Muzak - anno I - n.2 - novembre 1973

per diversi candidati; ma la pazzia ecC'vla qua, i Focus, I-a pazzia olandese. Tutti sanno di quali intrallazzi commerciali è covo la classifica che ·il Melody Maker emette una volta l'anno stigmatizzando giudizi assoluti sul panorama musicale mondiale: Emerson, Yes, Clapton e Focus, come migliore chitarrista, Focus come rivelazione internazionale, Fucus come altre bazzecole accessorie ... manicomio! Di tanti gruppi ascoltati p0chi possono essere tanto noiosi come il quartetto olandese e se ne volete una riprova nulla è meglio di quesro loro album registrato dal vivo al Rainbow. In primo piano la chitarra di Jan Akkerman, gradevole, pulita, a volte intelligente ma spessissimo sempre uguale a se stessa, dietro tre mediocri strumentisti che lottano all'ultimo sangue con una manc-anza d'•idee cronica, impegnati nella creazione di una musica che a malapena regge il confronto con quella suonata in night fumosi: dove siete gruppi italiani, con ·i vostri buoni difetti, con le vostre parole piene ,di felice retorica? Già, perché tra !'•altro i Focus non cantano nemmeno, anzi non compongono nemmeno. lunghi aritmici a solo che si seguono stancamente, senza nessuno stimolo uni- .tario, senza gusto della costruzione musicale. Se veramente oggi centinaia di inglesi plaudono a·i Focus, se migliaia di statunitensi ne acquistano gli album c'è veramente da chiedersi perché noi ita• liani non si·amo anC'vra i primi in tutte le classifiche anglo-americane: penso si tratti soltanto di un buon problema organizzativo. Intanto i Focus con questo brutalizzante album live imperano; per la cronaca l'unico brano accetrabile è Hocus Pocus, ove il flautista Thi_is Van Leer si PKl· duce in un canto ·iodeln che potreste ascoltare in verS'lone migliorata e originale In qualsiasi birreria bavarese: Hocus Pocus, Pocus Focus, Moltus ,Pocus. M. F. NEIL YOUNG Tlmes fades away (Reprise) Il nuovo L.P. di Neil Young era attesissimo da gran tempo, per36 ché, se Si eccettua il mediocre e antulogico doppio • Journey thru the past • che nulla aggiungeva all'arte di Neil, era praticamente da • Harvest • che il malinconico cantautore americ-ano non dava discograficamente più segno di sé. Questo album, interamente registrato dal vivo in vari concerti, pur contenendo tutte canzoni inedite, non è in un certo senso una novità assoluta, in quanto diversi brani erano già pronti da quasi due anni. e dovevano costituire la sezione live di • Harvest •, un progetto che successivamente rientrò: per questo motivo, alcuni dei brani qui presenti erano già conosciuti dagli appassionati per essere apparsi nel corso di questi ultimi tempi in alcuni bootlegs. Il disco, forse ·anche per il fatto di essere stato inciso dal vivo, e quindi essendo di per sé strutturalmente più • diretto », presenta sostanzialmente una vena più • easy •. mentre viene sviluppato e ampliato quel lato sottilmente ironico sempre presente, ma fino ad oggi rimasto molto in sottofondo, nelle opere precedenti. Abb-astanza vicino, almeno come intenzioni, al secondo LP. solista di Nei!, • Everybody knows this •is nowhere », questo album sembra segn·alare una rinuncia non si sa se definitiva all'incomunicabilità e alla tristezza, nonché alle ·atmosfere più delicatamente acustiche, in favore di un recupero di una scanzonata allegria, o comunque di un atteggiamento più aperto e sereno, attraverso cui la comunicatività immediata viene ad essere per -lo meno gàrantita. Anche la Hnea delle songs è meno curata e animata da un-a estrema semplicità, e purtroppo anche gli episodi migliori risentono talvolta di qualche momento di stanchezza, in cui Young si limita a fare il verso -a sé stesso. Il disco, dunque, non convince del