i toni delle polemiche musicali debbano essere da crociata sanfedista. Posso aver sbagliato (allclie se sottoscrivo tutto ciò che ho scritto in quell'articolo) ma non vedo la necessità di parlare di incompetenza, castronerie, bugie, o addiritturn di ipotizzare una mia prefe renza per Mina. Mi sembra che il tentativo di parlare di musica in modo musicale (se permettete il bisticcio di parole) vada anche fatto su una rivista specializzata. E sorriderei, se la cosa non mi riempisse di tristezza all'uso di frusti luoghi comuni come « genio folle» (Wyatt) « quadrato» (Ratledge) « egocentrico» (Dean), « folli astralità » e altre piacevolezze da fume/- tacci letti in fretta. Anche perché, a ben guardare, su molti punti siamo d'accordissimo, e ve ne sareste accorti se non foste accecati da dubbia vis polemica. Perché io (e con me tutto il collettivo) sono d'accordissimo sulla liceità delle critiche, ma preferisco il silenzio a chi chiede la, testa di chi non la pensa come lui. (E' chiaro fra l'altro che forse « rende corrente il discorso musicale totale». E' altrettanto evidente che mentre io ho sentito Six, i miei critici non sanno neanche chi sia Mussorgsky e Scriabin, anche perché il loro odio per tutto ciò che puzza di classico va di pari passo con l'esaltazione acritica e amusicale di ciò che è moderno). Del resto, forse, avremmo potuto risparmiarci queste noticine, se avessimo letto con più attenzione l'inizio della lettera dei due amici siciliani; essi parlano (e non a caso) di rapimenti e di beduini, intendendo con questo termine spregiativo i paesi arabi e i loro governi. Beh, francamente dai razzisti in politica non ci aspettiamo grandi cose nemmeno al livello estetico. (G. Pi). La tua idea di lavoro nelle vacanze potrebbe essere uguale alla nostra. Noi della Valtur cerchiamo, per i nostri Hotel-Villaggi di Ostuni in Puglia, Capo Rizzuto in Calabria, Brucali e Pollina in Sicilia, Kemer in Turchia: istruttori di vela, sci nautico, immersione subacquea con A.R.A .. tennis, nuoto, ginnastica-yoga, ani matori per adul· ti, animatori per bambini, hostess. accompagnatori di escursioni, motoscafisti, bagnini. I requisiti richiesti sono: cultura a l1velo superiore. età compresa tra i diciotto ed i trentadue anni, disponibilità dal primo giugno al trenta settembre. carattere estroverso e propensione al lavoro di gruppo Rivolgersi a VAL TUR • Servizio Club RPZ Via Milano, 42 00184 ROMA VALTUR hotel villaggi al mare 7
La scena è cambiata, su questo non ci piove. Niente più concerti da delirio, niente più quartieri generali-village dei freaks a/l'interno delle grandi città italiane, niente più fascette sulla fronte come i pellerossa di 100 anni fa, niente più stracModeratore EMANUELA MOROLI: 30 anni. Ha vissuto in maniera CO).Tipleta l'esperienza della stampa per giovani dal pionieristico BIG al Ciao 2001 prima maniera, avendo sempi:e lavorato in queste redazioni. Attualmente è passata a trattare gli stessi temi sul- •la terza pagina del quotidiano « Paese Sera ». Nel '70 ha fatto un impegnativo tuffo nella stampa underground quando ha ideato e diretto insieme ad un collettivo di amici Controcampo, quindicinale di informazione alternativa. La sua conoscenza dell'underground è la conoscenza di una persona che l'ha vissuto dall'interno, attrav~,rsandone tutti gli stadi e le esperienze, anche se non si è mai dimenticata di farseriè, prima di ogni altra cosa, cronista attenta. Partecipanti RAFFAELE CASCONE: 27 anni. Se c'è uno che nell'underground ha creduto fin nelle viscere questo è lui. Vissuto a Londra è tornato in Italia con un bagaglio culturale e umano stupendo. Oggi fa il disch-jokey alla RAI TV in trasmisisoni come under 20 e Pop off. E' certamente l'unico personaggio valido e autentico fra i disch-jokey della RAI. • NANDO: 19 anni. Seconda genérazione underground. Vive, si nutre di musica e poiché la· « assorbe» dall'interno ne capisce molto di più di tanti critici togati che l'underground l'hanno visto in cartolina. 