zione che «_ o_spftava nei suoi locali mus1c1st1 e ballerini dalla dubbia moralità ». E infine il colpo finale: la grande stampa comincia a parlare di San Francisco come della « città dei fiori »; dappertutto si vendono stracci colorati di stoffa pregiata e collanine di perline o denti di bufalo; il buon Scott McKenzie registra la canzoncina « San Francisco» e si ritrova in testa a tutte le classifiche; frotte di ricchi giovincelli piovono in Califor'nia per provare nella settimana di vacanza, pagata da papà, l'emozione di essere un vero « hippie »; eccetera eccetera. Insomma, quest'ultima mossa ha pugnalato definitivamente un corpo che era già cadavere: e davanti agli occhi attoniti dei mille turisti infiorati, i veri freaks superstiti sfileranno in silenzio per la città, celebrandone simbolicamente i funerali. In questo periodo, i Jefferson continuano a manifestarsi e a ingrandire come espressione diretta degli avvenimenti. Le tematiche sociali di Paul Kantner, trasmesse con foga oratoria, delirante visionarietà e inaudita violenza espressiva hanno prese definitivamente il sopravvento sulle struggenti ballate folk di Marty Balin. Da quel momento, Paul è sempre rimasto il puntello determinante del nucleo Jefferson. Compone traducendo i riffs vocali in accordi di piano e di chitarra, e man mano andrà imponendo la tipica aggressività dei suoi brani, costruiti sul tradizionale tempo di 4/4. Le sue idee musicali, insieme ai suoi concetti sociali, cominceranno a imprimere il loro marchio a partire da « After Bathing at Baxter's », specialmente con la programmatica e profetica « The ballad of you & me & my pooneil ». Dal canto loro, Jack Casady e Jorma Kaukonen impongo• no nello stesso album quella loro ormai famosa rigidità di tempo, dalla tecnica così particolare: attacchi e sussulti sonori ove il basso guida e trafigge, ove gli assolo di chitarra si fanno più tortuosi e ribollenti (vedi il loro torturato mantra-rock « Spare Chaynce », sempre su « After Bathing ... »). Anche le parti vocali si perfezionano in impetuosità e potenza corale. Lo stupendo album seguente, « Crown of Creation », oltre ad identificare ed evidenziare con rabbia il conflitto di generazione, risente, nella pacatezza e tristezza dei suoi splendidi climi sonori, della delusione per la morte del- !'« età dell'oro ». Per un attimo la poesia e il sogno prendono il sopravvento sulla violenza del delirio sociale (con la apocalittica eccezione di « The House at Pooneil's Corner » ), e sembra che i J efferson siano stanchi di lottare. Ma invece è solo il raccogliersi con cui il leopardo si appresta al balzo mortale. NUOVA SINISTRA? MOVEMENT? (1968-1970) VOLUNTEERS (Balin-Kantner): « Guarda cosa sta accadendo giù nelle strade / hai fatto una rivoluzione, hai fatto una rivoluzione / Hey io sto ballando giù nelle strade / hai fatto... / e questo non meraviglia tutta la gente che incontro / hai fatto... / Una generazione è diventata vecchia / una generazione è diventata persona / Questa generazione non ha avuto una destinazione da raggiungere L'urlo riprende vigore / Hey ora tocca a me ed a te / hai fatto ...: I Vieni ora dove si marcia sulla cresta delle onde / hai fatto ... / Altrimenti chi lo farà per te? I Noi lo faremo, ma chi siamo noi? Noi siamo i Volontari d'America». Le forze sotterranee reagiscono: è evidente che il discorso rivoluzionario deve riprendere quota poggiando su basi nuove. La sola fantasia, il solo idealismo, la sola metafisica dell'amore, la sola speranza di poter comunicare attraverso le allucinazioni, evidentemente non bastavano. Chi sogna e non si difende è sempre più debole del proprio oppressore, e l'idealismo non sorretto da effiJEFFERSON AIRPLANE caci barriere protettive è fa. cilmente sgretolabile di fronte alla forza bruta della reazione. La rivoluzione delle menti do· veva quindi sposarsi alla rivoluzione attiva. Questa necessità di avvicinamento comincia ad esere sentita da entrambe le parti in causa: da una parte, come si è det• to, le (orze dell'underground cominciano a rendersi conto che il « potere della fantasia » deve associarsi a forme più pratiche di lotta; dall'altra parte, le tradizionali forze rivoluzionarie cominciano a comprendere che la fantasia