mai di essere quel musicista limpido, geniale e originale che ormai da anni dimostra di essere; tutti quei momenti, a mio parere i migliori, dove la tensione ritmica si allenta, si creano spazi più rarefatti e melodiosi, gli a soli riposano, ecco che •il piano, pacatamente velato di blues, elegante e sottile si insinua, la voce metallica, dissacrante riporta la libertà espressiva degli strumenti alla primitiV'a unità del brano. in sintesi un disco abbastanza difficile da giudicare, carico di suggestione, forse tecnicamente uno dei live meglilJ riuscii,, costruito attorno ad alcune delle più affascinanti figure musicali degli ultimi anni, ma anche un disco che lascia immutati i dubbi sull'•attuale momento del group. ROLLING STONES Goat's head soup (Rolling Stones) M. F. L'ultimo LP degli Stones, uscito in coincidenza della trascinante tournée europea di cui V'i riferiamo in altra parte del giornale, era appena uscito che già suscitava scalpore e scandalo, SIJprattutto per i testi di alcuni brani, semplicisticamente accusati di • pornografia » dai severi censori di vari paesi occidentali. Abbandonato e comunque ridimensionate le fracassanti ;nfluenze del gospel-rock della Costa Orientale americana, presenti in dosi massicce sul precedente « Exile on main street », il disco recupera una vena più pacata e acustica, ruV'idamente bluesistica, e anche il suono ne ,acquista in limpidezza. Abbando34 muzak LP nati per il mQmento i dissidi interni, oggi i Rolling Stones appaiono ,interamente concentr,ti nell'opera di riconquista di una pos!zione di assoluta preminenza nel rock attuale (come quella che aveva già contrassegnato il periodo del loro primo c0lossale boom degli anni 1965-1967). intento che sembra da alcuni •1nni procedere con crescente successo, mentre viene attualmente recuperata anche una certa unanimità di favori del pubblico e della critica specializzata. Da un punto di vista strettamen te musicale, molti sono i punti di contatto con •Sticky Fingers", il terzultim0 album degli Stones e il primo per la Rolling Stones Records, che marcò il chiassoso ritorno del gruppo ai vertici della popolarità. Questo « Goat's head soup " anche se forse, a livello di ispirazione, potrebbe essere considerato un P'JCOpiù scarso dei precedenti, è in ogni caso un disco maturo, assolutamente non adatto « per ballare ", amaro e rabbioso, direi, in un momento in cui la rock music sta perdendo il suo originale smalto rivoluzionario per tingersi dei festosi colori delle facili superstar paladine del sistema. Insieme agli Stones, in quest\ilbum registrato in Giamaica nello scorso dicembre, suonano anche i fiatisti Jim Horn e Bobby Keys e •il keyboarder Billy Preston (tutti costoro hanno accompagnato il gruppo anche nella recente tournée eur0pea) più, in alcuni brani, il fiatista Jim Price e il pianista Nicky Hopkins, entrambi già vecchie conoscenze degli Stones. Tra i brani migliori cito la bluesistica e violenta • Doo doo doo (Heartbreaker) •, le ballate tipicamente Stones • Coming down again » e • Winter », vicine allo spirito di • Wild Horses » e • Y\Ju can't always get what you want •, l'orientaleggiante • Can you hear the music •, la romantica • Angie », forse dedicata a David Bowie; la satanica • Dancing with Mr. D. », ricca di influenze voo-doo e soprattutto l,a rabbiosa rock'n'rollistica • Star star • (originariamente intitolata « Starfucker •) dedicata alle groupies e dal testo scabrosamente veristico. Il grupP'J mantiene egregiamente il suo -ruolo di capostipite storico: gli Stones sono orma: da considerare soprattutto come un fenomeno soci-aie, prima ancora che strettamente musicale. M. I. La vita dei complessi in Italia è eccezionalmente bal1Jrda, da sempre: altari, polvere, fame ... contrariamente da un pò di tempo a questa parte incominciano ,a farsi sentire cose veramente degne di rispetto, dischi che non sfigurano al confronto di tanti prodotti esteri. E cosi incoragg'iate da questi risultati artistici, oltre che economici, le case disc0grafiche, una alla volta incominciano ad incrementare questo genere: così ci troviamo davanti ad un rispettabile numero di nomi nuovi senza, per la verità, riuscire mai bene a districare la matassa; ma credo che questi Odissea di cui vi presentiamo il primo album valgano la pena veramente di farci sopra qualche considerazr0ne. La qualità maggiore di questo nuovo grupPIJ italiano è una cosa ben rara nel nostro panorama musicale: l'equilibrio. Facilmente i nostri esponenti musioali del mondo anglo-americano che rimane tuttora fonte maggiore di ispirazione, carpivano gl-i accenti più plateali, maggiormente spinti: ne derivava logicamente una musicalità terribilmente esasperata, senza caP'3· cità riflessiva, contratta su alcuni elementi di 1Jrdine tecnicoestetico che finiscono irrimediabilmente per renderla sterile. Ebbene gli Odissea sono i primi che riescono a calibrare questo peso esterno con una personalità ben precisata, armonizz,ando con molto equilibrio le varie componenti: 00sì questo esordio nasce in maniera lineare e semplice, senza orpelli o estetizzazioni. La linea del disco è essenzialmente melodica, ricollegabile per certi elementi ai Genesis, ma in sintesi originale, intercalata da piacevolissimi periodi dove i I ritmo si fà più mercato, la chitarra o le tastiere escono prepotentemente dal tappeto or- • chestrale. La voce usata qui senza paure, pudori ed errori tradizionali nel ròck italico, è molto particolare, colorita, decisamente nuova per i nostri gruppi: e i testi sono altrettanto curati nella loro logicità, centrati intorno alla figura triste dell'uomo solo con sé stesso. Atmosfere e sentimenti di cui sonoramente si occupano in un gioco sottile e pacatissimo gli strumenti s-Jttoposti ad un attento studio tecnico: eminent, slide-guitar e chitarre filtrate nel leslie sono le tessere di questo piacevole mosaico musicale. M. F. LEON RUSSEL Leon Live (Philips) 3 L.P. Chi ha visto il film • Mad dogs & englishmen •, resoconto della pittoresca tournée U.S.A. di Joe Cocker e della sua troupe allucinata comprendente donne, bambini, animali, musicisti, si ricorderà senz'altro di uno strano tipo la cui testa magra e irsuta, coperta d-a un enorme cilindro bianco, faceva capolino da dietro un pianoforte o al di sopra di una chitarra elettrica. Quel tiP'J era Leon Russell, musicista, compositore, arrangiatore e proprietario di un•a propria etichetta discografica (la Shelter Records), principale responsabile dell'enorme successo di Joe Cocker in quel periodo. E faceva uno strano effetto vederli lì accomunati sul palo0scenico: Joe urlante e sudato, colorato di rabl>ia o di whisky; Leon serio, impassibile, concentrato, così tremendamente lucido ... Da allora non è poi passato molto tem?Q, eppure quante cose sono cambiate! Joe Cocker, per rifiutare l'-imbalsamazione del mito, ha distrutto scientemente il suo successo, preferendogli la semplicità e •la discrezione di un ritrovato equilibrio umano; Leon, invecé, ha fatto 'in tempo a di-
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