espressiva, mi sembrano i due lunghissimi brani-session • Dark of the night » e • Harmonica free form »: un po· poco per un doppio album, e s'Jprattutto troppo poco per un grandissimo musicista quale è sempre stato John Mayall. M. I. Antonello Venditti è un ragazzo sincero, per intenderci un tipo con il • core de Roma » tra i pugni, un tipo che si incavola contro il mondo, ma che mantiene della vita una visione divertita, spesso acutamente dissacrante, un tipo capace di esaltarsi per le piccole cose sincere, che mantengono ai suoi occhi una loro •infantile bellezza. Fa quindi piacere vedere che con questo album Antonello è ritornato a n11otare nel suo elemento, dopo l'ambigua esperien. za del precedente • L'Orso Bruno », forse un po' troppo orchestrai mente pomposo e soffocatore della schiettezza della sua vena poetica. La musica di Antonello rispecch-ia perfettamente, autenticamente questo suo modo di essere, dalle canzoni in romanesco, palp'itanti e ricche di ironia, a quelle in lingua, vibranti e che raggiungono una illuminazione triste-drammatica attraverso frasi e costruzioni soltanto apparentemente • divertite e divertenti ». Bell·a, sotto questo ultim-J punto di vista, la canzone « Mio padre ha un buco in gola »: un helzapoppin' ironico-tragico interpretato con brio; divertente « Brucia Roma », un « cattivissimo • e dissacrante pezzo •in romane52 muzak LP sco reinterpretat'J in chiave quasi bluesistica; cito •ancora la poetica e calda « Stupida signora » daJl'intensità pianistica eltonjohniana; e poi la bella divagazione sull'amore • Le tue mani su di me ", mai retorica, e « Il treno delle sette », e insomma tutte le altre. Mi è sembrato giusto inserire Antonello in queste recensioni perché è giusto che venga dat'J rilievo a un personaggio come lui che, essendo di natura piuttosto schivo, non pensa a darsi qià di per sé una maggiore pubblicizzazione, che meriterebbe del resto in pieno. Le canzoni di Venditti sono semplici, vere, spontanee, e consiMli·o di ascoltare c,uesto disco se si è tristi, e si vuole tornare sereni, oppure anche se si è sereni, e si vuole cere-are un momento di morbida tristezza. ERIC ANDERSEN Blue River (CBS) M. I. La prima cosa che ti riporta alla mente la sua voce è il canto appassionato di Johnny Cash, o il Dylan poetico di Nashville Skilyne; ed infatti Eric Andersen, cantante nuovo ma aurore già conosciuto e rinomato, viene da quel background, dai cantanti arrabbiati e melodiosi di Nashville, dai Blues Project, dai Blood, Sweat & Tears e dagli altri artisti della fascia Newyorke~e. Come Nei! Young è l'esponente di un mondo legato alla natura. anrora ricco di una certa tradizione country & western, così Andersen rappresent1 l'incontro tra l'uomo solo e ,intimista e la cultura urbana e industriale, una musica molto limata dal blues, da un rock di tipo decisamente più internazionale: non a caso parlando di lui si è accennato a Cat Stevens. Accompagnato da una schiera di validi musicisti, Eric ci propone con questo album quanto di meglio questa parte dell'America abbia creato in questi ultimi a.mi; una raccolta di canzoni nate attraverso un lungo arco di anni in una serie di significative esperienze, viag. giando, spesso a contatto con l'Europa e anc-or di più vicino a famosi musicisti statunitensi come lo stesso Dylan, i Byrds, Joni Mitchell, Bobby Colomby e tanti altri: con loro per un lungo periodo Eric ha cantato, composto, riscosso sempre un cal·oroso successo e una stima notevole, ma disdegnando sempre le sa:e di incisione e i dischi come mezzo per rendere pubblica la propria arte. Al disco ci arriva dunque solo adesso. ma ci arriva maturo, rie. co di tante stagioni di s·ogni, di una dolcezza musicale sconfinata, di piccole sfumature, annotazioni, ricco nello stesso tempo di un senso contemplativo e attivo della vita che fanno dell'album un vero capolavoro: son·o nove titoli dove l'autore, studiatissimo negli arrangiamenti ma sempre estremamente naturale e immediato, non ricalca mai se stesso, pronto ad aggiungere nuove sensazioni a questo quadro. Anche in l11i, come in Young, c'è questo senso di solitudine, questo ripiegamento interiore: ma Eric vive dello sforzo di superarlo con la comunicativa, con il desiderio di ritrasmettere, anche descrittivamente, le sue esperienze esistenziali. Il mezzo di ciò è soprattutto la voce: una voce differente a quel le a cui la West Coast ci aveva abituati, una voce profonda e decisa, forte di una maturità interi·ore e soprattutto molto calda, in continuo contatto con la realtà e con chi la percepisce. Così dopo anni di successi e soddisfazioni private, di gioie intime, e Eric Andersen con questo suo Blue River è ben degno di ricevere il nostro plauso. M. F. ROY WOOD Boulders (Harvest} BOULDERS ROYWOOD Oh! Finalmente un album • s·olo " degno di questo aggettivo, senza ospiti dalla celebrità pedante nè meschini suonatori sconosciuti, Boulders: qui Roy Wood, sensibilmente più brutto del solito, suona di tutto, sax ten'Jre e soprano, chitarre elettriche e acustiche, viola e v oloncelli (poteva mai mancare in un suo album?!}. flauto, recorder, piano e basso, batteria e banjo, liuti e percussioni, canti e controcanti, lui fà tutto. Per chi ha già ascoltato •il nostro Wood nei Move, indi nella Eletric Ught Orchestra, indipoi nei Wizzard, sarà facile scorgere in questo Boulders un notevole sforzo per staccarsi da una certa monotonia a cui le composizioni woodiane ci avevano quasi abituato: non per altro ma in un recente filmato distribuito dalla Harvest e da me pers-Jnalmente visionato, Roy appariva, mentre cantava Dear Elaine, naturalmente il brano meno bello dell'album, con un testone enormemente sviluppato rispetto al corpo: probabilmente una crescita dovuta all'incremento notevole di fantasia avutosi in questi ultimi tempi. Per chi di Wood non avesse invece mai sentito parlare, la scoperta di questa affascinante alchimia che è la sua musica: canti vicino alla tradizione dei bardi gallesi, momenti elisabbettiani, molto rock&roll, persino un qualcosa di vicino al jazz e •il solito trasparente amore per certi Beatles meno atipie,i e più interessanti: il tutto filtrato nella sua concezione musicale, surrealista e clownesca. La facilità e la naturalezza con cui questo Don Chisciotte assi-
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