non è contraria agli scopi della rivoluzione, che !'inglobamento del linguaggio del rock e della cui tura lisergica è fondamentale per raggiungere grandi masse giovanili in fer:mento. La prassi rivoluzionaria ottocentesca deve adeguarsi ai nuovi sconvolgimen ti sociali del ventesimo secolo, così come la nuova linfa di opposizione del ventesimo secolo non può non fare i conti, per sopravvivere, con i sistemi rivoluzionari aggiorna ti della guerriglia urbana e della responsabilizzazione politica. Resosi conto di questo, l'underground americano riprende forza, e da queste istanze di fusione nasce il Youth International Party, il famoso movimento yippie di Jerry Rubin e Abbie Hoffmann: si si cerca di fondere fantasia e rivoluzione, si cerca di creare un legame unico tra Move• ment e Nuova Sinistra, tra Allen Ginsberg e Norman Mailer, tra il Black Party e i negri non-violenti di M.L. King, tra freaks-e-studenti e le più accorte frange giovanili radicali o provenienti dal Partito Democratico. Non sempre l'operazione riesce, perché le forze sclerotizzate della Vecchia Sinistra si oppongono spasmodicamente alla nuova ventata, per difendere i propri privilegi ormai acquisiti da tempo mediante l'accettazione del compromes• so col sistema; anche molte forze rivoluzionarie tradizionali guardano con sospetto al nuovo movimento e alle sue istanze tutto sommato anarchiche, anche se si tratta di un anarchismo attivo, cosciente dei propri limiti e quindi ormai pronto ad accettare la confluenza ideologica con una magiore e più definita politicizzazione. La provocazione al sistema diventa palese, ironica e violenta, come il maiale Pegasus proposto candidato alla presidenza degli Stati Uniti; ci si avvale dello scandalo, propagato attraverso i mass media dello stesso sistema, per propagandare la propria battaglia. La rivoluzione è intesa come un grande spettacolo teatrale, di cui le forze del movement sono i personaggi e il mondo intero il grande spettatore, che deve essere prima sconvolto e poi responsabilizzato e spinto ad agire. E da tutte queste premesse esplode infine la grande rivolta-spettacolo di Chicago, durante la Convenzione Democratica del 1968, che vide unite sulla strada le forze del movement (yippies, Wheatermen Underground, White Panters), dei radicali, degli studenti, di diversi comunisti, dei movimenti negri di liberazione, e le cui fasi furono seguite alla televisione da decine di milioni di americani sbigottiti. Lo stesso conseguente processo ai famosi « sette di Chicago », gli organizzatori dei disordini (tra cui gli stessi Rubin e Hoffman) si trasformò, per merito degli imputati, in una colossale farsa ai danni del sistema, mentre sul banco dei testimoni a discarico si avvicendavano alcune tra le più belle menti della nuova cultura (da Timothy Leary a Allen Ginsberg a William Styron a Ed Sanders a Norman Mailer) e della nuova musica (da Arlo Guthrie a Country Joe McDonald a Phil Ochs a Judy Collins). Così si andava sempre più cementando la fratellanza di tutte le forze della nuova sinistra americana. E i seicentomila accorsi a Woodstock nell'estate del 1969 per il primo colossale festival rock completamente « liberato» (o almeno così si pensava allora) alimentano sempre di più le speranze e la esultanza di chi già vede delinearsi oltre l'orizzonte la prospetiva di una sterminata « nazione underground». E ancora una volta, i Jefferson Airplane si mostrano specchio fedele dei tempi, con coraggiosissime prese di posizione. Il verbo yippie è necessariamente il loro verbo, e l'album « Volunteers », portabandiera della lotta sulla strada, della fantasia rivoluzionaria, dell'ironia-spetta· colo, pur versato in tutti i modi dal sistema attraverso sequestri e bandi dai pro5 rammi radiotelevisivi, supera velocemente il milione di copie vendute. « Volunteers », insieme all'immediatamente seguente « solo » di Kantner-Slick « Blows against the Empire», rappresenta, nella evoluzione degli Airplane, il momento più alto, in seguito forse mai più raggiunto finora, in cui viene creato un perfetto punto di incontro tra ideologia, perfezione musicale e collocazione storico-sociale. « Libere menti, liberi corpi, 45
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