tutto, specie se rapportato agli splendidi episodi precedenti, ma nonostante ciò si raccomanda per la piacevolezza del suo insieme: ma da Young abbiamo il diritto di aspett-arci certamente anche di più. Tra i brani, notevoli quelli in cui il cantautore si esibisce da solo al pianoforte (• Journey thru the past », • Love in mind », • The bridge ») recuperando melodie lente, malinconiche o comunque contemplative, e ben costruite; belle anche • L.A. », un brano tioicamente younghiano sulla linea drammatica e declamatoria di • Don't Jet it bring you down • e • Southern man •. e l'epica e triste • Don't be denied », che riacquista il tono delle cose migliori di Nei!, con le chitarre che si intrecciano a dipingere quadri melanconici e passionali. Più di • routine • e melodicamente semplici gl-i altri brani, spesso ritmati e briosi. Il gruppo accompagnatore di Nei! è costituito dai fidi Jack Nitzche e Ben Keith rispettivamente al oiano e alla slide guitar, dal bassista Tim Drummond e dal batterista John Barb-ata (oggi con i Jefferson Airplane). In due brani, alla chitarra e ai cori, compaiono David Crosby e Grahan Nash. M. I. NEW YORK DOLLS New York Dolls (Mercury) Negli stermin-ati abissi delle miserabili bidonvilles di New York, la Faccia Oscura della città opulenta, sta nascendo e sviluppandosi in questi ultimi tempi una generazione di musicisti rabbiosa e violenta, pronta allo scontro frontale, figlia degenerata ma non per questo degenere dei Rolling Stones e dei Velvet Undergrvund: il travestismo e il cascame decadente vengono volutamente portati al parossismo fino alla disperata caric.:tura, in un'altra sussultante volontà di reagire alla standardizzaZ'ione meccanica e alla apparentemente benevola, ma in realtà inesorabile, repressione del sistema del profitto e dell'efficienza economica, che procede follemente. in •avanti, incurante delle sacche di miserabili e di disadatttati sociali che si semina alle spalle e che non destinati a venire stritolati e nullificati dalla stessa cieca espansione della cosiddetta società del benessere. Todd Rundgren, genio sconosciuto di questi abissi, è la figura intorno alla quale si catalizzano queste nuove forze di spazzatura luminescente con la m0rte negli occhi e il nulla che urla subito dietro la porta, nascosto ma non troppo dai maquillage e dagli orpelli e da tutti i simboli direttamente sessuali e ostentatamente omosessuali che vengono ora gettati in faccia al p•.•bblico, dop0 essere stati costretti ad abbandonare ogni res•iduo di pudore. Proprio per questi motivi, i New York Dolls, uno dei gruppi portabandiera di questa nuova ondata e ben conosciuti neçili ambienti underground e oltre-underground, erano stati finora restii ad ·incidere un disco, nel timore che l'essenza della loro carica vitale potesse essere castrata dai condizionamenti dell'industri-a discografica: ma oggi questo timore è stato evidentemente fugato. e la garanzia più P8lese è data dal fatto che •il disco è prodotto prop~i·0 Jda Todd Rundgren. Così. dopo aver provveduto a sostituire il batterista, perito tragicamente in un incidente aereo lo scorso inverno. i New York Dolls esC'vno finalmente dal ghetto, ed è da lodare la casa discografica italiana che S'i è decisa a pubblicare tempestivamente il disco anche nel nostro paese. L'atmosfera generale dei brani è vicinissima ai Rolling Stones del Primo periodo aureo (da • The fast time » a • Let's spend the niqht together ») e anche la voce del cantante David Jo Hansen ricorda da vicino quella di Mick Jagger, anche se con minore flessibilità rispetto a quest'uf. timo. Un altro nome che viene alla mente è quello dei Pretty Things, un gruppo violentissimo

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