Muzak - anno I - n.2 - novembre 1973

dei Dead: ·il giudizio di ambiguità è emesso in rapporto al passato (specialmente agli ultimi dischi live), ma tale ambiguità, presa in sé, potrebbe anche essere positiva per la comunicatività che sprigiona. Ma resta il fatto che ci si chiede se questi sono ancora i Gratef.ul che noi amavamo. Tra i brani, se dimentichiamo l'orribile « Let me sing your blues away », scritta appunto da Godehaux, sassofonistica e saltellante, segnalo l'ottimo country rock • Mississipi half-step uptown Tooledoo », nella migliore tradizione Dead, e la bellissima, lenta e sofferta • Stella blue » con un grandissimo Garcia alla chitarra e al canto, in cu·i i Dead dimostrano che, se vogliono (e in quest'album hanno voluto davvero tropp-0 poco), p-0ssono ancora condurti per mano fino alle stelle. Sostanzialmente ambigui, anche se per molti versi pregevoli, gli altri brani. M. I. ALLMAN BROTHERS BAND Brothers and sisters (Warner Bros.) A mio parere, questo è H miglior disco degli Allman Brothers fino ad ogg·i: dopo la morte del povero Duane 'rAttman sono stati progressivamente eliminate le pesanti influenze hendrixiane o comunque esageratamente hard, in favore di un recupero sempre più sostanziale delle rorme country-blues più genuine, impetuose, ricche di freschezza e di inventiva è proprio questo disco, con gli strumenti indiavolati a tessere maliziose costruzioni ricche di grazia e di • feeHng », e batteria, piano e slide guitar fanno a gara e si intrec32 muzakLP ciano •a dipingere quadri variegati che, rivisitati in chiave moderna, sembrano scaturire dalle praterie assolate del profondo Sud, da dove tutti 'i membri del gruppo provengono. Negli ultimi tempi, gli Allman si sono molto avvicinati, a livello umano, alla famigia dei Grateful De-ad, con i quali si sono esibiti in vari festival e anche in jam-session rimaste storiche nel ricordo di chi ha potuto assistervi. E questi nuovi Allman risentono un poco dell'influenza diretta dei Dead: intanto anch'essi si sono organizzati in grande famiglia comunitaria, di cui questo • Brothers and sisters » è diretta espressione; e poi anche il loro progressivo sp-0starsi verso il più genuino country - blues sembra essere un risultato scaturito dall'amicizia con I Gratefui: e proprio i migliori brani del disco, e cioè la ballata • Ramblin' man " e l'indiavolato country-rock • Jessica • sono sostanzialmente vicine allo • spirito De-ad », come dimostra chiaramente lo stesso uso della chitarra eletrica. Queste cons·iderazioni non tolgono nulla al fatto che gli Aliman sono comunque un gruppo originale e autonomo, rorse una delle cose migliori espresse dagli Stati Uniti in questi ultimi tempi_ E ·il grande e immediato successo che quest'album ha ricevuto contribuisce a dimostrarlo. M. I. DEODATO - 2 - (CTI) Proprio da queste colonne, il precedente numero di Muz-ak, s·i levò un incondizionato ·inno all'ormai celebre Zarathustra di Eumir Deodata: ebbene credo che oggi dovrò, alla luce di questo secondo album, rimangiarmi molto del succitato •inno. Di solito sono prevenuto nei confronti dell'album che segue a breve distanza un'esordio fortunato e originale: si è portati subito a fare una copia del primo disco venendo quasi sempre meno alle classiche fonti dell'originalità e della personalità questa mia pallida tesi mi sembra confermata in pieno da Deadato 2. Così come nel primo album cì eravam-0 trovati davanti •alla felice simbiosi di Strauss e Debussy con l'agilità moderna e sgusciante del Deodato pianista e con la ventata carica di novità del Deodata arrangiatore, eccoci nuovamente davanti al1'-incontro tra l'artista e composizioni che potremmo definire classiche come la Rapsodia in Blu di Gershwin, la Pavana per una Principessa Morta di Ravel e Nights in the White Satin dei Moody Blues. Tutti brani scelti con molta intelligenza e un notevole pizzico di follia e che volendo, potevano costituire l·a base per un discorso decisamente ·interessante; ma Deodato, mosso dalla sua fama sorprendente e immediata, non solo rimane fermo ai motivi conduttori del primo album, ma tende addirittura ad esagerare su quei temi. come il massiccio e ben noto arrangiamento orchestrale, che avevano meno convinto nell'opera precedente. Vien meno soprattutto l'originalità, l'accuratezza e la ricerca del particolare che lo •avevano caratterizzato, i roboanti interventi di fiati e violini non fanno altro che riproporre delle soluz,ioni che le più grandi orchestre hanno ormai adottato da anni memorabili: rimane indubbiamente la matrice jazzistica ad arricchire l'insieme. Ma anche qui, il piano flU'ido e piacevole, mosso da un musicista di gran classe, sembra rimaner prigioniero di limiti già prefissati, di un progredire vuoto e veloce che finisce per coinvolgere anche la chitarra di Tropea e la b-atteria di Cobham, i musicisti che più validamente si affiancano al pianista. In sintesi questo album non sodd•isfa; ma forse non si tratta di una crisi artistica bensì del ridimensionamento di un artista bravo ma che rivolge le sue attenzioni ad un mondo diverso dalla musica progressiva, verso le grandi orchestre, un certo tipo di jazz più annacquato, sfruttati schemi sud-americani, un rock un tantino ambiguo: forse la presenza di Gershwin non è del tutto casuale. AREA Arbeit Macht Frei (il lavoro rende liberi) Cramps M. F.· Uomini con testa d'aquila, sta-· tuette lucchettate, S&W calibro· 45, testi roboanti, campi di con-• centramento, falci e martelli nonché fedayn, tutti simboli ·interessanti e •insoliti ma che sovrapposti formano un insieme· di cattivo gusto, sono l'inappropriata cornice di questo Arbeit Macht Frei, una delle cose musicalmente più interessanti che si siano mai realizzate in Italia. Un paese strano il nostro, nasce un gruppo, suda e fatica intorno a un'idea, una ricerca, gira e rigira la penisola ·in tournée stancanti ed ingrate e alla fine qu•ando esce il sudato disco questo è già postumo: infatti_ gli Area, nella formazione che possiamo ammirare in copertina, sono già un ricordo. Vietar Busnello, il fiatista, li ha abbandonati per misteriose ragioni, Patrie Djivas è il nuovo bassista della PFM, rna già Massimo Urbani e Roberto della Grotta, due giovanissimi e noti frequentatori della sezione jazz del conservatorio romano alle dipendenze di Gaslini, li hanno rispettivamente sostituiti: non rivedremo più dunque questi Area formato

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