8 ci colorati, campanellini tintinnanti ai piedi, niente piÌ;I sit-in per la strada, dimostrazioni-provocazioni, happening improvvisi, niente più J. Hendrix & C. Che ne è stato di tutto questo? Che ne è stato di noi che lo abbiamo vissuto dalPRESENTAZIONI ANNA DI BIAGIO: 26 anni. Redattrice della redazione autonoma Campus. Tra New York e Roma ha sempre vissuto nell'occhio del ciclone del Movimento. Parla poco e agisce molto, dando costantemente a tutti esemplari lezioni di coerenza comportamentale. DARIO SALVATORI: 23 anni. Critico musicale, autore del libro recentemente uscito «Contro l'industria del rock». E' uno dei pochissimi critici a non usare la toga, a vivere nei posti giusti e ad amare profondamente le cose di cui parla. Non è mai uscito dall'Italia e ci tiene a precisarlo, ma quanto di underground c'è stato in Italia, questo è passato tutto sotto gli occhi di Dario. ALBERTO GASPARRI: 30 anni. Pittore, l'underground si sa non è solo musica. In Italia ha sempre abitato a Trastevere, unico greenwich village italiano sopravvissuto a tutte le repressioni del Sistema. Negli Stati Uniti ha abitato un po' ai Bronk un po' al Greenwich. Il Movimento lui l'ha vissuto fin dalle prime battute. E' un Grande Ospite, la sua casa infatti è sempre stata il più piacevole dei riferimenti e dei rifugi per tutto l'underground romano. TERRY: 27 anni. Ha sempre frequentato l'ambiente musicale specialmente in questi ultimi anni in cui ha costantemente seguito nelle sue tournèe, Claudio Rocchi. Terry è una delle poche persone che sceglie ancora di vestirsi in una certa maniera, di pensare in una certa maniera e chefine hnfotto 1 1 undergroun l'interno? Dove è andato a nascondersi o a trasformarsi o ad evolversi o a morire quel cumulo di esperienze, modi di vivere, vibrazioni, creatività, dissenso, provocazioni, rifiuti, suoni che per tutti gli anni '60 hanno costituito l'underground? di avere una fede incrollabile nel futuro dell'underground. ANGELO QUATTROCCHI: 30 anni. Un personaggio difficile da liquidare in poche righe. E' il teorico, lo storico, il pazzo e per molti aspetti l'attivista del Movimento. Avendo vissuto l'esperienza underground quasi completamente a Londra accanto a grossi big come J. Rubin, ha una visione del problema piuttosto diversa da quella che è la visione e l'atteggiamento dell'underground italiano. Lo dimostra il fatto che durante le ultime elezioni Angelo ha creato il « partito hippy » un'idea, ne sono certa, che poteva venire solo a lui. ALAN SORRENTI: 23 anni. Lo conoscono tutti, fa dischi che si chiamano: Aria, come un vecchio incensiere ..., e crea concerti a volte veramente bellissimi. Quasi sicuramente è uno dei pochi in Italia che in questo momento sta operando una personale e autentica ricerca musicale e non una ennesima scopiazzatura. Voce fuori campo SERGIO MARCHETTI: 35 anni. Ex direttore di Ciao 2001 non ha mai vissuto l'esperienza underground, ma l'ha seguita sempre con interesse e simpatia. E' intervenuto solo per sapere da noi «addetti ai lavori » se veramente potevamo dirgli che fine ha fatto l'underground. I suoi peroiò non sono interventi, ma domande. Per Lrovare u11a risposta a questa che oggi è una domanda che preme, ho riunito intorno a un tavolo alcuni di quelli fra i miei amici che ritengo abbiano vissuto l'esperienza dell'underground, anche se in ,,osti e modi diversi, in maniera totale. DIBATTITO RAFFAELE CASCONE: prima di cominciare vorrei che fossimo tutti d'accordo nel chiedere al direttore di Muzak, di non cambiare neanche una virgola di quanto stiamo per dire, questo mi sembra importante ... CORO: giusto, giusto è importante! EMANUELA: Va bene, èuando porto il pezzo a Pintor glielo dico chiaro e tondo. Comunque incominciamo. Il tema, lo sapete è: che fine ha fatto l'underground? NANDO: Underground, underground, dove sei? DARIO: Dai, piantiamola, che l'argomento è importante. Io direi che al contrario di quello che succedeva negli anni '60 in cui si adottava il sistema del rifiuto totale, ora si verifica un vasto fenomeno di infiltrazione nei meccanismi del Sistema. MARCHETTI: C'è stato Pasolini che in un recente