Clapton e ·la sua chitarra oggi per essere compresi devono essere posti a metà strada tra simbolo e realtà: testimoni di un genere che oggi vede altre figure, altri stili occupare il trono, ma che di tutto ciò è la base più naturale, la matrice: non a caso accanto al chitarrista figurano nel disco Towenshend, Wood, Winwood, Grech che i loro gruppi sono, assieme agli Stones, i simboli di tale musica. Una musica che ancora ogg·i per le sue raffinatezze improvvise, per l'aggancio al blues, per la classicità e specialmente per la bravura di chi la esegue deve essere ascoltata da tutti con piacere e interesse. E credo che nel caso di questo disco di Clapton non possa essere •altrimenti, tanto appropriata è la scelta dei brani, sensibile e personale la elaborazione degli stessi, ammirabile l'impegno dei musicisti. Spesso per la verità questi incontri ad alto livello, session di luss·;,i lasciano con l'amaro in bocca, tanto è manifesta l'improvvisazione della cosa, tanto trasparente l'egoismo dei musicisti che badano soltanto al proprio sviluppo musicale: in questo caso l'organizzazione imputabile alla solista degli Who è ottima; indubbiamente ci troviamo davanti a musicisti che spesso hanno suonato tra di loro, ma lo spirito non è quello paragonabile a certe tipiche session paragoliardiche, bensì la volontà è quella di riesumare i migliori episodi del passato donanch loro una luce decisamente più modema, o semplicemente diversa. E il gioco delle tre chitarre, un'incastro affascinante e perfetto, è 'il perno Intorno a cui ruota il resto del gruppo: tutto ne aquista non solo come incremento sonoro ma anche rome sviluppo musicale, come raffinatezza compositiva. Di fronte a questa ammirabile terna il qllartetto ritmico, Grech, Capaldi, Rebop, Karstein decisamente rimane un po' assorbito, ma ciò è ben lungi dal privare la musica .dall'enorme carica ritmica; Windwood diventa così con •il suo piano frammentato e la sua voce superb-a il lussuoso rifinitore, il creatore di atmo- . sfere decisamente suggestive. Clapton, anche se non è onnipresente né dittatore fa valere enormemente anche solo la sua presenza spirituale, ricordando che tutto gli è stato creato intorno; poi quando le mani prendono ,a correre sulla tastiera della chitarra, quando la voce compete con quella di Steve nel creare scenari tanto cari alle nostre orecchie, la molla del suo suono, del fluido vagare tra le note del blues inglese, della cattedrale che si innalz-a al centro di Presence of The Lord, mai come all\Jra il motivo dell'album, l'ascoltarlo diventa una necessità. L'unico difetto a questo punto riscontrabile è una certa freddezza di come il disco concerto dal vivo sia stato posto nei solchi, privo di quel cert;,i fascino live, senza l'illusione per chi lo ascolta di essere seduto davanti al palco obliquo del Rainbow: ma quando l'incisione sfugge l'interrogativo è lo stesso di chi ha assistito al concerto, l'incognita del domani di Clapton, di quesro artista strano, compositore forse mediocre ma insuperabile esecutore: domani? Forse più che un interrogativo è già nuova nostalgia. DAVID BOVIE Pin-ups (RCA) M. F. Ad un primo ascolto di questo nuovo album di David Bowie, c'è quasi da rimanere sconcertati: a prima vista, sembrerebbe infatti di trovarsi •ad un punto di arresto della carriera dell'artista, oopo il • crescendo • vertiginoso della sua scalata ai vertici della popolarità. Tutto di un colpo, le scottanti composizioni bowiane vengono meno: i preziosissimi malati di • Hunky Dory », la favola surreale di Ziggy Stardust, il rock violento e cesellaro di • Aladdin sane », tutto questo, apparentemente, viene a mancare, e sbalorditi leggiamo che i titoli dei brani sono tutti vecchi • hit » dei primi anni Sessanta, di gruppi spesso gloriosi della prima era del •Beat•. Ma subito, ,ad un secondo ascolto, ci si rende perfettamente conto che Bowie ha invece fatto centro ancora una volta: non un improvviso esaurirsi della creatività, dunque, non un improvviso colpo di testa: il tutto, ihvece, è il