ventare una superstar, scegliendo i cxilori variopinti del business. Gli album precedenti di Leon, specialmente "Asylum Choir Il• e • Carney •, erano nel loro genere splendidi, tremendamente • funky », forse il prodotto migHore del gospel-rock della Cosa Orientale americana. Questo ultimo triple album, •invece, diventa più ambiguo nella misura in cui si presenta come una tipica produzione • k'.:Jlossal• -all'americana, piena di colori e festosamente profumata di dollari. Leon Russel è indubbiamente tuttora uno dei più grossi musicisti sulla scena (e questo album per molti versi lo conferma egregiamente). ma la sua posizione di superstar lo pone ormai davanti a una precisa scelta tra una sincerità da perseguire anche a cost:-odella rinuncia di una piccola parte di successo e il definitivo ingresso nell'artificioso mondo de·i miti pompati dall'industria del sistema. Questo album forse troppa lungo rispetto ai reali contenuti rispecchia questo conflitto nell'alternmsi di brani eccezionali e pastos•i con altri più marcatamente di routine e solo superficialmente scintillanti. Belle e trascinanti • Shoot out at the plantation •, • Stranger in a strange land • (·ispir3ta all'ormai famoso romanzo di Robert Heinlein da cui sarà tratto un film interpretato da David B·.:iwie), e • Delta Lady •, tutti brani di Leon. inoltre i due gospels • Great day • e " Some day • arrangiati dal Rev. Patrick Henderson. e una strabiliante versione della rollingstoniana • Jumping Jack Flash •. . . L'album è interamente registrato dal vivo e vi collaborano tutti i mus•icisti del chiassoso e pittoresco ghelter People di Leon. Resta sincero, Leon. non mollare! M. I. GENTLE GIANT In a glass house (WWAJ La c-asa di specchi è una grande vetreria in cui il Gigante Gentile continua a rimirare i grandi occhi buoni e le sue prime rughe. Tra le pareti trasparenti è racchiusa tutta l'atmosfera favolistica di questa avventura rabelaisiana giunta al suo quinto capitolo. . . Phillip Shulman, il magg•1oredei tre frate IIi che guidano la formazione, ha abbandonato per stanchezz-a; e il gruppo si è ridotto a cinque elementi, nulla perdend·.:i in ricchezza di suoni, di colori e di idee. Tuttavia, alla luce di questo • In a glass House " vie_ne sp?ntaneo ésprimere un lieve disappunto per certe trovate <:1ecisamente imparate a memoria: anche se la musica rimane fresca, godibilissima. emozionante. Con rii primo album e con il successivo • Acquiring the taste ", i Gentle Giant avevano creato le basi ed i presupposti del loro discorso artistico, avevano disposto il proprio materiale espressivo, tutte le trovate che in breve tempo ne hanno fatto. prima in Italia e in un secondo tempo in Inghilterra e negli Stati Uniti, uno dei nomi più popolari della scena. • In three friends • ed •in • Octopus • sono stati colti alcuni aspetti di questa materia, e Minnear e soc·i vi hanno certosinamente lavorato sopra, manipolando abilmente i colori e le tonal•ità. trovando qui e là ancora spunti di genialità ma. fatalmente. con una originalità decrescente. La loro mus·ica è sempre una ricca mistura di classico medievaleggiante, musica cortigiana e musica ecclesiastica, di quel favolismo nordico che fa dei loro dischi l'ideale commento sonoro ai racconti ed ai p-aesaggi di Andersen o dei Grimm, e di un pizzico di sofisticata avanguardia contemporanea. In alcuni attimi più tradizionali (« The runaway •, • A reunion»), balz-a all'occhio l'impronta dei Jethro Tull, che sovente hanno attinto a matrici cvmuni. Dove le tastiere di Kerry dettano leg9e, viene •in mente la suite • Tubularbells » di Mike Oldfield. In particolare il vibrafono. uno degli strumenti che il pop non ha ancora valutato nella giust3 dimensione, impronta il tessuto sonor'.:l di una freschezza incomparabile . Nel disco c'è del rock spinto, e c'è la tradizionale andatura S'.:l· gnante, con il lievissimo tappeto di percussioni, le corde ed 1 tasti appena sfiorati e le voci impalpabili, sussurrate. C'è pure, in apertura ed in chiusura. un gran fragore di vetri infranti. Segno che qualcosa sta per cambi·are? M. I. LOU REED Berlin (RCAJ Molte osservazioni generali si affollano nella mente durante l'ascolto di questo terzo L.P. s·vlista di Lou Reed. In poche parole il d'i-avolo è tornato ad essere santo (o almeno così sembra) ed è ovvio che pe_rsantità intendo la ritrovata grandezza. Dopo I vert!ci paradisiaci dei primi album dei Velvet Under- !Jrvund, Lou era sempre più andato scadendo in un canzonettismo che lo ·.weva reso triste fant<lsma di sé stesso. Il suo primo L.P. solista, .. Lou Reed •, non uscito in Italia, segnava marcatamente un recupero e un ripensamento: atmosfere si allargavt'no. e in più parti si riaffacciava la zampata grintosa del vero Lou. In questo senso, il successivo .. Tmnsformer •, buona opera artigianale, segnava un nuovo regresso, impregnato com'era da schemi troppo marcatimente bowiani: con le stupende eccezioni, si intende, di ~ Make-up • e soprattutto di quella • Walk on the wild side • che rappresentava forse la prova più fulgida e disperata della resurrezione dell'artista. Oggi, con « Berlin •, Lou Reed prosegue e amplia liberamente il nuovo discorso iniziato con il suo primo • solo•. E' un po' come immaginarsi i primi gloriosi Velvet ma più liquidi. meno ossessivamente ripetitivi: le atmosfere si fanno più complete, stilizzate, e questo è forse fin·almente il Reed della piena, ritrovata maturità compositiva se non anche poetica. In questo disco, predominano largamente le atmosfere rarefatte, scarne, acustiche, ad ampio respiro. La prima facciata sembra più direttamente influenzata da profondi richiami culturali mitteleuropei, con marcati accenni al cabaret tedesco anteguerra: ma il mito germanico è un vecchio, vecchissimo sogno di tutti i Velvet che contano, d<aNico la Valchiria Insanguinata a John Cale Gentleman Decadente a Lou Reed Poeta Delle Ultime Verità. Accanto a diversi session men inglesi di provata bravura, troviamo in questo disco i nomi di •altri notissimi strumentisti come Aynsley Dumbar (ex Frank Zappa) alla batteria, Steve Winwood alle tastiere e Jack Bruce al basso. L'album si apre appunto con " Berlin •, già presente nel primo solo di Reed e qui significativamente ripresa in una breve versione: sullo sfondo " classico • di una pianistica melodia teutonica, la voce estenuata di Lou sorge dal nulla a dipingere quadri mitici di una Berlino sempre sognata e mai realmente conosciuta. Tutti i brani sono degni di nota, e si distinguono in particolare « Oh Jim •, un piccolo qioiello di brevissima durata, un blues ossessivo e acustico della desolazione « capovolta •; o ancora .. L·ady Day • e le sue aspre tonalità da c-abaret tedesco prenazista. con la sua cupa allegria e la sua ricchezza di tinte forN, drammatiche; o l'allusiva • The bed •, dolce e sopra ballata pervasa di echi sussurrati e cori lontani di voci bianche; o ancora « The kids •, il brano più dylaniano del disco. M. I. La •pazzia deg·li Inglesi: alcuni dicono siano gli Slade, rozzi e volgari, altni Bowie, polvere di stelle, e tanti altri propendono 35
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