dibattito in TV ha detto che l'underground è un movimento estremamente borghese. Voi cosa ne pensate? ANGELO: Prrrr. Prrrrr. ALBERTO: Forse vale la pena di chiarire meglio il perché del nostro disacordo. Essere borghese significa anche essere sottomesso alla cultura borghese, cosa che Pasolini fa puntualmente, tanto che non ne è solo parte integrante, ma anche illustre rappresentante. La cultura underground invece si basa su canoni e parametri del tutto cji. versi, proprio per definizinne è fuori o sotto se preforisci, comunque lontana dal Sistema borghese. Il punto non è di stabilire se è borgl;iese o meno, ma piuttosto •.:iuve sta andando, quanto valore ha ancora. Ed è solo la gente come noi che è stata sulla strada per tanti anni e ha
vissuto certe esperienze che Io può valutare. L'underground Io sappiamo ha dato quasi solo noi, gente che vive in maniera diversa e che oggi deve impegnarsi a lasciare le orme di quello che è stato il suo passaggio, altrimenti la nostra esistenza non avrà nessun valore né storico, né culturale o peggio ancora la nostra cultura non sarà mai esistita. NANDO: Le orme di cui parla Alberto non si stampano né nel giro di un anno né di 5, ma dall'esperienza di tutta una vita; per cui l'underground non è il movimento rivoluzionario di 2-3 anni, ma di tutta un'esistenza e per noi che ci crediamo durerà per sempre. ALAN: a proposito di orme, c'è il gruppo « Le Orme » e la gente crede che siano loro una delle espressione dell'underground. ALBERTO: quelli sono solo mistificatori dell'underground. TERRY: però la domanda di partenza è posta in modo tale che sembra quasi scontato che l'underground sta in crisi. ma questo non è vero! CASCONE: cerchiamo di fare un discorso più organico. Il valore dell'underground come ogni prodotto è legato alla sua vendibilità. L'underground c'è arrivato perché in America c'era una élite che faceva un certo tipo di cultura definita alternativa che, persone lungimiranti, hanno giudicato vendibile; è così che è arrivata anche a noi che siamo la massa. Attualmente la vendibilità di questa cultura è aumentata, ma il propellente umano è diminuito, il materiale umano anzi è quasi scomparso. A questo punto ci sono solo dei consumatori. Ma chi ha iniziato il Movimento e lo ha divulgato sono state persone ben diverse come Corso, Ferlinghetti, Ginsberg ... ANGELO: ma dai balle! museo! storia! vecchiume ... RAFFAELE: Ma fammi finire! dico che quella gente ha iniziato un Movimento che oggi ha solo dei consumatori: siamo circondati da ragazzi con i capelli lunghi che fanno il segno della V! Ma quanti ne sono rimasti che hanno capito qualcosa e vivono nelEmanuela Morali, Alberto Gasparri e Terry lo spinto di una nuova concezione del mondo? Da questo punto di vista l'underground è stato consumato, è un cadavere, è finito! Nel momento che è diventato un prodotto e non più un modo di vivere è morto! Che a Roma ci siano 12 persone come quelle che stanno qui stasera che vivono nello spirito dell'underground è bello, ma non significa niente! ANGELO: Ma quale spirito dell'underground! Noi siamo professionisti dei media, freak dei media se preferisci. Siamo solo delle casse di risonanza di cose che stanno succedendo nella provincia, perché l'underground Io fa il ragazzino di Abbiate Grasso che tenta di vivere una controcultura e magari gli piomba il poliziotto in casa o la madre lo sbatte fuori. Dunque due cose differentisisme: noi casse di risonanza e loro veramente, possibilmente, underground. RAFFAELE: Come alternativi siamo nati in un momento genuino in cui abbiamo preso coscienza del nostro desiderio di liberazione e abbiamo avuto il coraggio di portarlo avanti. Ora continuiamo a parlare di muoverci nell'underground non più per desiderio di contatto, perché abbiamo perso la fede nel contatto underground (personalmente l'ho persa quando i miei amici del '62-64 sono diventati banchieri) ma perché viviamo dei media, ci creiamo il nostro mercato in cui siamo <i migliori e quindi ci speculiamo sopra. CLAUDIO: State prendendo una toppa! Emanuela ha