• Avendo a che fare con "una gran massa di giovani necessariamente (corsivo mio) sprovveduti" penso sia doveroso tentare un po' di chiarezza sulla questione rock-cultura. Bisognerebbe, per cominciare, intendersi sui termini. Nell'articolo ricorrono parole non chiare: ideologia, rivoluzione, popolo, cultura, ecc. Non vorrei sembrare pedante, ma ho la netta sensazione che si confonda ideologia con idea politica. Ideologia è la teorizzazione a posteriori dello stato economico, è tutto ciò che vuole dimostrare che questo mondo è il migliore dei possibili. È sinonimo di falsa coscienza. Religione, musica, arte, cultura, politica, tutto il prodotto ideale e scientifico del sistema è ideologia, falsa coscienza. Altro punto scorretto è la proporzione finale: •il rock sta all'industria discografica come la rivoluzione sta al sistema•. La cosa non è solo ascientifica, a causa del paragone di grandezze non omogenee, ma anche mistificante. lnsolera vuole fare passare la linea per cui il rock è necessariamente, per cause a se stesso intrinseche e necessarie alla sua essenza, rivoluzionario. Per questo butta là, come postulato, ovvero senza fornire alcuna verifica, la proporzione di cui sopra. Vorrebbe far passare che come la rivoluzione abbatte il sistema e toglie alla classe dominante il potere cambiando i rapporti di produzione, cosi la musica rock dovrebbe abbattere l'industria discografica e cambiare il rapporto (non si sa bene se esclusivamente musicale o se economico o amoroso oppure funambolico) tra musicista e discografico (sfruttato e sfruttatore?). Ma se la posizione del proletario è legata al bisogno, alla sopravvivenza che lo costringe al lavoro salariato, a farsi sfruttare, nel musicista non troviamo segno di necessità; è un professionista, intellettuale che produce ideologia (per quanto critica), che accetta certi compromessi sovrastrutturali pur di trarre un certo guadagno. Non dico che faccia male a guadagnare, anzi, ma vorrei sottolineare che la rivoluzione (anche quella musicale) è un'altra cosa. Tra musicista rock (in sé) e industria discografica non esiste rapporto dialettico, infatti non c'è negazione, antitesi. Fanno parte della stessa classe. Il musicista·ha una posizione di completa acquiescenza nei confronti delle esigenze di mercato e di censura: il caso Dylan è un esempio. Parlo del Dylan prima maniera, quello integro (?) di Freewheeling (Masters of war, Blowin'in the wind, Oxford Town) che fece queste canzoni non tanto perché ·appartenessero alla sua più profonda ispirazione (come egli stesso 4 O/la disse anni dopo) bensì perché il •mercato folk voleva inni al pacifismo e all'integrismo. Non solo, ma accettò di sostituire Talking John Birch Society Blues, satira politica antifascista molto aggressiva, con la dolce Giri from North Country, e tolse vari blues (forma musicale tipicamente nera e, allora, non bene accetta e integrata dai bianchi) per sostituirli con ballate folk (Bob Dylan's Dream) più consone ali' orecchio e alla tasca del pubblico bianco. Ma torniamo all'innatismo rivoluzionario del rock. Forse rivoluzionario perché nato dal popolo? Intanto sono il blues e lo hillbilly che sono nati direttamente dal popolo, e da queste espressioni è derivato il rock'n'roll che ha dato vita al beat prima e al rock poi. Le mediazioni, nel frattempo, sono state infinite e la matrice popolare più genuina è andata persa. Ovvero si è persa l'essenza alternativa tipica della cultura popolare (in quanto espressione del popolo privo di potere) fondata sulla necessità e non sull'estetica del comunicare. Il rock è nato con e in un mercato precostituito; l'estrazione sociale della maggioranza dei musicisti è piccolo-medio borghese; essi si rivolgono ad un pubblico di studenti e borghesi neppure tanto illuminati. Infatti la musica pop è stata, dopo l'agosto '68, il mezzo di imbrigliamento della protesta giovanile in America: la nazione di Woodstock con tanta musica e niente coscienza. Dove è finita !'•opposizione permanente• del rock? E mai esistita? Se fosse reale non riusciremmo a spiegarci perché i discografici si adoperino tanto nel pubblicizzarlo e massificarlo. Anche i media trasmettitori di rock sarebbero rivoluzionari? lnsolera, per concludere, continua a dire: siccome il rock è rivoluzionario allora è rivoluzionario. Non solo sbaglia, ma neppure spiega. Dice: per ragioni sociologiche e culturali. Poi, però, le ragioni non si riescono a sapere. Può essere una ragione, forse, l'essere stato, il rock, •catalizzatore di tutta la rivolta giovanile di questo secondo squarcio di secolo•. In me il rock non ha accelerato alcun meccanismo di presa di coscienza politica. Non mi pare di avere mai ascoltato prima