Muzak - anno I - n.2 - novembre 1973

base ritmica di bassi spettacolare, il canto finale, simbolo della cristallinità, del poter racchiudere tutto in sé ricreando, è quello delle campane tubulari, le ispiratrici dell'opera. La seconda facciata si presenta induboiamente meno spettacolare, ma la continua varietà sonora, l'indugiare più a lungo sul modulo sonmo sprigionancfo in pieno la propria libertà espressiva, nulla tolgono anche a questa seconda parte. E qui Oldfield, ormai padrone di tutti gli orizzonti musicali manifesta la sua misuratissima carica ironie-a incentrando il brano intorno al canto grottesc-.:, del licantropo, dell'uomo lupo: un uomo lupo che con le sue campane tubulari si fa bocaoni di tutti gli altri album esistenti oggi sul mercato. BLUESOVSTERCULT Tyranny and mutation (Columbia) M. F. E' una sfumatura, un dettaglio difficilmente definibile; è un segno, un particolare tipo di spir<ito, che caratterizza istantaneamente l'artista autentico nel parrarama dell'alta tensione elettrica. O lo si ha o non lo si ha. E' quel • quid •, per esempio, che distingue David Bowie da Mare Bolan, o l'Alice Cooper di • Pretties for you • d-a quello di • K•iller •. Questa capacità o incapacità di trasmettere quel coloo di fulmine che ci aspetta dal rock è forse da ricercarsi nell'utilizzazione dello sfondamento elettrico come mezzo oppure come fine; o anche nell'abilità di un gruppo di domirrare il suono che crea oppure di rendersi schiavo di una ·ricetta prestabilita. E poi vi è anche un particolare • feeling » nel modo di c.antare, sulla cui sincerità o me!l'a ben difficilmente ci si può sbagliare. Questa sfumatura diviene eviden. te ascoltando questo secondo disco dei Blue Oyster Cult. Si tratta di un gruppo newyorkese che emerge attualmente dal più completo anonimato, ma che sembra promesso a un luminoso avvenire. Cosa suonano i BOC? Dell'hard r.:,ck, visto che bisogna fornire una defirrizione. Ma forse sarebbe più preciso dire: del rock nel pieno della sua forza. Nessuna traccia di facilità, nessuna impressione di raffazzonamento, ma otto brani semplicemente incandescenti, che si sviluppano e si espandono in un incedere quasi solenne. Tre sono s.:>prattutto i grossi pregi dei BOC: in primo luogo un tandem di chitarre [Donald • Buck Dharma » Roeser e Al len L·anier) impressionante rer la sua efficacia e la sua precisione sempre ricca di ispirazione; secondo, una stupefacente capacità di ricerca melodica e viscerale ad un tempo; ,infine, una volontà, elastica e discreta, ma molto ben marcata, di inn·avazione: e questo attraverso l'uso del sintetizzatore oppure di effetti ripetitivi che, accompagnandosi a dei testi esplosivi e realistici, testimonia della totale •attualità del gruppo e dell'assenza nel suo seno di qualsiasi nostalgia. Insomma, i Blue Oyster Cult offr.:,no con questo albun una grande dimostrazione, giustamente ambiziosa. Resta da augurarsi che tutto queste qualità si manterranno integre anche dopo un eventuale (e tutt'altro che impossibile) successo di massa, resistendo •alla consueta pianificazione commerciale alla quale tutti i più grandi gruppi di hard rock hanno, finora, d-.:,vuto cedere prima o poi. MARK/ALMOND 73 (Columbia) M. I. Credo nulla mi possa trattenere dallo scr,ivere che sotto il nome di Mark/ Almond si nasconde uno dei più gross·i gruppi della musica rock; come cred-a sia ormai noto, il cantante e chitarrista Jon Mark e il fiatista Johnny Almond sono nati sotto le prolifiche ali di p-apà Mayall e da lì hanno spiccato questo interessantissimo voi·.:, che li ha portati oggi ad una meritatissima e larghisisma fama sopratutto negli States. Il primo album di Mark/ Almond, è chiaro che sotto questo nome sono inclusi altri musicisti che fanno gruppo fisso, era impostato alla più severa acusticità e traboccava di quel jazz che, al c-.:>nfinecol blues, ha fatto epico Mayall stesso: via via che il gruppo si è andato trasformando, una girandola di sostituzioni, questi elementi pur restando basilari nella concezione musicale dei leader, sorr.:, stati affiancati da numerose sfumature che hanno indubbiamente arricchito il tutto, e qualche volta anche sconcertato, come nel caso di un certo amore per il R&B denunciata dal recente Rising. Ora, dopo tre album, I, Il e Rising, Mark e Almond sono giun ti a questo 73 che dovrebbe simboleggiare per il gruppo s.:>prattutto l'apertura della nuova frontiera americana e la trasformazione dell'organico ·in una specie di oand, sempre ricollegandosi al termine alla Mayall. Ho accennato due volte agli Stati Uniti e non a sproposito perché mi sembra che la recente, trionfale tournée negli States abbia lasciato una certa impmnta, specialmente nella facciata live che da tale tuornée è appunto tratta. L'organico del gruppo ha subito un notevole mutamento: accanto ai soliti Jon e Johnny, a Dannie Richmond, induboiamente uno dei migliori batteristi ultimamente apparsi, a Geoff Condon serondo fiatista e tastierista del group, abbiamo Wolfgang Melz al basso, Bobby Torres alle percussioni e Alun Davies alle chitarre acustiche, ex chitarra di Cat Stevens, reduce dall'album capolavoro Daydo. Analizzando l'organico non è difficile intuire un lieve spostamento verso i I genere afra-cubano, la conferma della sezione di fiati sul modello del R&B: ma in effetti si tratta soltanto ·di un es,ediente per rendere più r:cca di comunicativa la consueta musica alle orecchie degli spettatori americani: per il resto la raffinatezza rimane sempre quella, anche soprattutto grazie ad un'ottima resa dal vivo, gli a soli vagano sempre verso frontiere jazzate piacev.:>lissime, tutto è sereno, limpido, meraviglioso. La sensazione che Mark/ Almond siano sempre gli stessi poeti delicati e raffinati la si ha, dopo aver ascoltato •i brani vecchi riarrangiati live nella prima facciata, qu·ando si passa ai tre brani interamente incisi in studio: l'insieme è come al solito fluido, elegante, sofisticato negli accenti e nei ritmi, ma mai innaturale, srarzato, dominato dall'inesauribile calore della voce di Jon Mark. La vena compositiva rimane ancora una volta inattacc-ata da mode o influenze esterne, eppure nella sua straordinaria originalità riesce a racchiudere molti elementi basilari delle culture sonore anglo-americane. Il brano centrale intorno al quale ruota tutto l'album è dedicato ai cl-awns: Clowns (Fine del circo europeo senza ringraziamenti per Fellini) è un br3no tipico nel repertorio del gruppo; nasce come delicata ballata clipinta dal canto di Mark mentre intanto sottili e squisite si assommano le voci deçili altri strumenti, gli a soli jazzati espressivi, il finale grandioso sulle note del flauto, del coro e del mellotron, il tutto che affoga nei lazzi dei clown, mentre g'à si odono le note della canzone seguente. E' il piano di Nicky Hopkins, un ospite di lusso per un album di classe. M. F. 39

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