chiesto: che fine ha fatto l'underground e non che fine ha fatto Cascone o Quattrocchi. NANDO: Ma che ci frega di essere rigorosi, l'importante è tirare fuori dei concetti. DARIO: Secondo me c'è da fare una precisazione. In molti hanno constatato che stare sempre fuori non serve a niente e allora si sono infiltrati, di conseguenza il modo di vivere che era proprio del Movimento qualche anno fa è quasi scomparso, in ogni caso è stanco, vecchio. Però queste persone anche se infil tra te operano ancora in linea con certi spaz,i di creatività, di libertà interiore, di comunicazione e sono queste cose il bagaglio che l'under-, ground ci affida per sempre. ANNA: Probabilmente underground è una parola superata, ma di sicuro c'è che ha partorito una cultura alternativa che invece è definitivamente radicata in noi e prevarica qualsiasi sistema consumistico che cerca di inglo- • t,arci. .. RAFFAELE: Per me è importante sottolineare che l'underground, pur se partito da poche persone, si è diffuso come coscienza, linguaggio comune di molte persone; quindi la sua storia è la storia del circuito, del linguaggio underground che era un modo di concepire lii vita completamente antitetico al Sistema. Ora mi domando: in noi dopo l'esperienza dell'acido, l'esperienza della povertà come scelta, l'esperienza di famiglie alternative tutte esperienze queste superate o fallite, cosa resta? Se per noi, come diceva non ricordo più chi, la vita è ancora swing, se siamo riusciti a mantenere il swing che ha caratterizzato la nostra esistenza di ieiri, allora anche se l'underground è morto ce ne -possiamo fregare perché l'underground è un linguaggio e possiamo sempre trovarne un altro; ma l'importante è sapere· se siamo ancora vivi o mort,i! ALBERTO: La vita è swing, l'ha detto Coltrane. DARIO: Alt! No, l'ha detto Parker. non diciamo fesserie che poi Caffarelli sghignazza ... ANGELO: C'è da notare che non appena terminato il mo, 9
mento più genuino che arriva al '69 è arrivato il galateo: come comportarsi in ambienti « in » e « freak ». Un galateo che va dal letto al concerto. Una cosa ridicolissima. RAFFAELE: A proposito di concerti, c'è un volantino di Stampa Alternativa che circola puntualmente ad ogni concerto, in pratica dire: « riprendiamoci la nostra musica ». E' un'affermazione molto pericolosa. L'underground si è sempre identificato attraverso il linguaggio della musica. La musica per noi ha significato tante cose: ha significato il nostro desiderio di liberazione, ha significato che seguirla tutti insieme per no è come uno speed che ci carica, ci fa salire ... ANGELO: Ma Cascone parli come nel '67! RAFFAELE: E si vede che sono arretrato, mannaggia mi hai fatto perdere il filo! EMANUELA: Eri partito dallo slogan di Stampa Alternativa e stavi spiegandoci perché a tuo avviso è uno slogan pericoloso. RAFFAELE: Ah, si mi ricordo! dicevo che quella musica ci serviva perché la vivevamo profondamente, ma una volta che si è commercializzata e quindi snaturata, una volta che è caduta nelle mani di tipi come Mamone che fanno onestamente i loro soldi disonesti cosa può più darci? Comunque i veri disonesti sono i gruppi di genere industriale, tipo i Genesis, i quali offrono una musica che non ha nessuna delle caratteristiche di liberaziorie della musica underground. A questo punto considerare ancora come nostra questa musica e usarla ancora come linguaggio, significa fare della archeologia. Cominciamo quindi a distruggere questa musica. Il discorso su la «nostra» musica ormai è un discorso mistificato. A questo punto è evidente che lo slogan di Stampa Alternativa «ripigliamoci la nostra musica» suona «ripigliamoci il cadavere» oppure «ripigliamoci il cadavere vestito da sera». NANDO: Allora tu conisderi la musica finita? Ma guarda non c'è mica solo la musica pop super industrializzata l'unica di cui possiamo fruire. C'è per esempio tutta la musica contemporanea che è fatta da gente che non s'è 10 chefine hnfotto 1 1 undergroun -------- RAFFAELE: Ginsberg dice « la poesia è respiro » anche nel ritmo dei versi greci