delle manifestazioni gli Who o i Them. Ricordo anche che finché il momento politico è stato vivo, si è lottato molto e suonato poco, la musica è arrivata dopo con la crisi del movimento quando tutto in noi era già avvenuto. La musica pop in sé, ora, non è nulla, anzi è tipicamente leggera: si presta a un ascolto superficiale, senza impegno, ed è strutturalmente vecchia. La musica rock ha valore secondo come, dove e quando viene usata. Avrei molto da dire, ma spero di aver chiarito ciò che importa: dire che il rock è rivoluzionario in sé è affermazione scorretta perché inspiegabile scientificamente, storicamente, sociologicamente e musicalmente; reazionaria perché avalla una mistificazione ideologica voluta dal sistema per creare false alternative e azzittire le coscienze. Chiudo tristemente pensando che oltre il rock anche lnsolera sia arrivato in ritardo al solito appuntamento con la storia. Paolo Navarra - Roma Questa lettera continua, come prevedevamo, il dibattito sul rapporto fra rock, cultura e politica, aperto sul numero scorso da lnsolera. Attendiamo naturalmente altri interventi, anche perché ci sembra che il problema, affrontato sempre in maniera generica, richieda invece un'ampia discussione. Ho trovato oggi per caso MUZAK in edicola ed ho pensato di abbonarmi! Ora, un abbonamento è una specie di investimento: invece di comprare un disco subito ho preferito sperare nei vostri 12 numeri. Dico sperare, perché da un numero che è il primo non si possono trarre troppe conclusioni: comunque promette bene e questo è già molto. Ottima la discografia dei Rolling, gli articoli su Terry Riley e quello sul jazz d'estate, forse poco quantitativamente ma speriamo in meglio per il futuro. Interessante anche la rubrica di strumenti e tecnica. A questo punto però vorrei parlare di una cosa che mi è spiaciuta abbastanza e cioe un certo qualunquismo o per lo meno la mancanza di una linea coerente. Come possono coesistere articoli su Terry Riley vicino ad altri in cui si osannano Emerson e Wakeman, gente che usa strumenti nuovi e una tecnica mostruosa per infinocchiare il prossimo con melodie e armonie vecchie e rifritte? Cosa sono questi giocolieri quando si sa che c'è Cecil Taylor? Non dico di dover sminuire la posizione di questi virtuosi o di non mettere in risalto la funzione di Wakeman in un complesso come gli Yes, ma perché voler seguire a tutti i costi la massa nell'osanna più acritico quando si ha la possibilità come voi, di conoscere, di soppesare o per lo meno di discuter_e tra voi le diverse forme musicali? Pietro Cavanna - Biella Le lettere di critiche e suggerimenti, è evidente, ci interessano moltissimo. Quello che meno ci interessa è la pretesa di alcuni di volere un giornale interamente rispondente alle proprie preferenze artistiche. Non abbiamo mai soannato Emerson o Wakeman, come non osanneremo mai nessuno, convinti che compito di una Rivista di musica sia quello di esprimere, attraverso i suoi giornalisti e i suoi lettori, un confronto sui fatti musicali. Non crediamo che esista un giusto, un assoluto estetico. Non crediamo nemmeno che di per sé fa tecnica sia un fattore negativo. Insomma non crediamo niente. Ci limitiamo a criticare, a giudicare, dei prodotti o dei fatti artistici, a presentarne altri, a esprimere pareri e consigli. I catechismi, le scomuniche, il decidere una volta per tutte chi sia fuori o dentro la musica progressiva, è operazione che lasciamo ad altri, a chi crede che il critico svolga funzioni sacre e possa dividere con un colpo di spada il bene dal male. Cari amici, dopo aver trovato il vostro giornale in edicola, ho ceciso di abbonarmi e devo dirvi sinceramente bravi. Bravi perché per la prima volta in Italia viene pubblicato un mensile di pop-music curato molto bene negli articoli; per l'immenso spazio dedicato alle recensioni degli LP, fonte inesauribile di notizie; per non aver riempito il giornale di pubblicità; per non aver fatto, una copia degli altri giornali e gfornaletti; per la rubrica degli strumenti. Insomma bravi per tutto, ma soprattutto perché ciò è compreso nel 1° numero. Spero inoltre che il giornale non si occupi solo di musica, ma che si interessi anche di altri problemi sociali, politici, della cultura e controcultura in generale e delle forme artistiche d'avanguardia. Antonio Cocozza - Napoli Giuriamo: non è inventata. vorrei cono_scere la di_scografia principale ed I d1_sch1rintracciabili in Italia, di alcuni gruppi inglesi della prima ora: Yardbirds, Them, Zombies, Animals. Alfio Perotti - Genova QueS t i i dischi essenziali degli Yard b1rds: Five live Yardbirds (Columbia 1964 ), Sonny Boy Wifliamson
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