risultato estremo di una logica rigorosa, giusta, luminosa al tempo stesso. Pare, infatti, che questo sia un momento di particolare narcisismo per i super-miti del rock decadente: anche Brian Ferry dei Roxy Music fa uscire in questi giorni un suo •solo" in cui, in massima parte, egli riprende tutti quei brani degli anni '50 e del • primo rock " che hanno maggiormente influenzato la sua carrier1 musicale. E' questa, a mio giudizio, la medesima ottica sotto cui va visto il presente album di Bowie, con in più un'altra grossa \Jsservazione: Bowie, attualmente, conferma J)'articolarmente con questo disco di incarnare la più completa sintesi, il più geniale filtraggio di tutti i temi culturali del rock, dagli anni Cinquan· ta al Duemila. Tutti i dodici brani qui presentati, che già ci fecero palpitare nelle forse ingenue ma meravigliose prime versi\Jni • beat », poco meno di dieci anni fa, sono qui rivisti e reinterpretati con tutta quella carica di creatività sintetica e proiettatata al futuro (kitsch elettronico e cabaret fantascientifico - decadente) che è patrimonio della genialità di David Bowie. Tutti gli arrangiamenti sono eccezionali (anche se si sente, qua e là, qualche manierismo) in bilico tra estetismo e violenza, tra spasimi • cropuscolari » e soprassalti elettronici. La formazione è invariata ad eccezi\Jne del batterista, che ora è l'ex Frank Z·appa Aynsley Dunbar (ormai inserito nel giro decadente britannico), con un Mike Garson (piano) e un Mick Ronson (chitarra) sempre più completi e creativi. Ecco i celebri titoli dei dodici brani presentati, con tra parentesi il nome del gruppo originario che li lanciò: • anyway, anywhere » e • I can't explain » (Wh-0). • Don't bring me down• e • Rosalyn • (Pretty Things). • Sh-apes of things » e • I wish you would » (Yardbirds), • Friday on my mind » (Easybeath). • Sorrow• (Merseybeats). •Where are ali the god times • (Kinks). " Here comes the night ,. (Them), • Emily paly • (Pink Floyd), • Every thing's ali right •. M. I. GRATEFUL DEAD Wake of the flood (Grateful Dead) Questo ultimo album del leggendario gruppo californiano era atteso con parrirolare curiosità, sia perché costituisce il primo lavoro di studio da più di due anni a questa parte (le due ultime stupende incisioni, infatti, erano state realizzate interamente dal vivo). sia perché questo è il primo album della nuova etichetta appartenente al gruppo stesso, sul modello della ormai nota Grunt dei fratelli Jeffers-;,in Airplane. Sinceramente cfobbiamo dire che le ·aspettative vengono in gran parte deluse, e sia chiaro che, almeno per me, il dover ammettere una cosa del genere a proposito di un disco dei Grateful Dead costituisce un grosso trauma; eppure, anche considerando che la dimensione live è quella ideale per il gruppo e che quindi, necessariamente, una sua incisi\Jne in studio deve per forz,a perdere in spazialità, il discorso stavolta resta ambiguo in ogni caso. Infatti, se la pregevolezza formale della musica è qui confermata e, anzi, perfezionata, la struttura generale, invece, si allontan-a decisamente dal country spaziale proprio dell'ultimo periodo del gruppo, per avvicinars,i sens·ibilmente a una voluta facilità di schemi, per molti versi vicina a una certa c:-;,irrente Rythm & Blues che da un pò di tempo •imperversa nell'ambito ·delle nuove leve della West coast: a dir la verità c'erano già state negli ultimi tempi delle avvisaglie significative, come le collaborazioni di Garcia con alcuni esponenti del rythm & blues californiano (Meri Sauders, Tewer of Power) e come certi pesanti accenni fiatistici nei dischi solo di Micky Hart e Bob Weir. S\Jtto l'evidente influenza del nuovo pianista Keith Godehaux, da una J)'arte, e dell'altro gruppo famiglia degli Allman Brothers (cui i Dead s·i sono molto avvit:inati negli ultimi tempi soprattutto come contatto umano) dall'altra, si comincia dunque a intravedere un • terzo periooo • (dopo l'acid rock e il country spaziale) nella •attuale musica 31
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