avvertiamo un certo ritmo, che è il ritmo del respiro umano, dei ritmi biologici insomma. Quando c'è una esibizione dal vivo c'è un contatto di energie fra il pubblico e l'artista, un contatto biologico di massa, sul disco tutto questo si perde e il messaggio che arriva all'ascoltatore è molto filtrato. Raffaele Cascane CLAUDIO: Tu dici che in un concerto dal vivo s-i possono creare belle e forti vibrazioni mentre con il disco è tutto più diluito. Io dico invece che i media hanno trasformato il disco in qualcosa di completamente diverso dal concerto. I dischi ormai sono una realtà totemica, si dividono in dischi per ricchi e dischi per poven, oppure con copertma doppia o tripla, quelli doppi dei più ricchi hanno un albumino interno con un poster ... RAFFAELE: Il problema, la necessità del prodotto musicale oggi è quello di cambiare continuamente. Non potendosi evolvere nel senso della emotività che non riesce a convogliare, il disco si muove nel senso della complessità. Così il disco diventa sempre più complesso e il ragazzo entra in questo trip e comincia a dire: « Fico questo chitarrista è anche più difficile di quell'altro! Poi ne nasce un altro che è ancora più difficile di tutti i più difficili. Per cui diventa una astrazione ascoltabile solo su dsco, perché dal vivo fa schifo. Emanuela, aveva chiesto a che punto sta la musica, ecco a che punto sta! MARCHETTI: Ritornando alla domanda di partenza, molti pensano che questo modo di concepire l'esistenza attraverso concerti, vibrazioni, musica, emozioni, comporta il grosso pericolo che ci si distrae troppo e un giorno arrivano i generali e nessuno se ne accorge in tempo. RAFFAELE: Essere veramente, profondamente radicali significa proprio questo, da una oarte occuparsi di alimentare la nostra carica spirituale che è sempre antiautoritaria nell'underground e farla però coesistere insieme ad una attenta e costante lotta contro l'autorità. certo venduta e va avanti e oggi sta uscendo fuori. Non me la sento di dire che non c'è più musica. Ci sono i tedeschi che ormai hanno case discografiche completamente autogestite. E' gente che oggi sta tirando fuori cose bellissime e le case discografiche del Sistema non possono più fermarli, sono completamente sfuggiti di mano. EMANUELA: Per Raffaele la musica è morta, per Nando si riaffaccia da altre parti e tutto sommato gode ottima salute, io però voglio sapere da Alan che è l'unico fra noi che in questo momento fa musica sul serio, cosa ne pensa. ALAN: Non credo alla musica per pochi alla quale· accennava Nando. Io voglio sentire intorno a me tantissima gente perché questo mi da energia e sono sicuro che riesco a dare energia, emozione, forza, bellezza, me stesso a chi mi ascolta se c'è la situazione giusta. Naturalmente parlo dei concerti, non dei dischi. RAFFAELE: Siamo finiti nella mistica del disco, in una civiltà dei consumi del resto era inevitabile che ci si affezionasse al disco come prodotto. ANGELO: Mi ricordo che quando Bob Dylan ha smesso nel '67 di essere acustico per diventare un cantante massi• ficante è stato violentemente fischiato. MARCHETTI: Mi sembra di
capire che state parlando di impegno anche politico, che deve coesistere all'impegno creativo, allora l'underground non è morto?! Angelo Quaurocchi ANDO: L'underground regf!C questo è chiaro, anche se Anna Di Biagio e Dario Salvatori in altre forme e sotto altri mondi, ma una cosa è cer•::i deve impegnarsi, andare oltre l'underground la parola d'or• dine è infiltrazione, ma co;i gli scopi e i modi che ci hannon caratterizzato fino ad ora. (A curo di Eman11ela Moro/i e Anna di Biagio) NON LIMITIAMO IL DIBATTITO AGLI SPECIALISTI Questa tavola rotonda è nata da un'idea di Eman11ela Moro/i che Muzak ha volentieri deciso di p11hblicare. Resta il fatto che le posizioni che vi sono espresse non rispecchiano necessariamente q11elle del collettivo di M11zak e (ne siamo certi) nemmeno completamente quelle dei lettori. Per q11esta ragione vorremmo che i lettori di Muzak, il collettivo e qua11ti sono interessati all'argomento dicessero la loro. Per conto no.<rro ci limitiamo a fare qualche domanda agli intervenuti, riservandoci 1111 intervento (o più interventi) su 11110dei prossimi numeri. Crediamo che in q11esto modo Muzak possa assolvere in pieno la sua funzio11e di 1110111e 1 to di confronto e di sintesi delle posizioni che si svil11ppa110 al di dentro e al di f11ori del movimento, e co1111111quen gli ambienti m11sicali. Ad Angelo Qual/rocchi, per cominciare, vorremmo chiedere se 11011pensa, 11onosta11tele affermazioni di principio, di essere ormai caduto da tempo dal carro della storia e di vagare per 11topie di sapore qualunquista e amerikano predicando n11ovi modi di far politica che poi di fatto diventano modi di 11011farla (il s110 111ovimento hippy-elettorale 11011era secondo noi w1'idea pazza, era 11n'idea reazionaria). A Dario Salvatori 1•orre1111110,se11zapolemica, far presente che le sue preoccupazioni sulla censura dovrebbe girarle ad altri direttori e a se stesso, così geloso della propria libertà da attaccare altri giornalisti senza dargli il dirilfo di replica. E vorremmo a11che che ci spiegasse, molto più seriamente, se 11011pensa che ci sia contraddizione fra l'essere uno che « ha sempre vissuto l'underground dall'interno» ed essere uno « specializzato », uno che scrive 11nicamente di jazz, e nemmeno del jazz più avanzato. A Raffaele Cascane, con polemica, chi diamo solo se in TV gli cambiano o meno qualche virgola. E, sempre per parlare seriamente, se crede che la TV (oggi come oggi e ne/l'immediato futuro) lasci spazio per un discorso diverso sulla 11111sicae la cultura underground ( diverso da quello di Pop-off e Under 20) e, nel caso, perché egli rimm1ga in TV se questi spazi ncn sono garantiti o possibili. Alan Sorrenti, per finire le domanda personali, ci dovrebbe dire che senso ha parlare male delle Onne e poi farci la tournée insieme e, allo stesso tempo, cosa voglia dire essere nella cultura underground e fare il professionista in questo ambito. Non ti viene il dubbio che ci sia una contraddizione? Infine a tutti gli intervenuti (o a quasi tutti) vorremmo chiedere (e su questo aprire il dibattito con i lettori) se non pensano che l'underground sia un fenomeno storicosociale-culturale-politico non da mitizzare e vil'ere rloll'interno in modo affettivo, ma da analizzare un po' seriamente, per quanto i risultati possano essere diversi e ci si possa rendere conio che è ora di marciare, come dice Nane/o, 01/re 1'11nderground. Il collettivo redazionak~ 11
I GRUPPI ITALIANI GliUNOa Londra L'Inghilterra è sempre stata un po' l'onnipresente eminenza grigia del rock italiano e fin dai tempi di « Please please me » ha assu:ito quell'ambiguo ruolo di presenza mitica, di modello inimitabile ma da imitare che, assieme al nuovo vento musicale, alla diversa sensibilità, ha portato anche opprimenti clichè, mode ritardatarie lente a morire quanto facili a nascere. Se nella maggior parte dei casi questa anglomania si è rivelata una scelta di comodo o u:ia maschera per nascondere l'endemica mancanza di idee della musica italiana, in qualche rara eccezione è stata una necessità, anche scomoda, cui sono stati costretti alcuni musicisti dall'arretratezza dell'apparato musicale di casa nostra. Eccezione recente ce la offre il gruppo degli U:io. Come è noto questo complesso nasce dalla semiscissione (artistica e non discografica) degli Osanna. Danilo Rustici ed Elio D'Anna, unitisi al batteristapercussionista Enzo Vallicelli, han:io sentito il bisogno di rinnovare la loro esperienza musicale, di liberarsi dai suddetti clichè per approdare a sonorità differenti, sostanzialmente più sentite e personali. Al fianco del problema del nuovo corso musicaìe è sorta la questione, an:iosamente italiana, dell'adeguata registrazione del disco e del missaggio. Senza volere entrare in una sciocca polemica con i tecnici nostrani, vittime essi stessi di una arretratezza difficilmente superabile, bisog:ia pur dire che spesso lavori musicalmente interessanti sono stati rovinati, su disco, dalla cattiva registrazione in studio, dalla mancanza di conoscenza de g I i strumenti usati. Abbiamo parlato con gli U:io e con il loro produttore Corrado Bacchelli, che stanno lavorando al Trident Studio di Londra per preparare il primo album che uscirà in versione sia italiana che inglese, per capire cosa li ha spinti a questa scelta, vorremmo dire, necessaria. Riportiamo alcune risposte degli U::io stessi che meglio possono illustrare le motivazioni del soggiorno londinese. Elio D'Anna e gli altri sono piuttosto stanchi, incidere un disco non è certo un divertimento. D. Qual è, dunque, il motivo 12 che vi ha spinti a venire a registrare il L.P. a Londra? Elio D'Anna: Senza dubbio il perfezionamento qualitativo del disco che nasce, tra le altre cose, da una migliore riproduzio:i.e dei suoni e da un missaggio decisamente diverso per quanto riguarda la interpretazione. D. Chi è il tecnico che cura la vosrta registrazione? Gli UNO in sala con il tecnico Denis Mac Kay (al telefono) e il paroliere Nick Sandgwick. Danilo Rustici: Denis Mc Kay, engeneer del Trident Studio, che oltre al nostro disco cura anche il L.P. di Bill Cobham, ex batterista della Mahavish- :iu Orchestra. D. Ci potete dire, tanto per dare un'idea al lettore, quanto viene a costare l'affitto dello studio di registrazione e qual è il compenso per il tecnico inglese? Corrado Bacche/li: Il Trident Studio costa circa 65.000 lire ogni ora, mentre al tecnico vanno 4 milio:ii in lire italiane per 15 giorni di lavoro, più· l'l % sulle vendite. Bisogna dire però che l'aiuto di Mc Kay è fondamentale, ci segue con molto interesse, ci dà consigli preziosi, partecipa veramente alla realizzazione di questo lavoro; il suo apporto va al di là del professio::iismo asettico e tecnicistico, sta vivendo questa esperienza con noi. D. Voglio lasciarvi riposare perché fra poco ricomincerà il lavoro, però vorrei che mi spiegaste quale tipo di musica fanno gli Uno, in che cosa si differenziano dagli Osanna? Elio D'Anna: Il nostro primo intento, e anche il principale distacco dagli Osanna, è quello di creare e di vivere una musica più semplice; abbiamo abbandonato il sintetizzatore, cerchiamo una comunicativa meno mediata, che vada al di là della freddezza dell'elettronica esasperata. Abbiamo abba::idonato quello che stava per diventare il vicolo cieco degli Osanna, ovvero una certa magniloquenza sonora, l'amore per gli stacchi improvvisi e le imponenti riprese. Usiamo, in questo disco, solo chitarre, sa flauti, batterie e voci. Appunto per le voci e per i testi in inglese ci hanno aiutato quelli del clan dei Pfok Floyd: Liza Strike. la voce più armoniosa di « The dark side of the moon », e Nick Sedgwick paroliere e collaboratore del complesso. Comunque la nostra ricerca è ora indirizzata verso la più nitida semplicità espressiva. Abbiamo lasciato gli Uno al loro stressante lavoro con la speranza che questa collaborazione inglese produrrà per la coscienza e la chiarezza con cui è portata avanti, degni risultati senza il peso della retorica e del mito di Londra « caput mundi ». Piero Togni
leormelive E' quasi ultimata la preparazione del prossimo L.P. delle Orme, registrato lo scorso Gennaio dal vivo durante le ultime due serate della loro tournee internazionale, conclusasi a Roma. Si tratta di un disco contenente materiale per la maggior parte inedito, o tutt'al più già pubblicato in precedenti L.P., ma riveduto ed arricchito di innovazioni. La prima facciata è composta interamente da una unica suite intitolata « Truck of fire » divisa in due parti; la prima articolata con le varie improvvisazioni dei singoli strumenti: pianoforte, organo, moog, basso e batteria, la seconda, cantata, che dà il titolo a tutta la facciata. « Truck of fire » doveva costruire una parte del prossimo album in studio delle Orme, ma essendosi tutti e tre dichiarati soddisfatti di questa esecuzione dal vivo, hanno deciso di non inciderla più. Questa rimarrà dunque l'unica versione disponibile. La seconda facciata dell'album presenta versioni « live » di alcuni prezzi già conosciuti del repertorio delle Orme. «Sguardo verso il cielo » con le tastiere al posto della chitarra acustica. « Era inverno » in versione completamente riveduta, preceduta da un «preludio» improvvisato fra Tony e Michi. C'è poi il finale di «Felona e Sorona», e come bis il classico « Collage ». Bisogna tener presente, soprattutto l'importanza del passo che il trio veneto sta per compiere, essendo questo infatti il primo disco registrato interamente dal vivo da un complesso italiano. Ma l'esperimento di comunicare le sensazioni, gli stati d'animo che si verificano tra artista e pubblico in un concerto, mai ricreabili in uno studio di registrazione, doveva essere prima o poi una realtà anche nostra. 13
1) INCISIONI SOTTO PROPRIO NOME: John Mclaughlin - Extrapolation (Polydor 2310 018). Pubblicato nel 1969. Registrato con John Surman (sax bt. e s.). Brian Odges (b.) e Tony Oxley (bt.). Titoli contenuti: Extrapolation - lt's funny - Argen's bag - Pete the poet - This is tor us to share - Spectrum - Binky's beamReally you know - Two tor two -Peace piece. Il brano è compreso anche nel doppio « The guitar album» (Polydor 2659027.J (Si indica l'etichetta originale soltanto se il disco è stato pubblicato in Italia con notevole ritardo rispetto alla prima uscita. o se, ovviamente, non è mai uscito in Italia). John Mclaughlin Devotion (Douglas 4, in Italia CBS 65075). Pubblicato nel 1969. Registrato con Buddy Miles (bt, pere). Lar14 discografiacompleta di john mcloughlin ry Young (p. el., org.) e Billy Rich (b.). Titoli contenuti: Devotion - Dragon song - Marbles - Siren - Don't let the dragon eat your mother - Purpose of when. Mahavishnu John McLaughlin - My Goals Beyond (Douglas 9). Pubblicato nel 1971. Registrato con Charlie Haden (b.), Billy Cobham (bt.). Jerry Goodman (vi.), Mahalakshmi (sitar). Badai Roy (tabla). Dave Liebman (sax s.) e Airto Moreira (pere.). Titoli contenuti: Peace one - Peace two - Goodbye Pork-pie hat - Something spiritual - Hearts and flowers - Phillip Lane - Waltz tor Bill Evans - Follow your heart - Song tor my mother - Blue in green. John Surman - John McLaughlin - Karl Berger - Stu Martin - Dave Holland (Dawn DNLS 3018). Pubblicato nel 1971. Registrato con John Surman (saxs). Karl Berger (vibr.), Stu Martin (bt.) e Dave Holland (b.). Titoli contenuti: Glacing backwards Ea,rth bound hearts - Where fortune smiles - New piace. old piace - Hope. The Mahavishnu Orchestra with John McLaughlin - The inner mounting flame (Columb~a KC 31067, in Italia CBS). Pubblicato nei 1972. Registrato con Jerry Goodman (vi.). Billy Cobham (bt.), Jan Hammer (p.), Rick Laird (b.). Titoli contenuti: Meetings of the spiri! - Dawn - The noonward race - A Lotus on lrish streams - Vital transformation - The dance of Maya - You know you know - Awakening. Mahavishnu Orchestra with John Mclaughlin: brano The noonward race nei LP • Mar y sol» (Atiantic K 60029 SD 2-705) registrato dai vivo all'omonimo festival. Stessa formazione del precedente. Pubblicato nel 1972. Mahavishnu Orchestra - Birds of fire (CBS S 65321). Pubblicato nel 1973. Stessa formazione dei precedente. Titoli contenuti: Birds of fire - Miles beyond Ceiestial terrestrial commuters - Sapphire bullets of pure love - Thousand lsiand park - Hope - One word - Sanctuary - Open country joy - Resolution. Carlos Santana - Mahavishnu John McLaughlin - Love Devotion Surrender (CBS S 69037). Pubblicato nei 1973. Registrato con Carlos Santana (eh.). « Khaiid Yasin » Larry Young (org.). Armando Peraza (conga). Billy Cobham (bt.). Don Alias (bt.), Jan Hammer (p.). Doug Rauch (b.). James Mingo Lewis (pere.). Titoli contenuti: A love supreme - Naima - The lite divine - Let us go into the house of the Lord - Meditation. Mahavishnu Orchestra Live - Between Nothingness & Eternity (CBS S 79046). Pubblicato nel 1973. Registrato dai vivo con Biliy Cobham (bt.). Jan Hammer (p.). Jerry Goodman (vi.) e Rick Laird (b.). Titoli contenuti: Trilogy: The sunlit path - La mere de la mer - Tomorrow·s story not the same - Sister Andrea - Dream.
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