22 Zappa: Io con la musica mangio. E qualsiasi persona che scrivesse_ musica senza poterne ricavare da vivere perderebbe l'opportunità di fare quello che gli piace fare ... Muzak: Ma il messaggio che tu hai dato in passato è stato trascinante. Voglio dire che molta gente ha preso e prende da te l'ispirazione per combattere, per opporsi. Non pensi di star tradendo questa ispirazione originale? Zappa: No. Non penso di tradirla in nessun modo. Comunque sia, qualsiasi cosa dica oggi lo Zappa di Overnit e Sensation, non c'è dubbio che qualcosa in lui è cambiato. La musica di oggi ha solo qualche eco della violenza verbale e musicale di Li.Jmpy Gravy, Uncle Meat o Hot Rats. La violenza della musica che shocka, che colpisce, che non lascia indifferente chi la ascolta con le orecchie. Una musica che non è per chi vuole abbandonarsi a sensazioni. Ma che richiede impegno, intel I igenza critica, attenzione. E' tutto questo perfettamente coerente con il rock semplicemente intelligente di Overnite Sensation? 1931: Varèse al culmine della carriera scrive Ionisation. E' un colpo alla musica. Un colpo alle origini. Schonberg? Chi era costui? Varèse sfascia ben altro. Sfascia tutto. Soprattutto sfascia lo sfasciamento. In Varèse c'è il senso pieno, completo, la consapevolezza francese ( e dunque positivista) e la carica vitale americana (e dunque pragmatista). C'è soprattutto una teoria che suona come un monito alla rivoluzione sonora di quegli anni e alla pretesa di ciascuna delle varie correnti (dodecafonia, Ives, puntillismo, serialismo, debussismo, espressionismo, jazz, canzonetta) di porsi come unica erede della tradizione musicale. Una teoria e un monito che suonano approssimativamente così: il fenomeno musicale è prima di tutto un fenomeno sonoro. Ciò che suona è musica, ciò che è musica deve innanzitutto suonare. Ma deve anche comunicare, non nel senso di esprimere concetti, ma nel senso di aprire nuovi orizzonti, di trasmettere nuove consapevolezze. Un mondo americano provato dalla crisi economica (la più imponente di tutti i tempi) una vecchia Europa che marcisce pronta a consegnarsi anima e corpo al fascismo. Dov'è la musica? Nelle canzonette d'evasione? Nel mondo calvinista-ebraico della scuola di Vienna? O non è forse immergersi in questo mondo che va a farsi fottere ed esprimere l'angoscia insopprimibile, l'angoscia dell'impossibilità della fuga, di ogni ragionevole « si salvi chi può»? E dunque il rumore. Il rumore come simbolo musicale di una società che ha sostituito alla letteratura lo slogan, alla pittura l'immagine pubblicitaria, al tempo libero la mistificante e ossessiva azione dei mass-media, alla politica la persuasione occulta, al benessere l'alienazione per molti e la ricchezza sproporzionata per pochi. li rumore, l'accozzaglia ordinata a fini musicali del suono indeterminato, la rivalutazione totale (e perciò non wagneriana) degli ottoni e delle percussioni. Le sirene, infine, simbolo della città rumorosa, già in quegli anni inquinata acusticamente. Varèse è forse l'unico che su un ceppo debussiano, sulla costruzione pignola della battata e del pezzo, sa inserire un linguaggio realmente nuovo, che non rinnega l'armonia tonale più (ji quanto l'assuma. Che con i "cluster" di pianoforte (grappoli di note consecutive da suonarsi con tutto l'avambraccio) punta un dito accusatore contro l'incosciente ottocento romantico che, mentre procedeva alla ristrutturazione capitalista e al naturale sfogo imperialista, si permetteva di sbavare insulse melodie sul pianoforte. Varèse ·è l'unico che, oltre il "primitivismo" di Ives, butti a mare con un colpo solo il razionalismo della vecchia Europa adorniana per ironizzare sulla nuova america roosveltiana, su quell'America che promette e non mantiene, che, giovane figlia viziata, ha già moltiplicato tutti i difetti di mamma Europa. Ecco un punto d'incontro non marginale fra Zappa e Varèse: l'America di Zappa. L'America della violenza quotidiana, della repressione armata interna ed estera contro ogni anelito di libertà reale. L'America di Chicago, dei Jefferson, del primo Dylan. L'America di Frank Zappa: che sputa, rutta, vomita sugli ascoltatori da conservatorio, sulla musicaccia e sulla musica presuntuosa e muta. L'America in cui droga, violenza e razzismo sono l'altra faccia dell'imperialismo, del capitalismo, della corruzione dei vertici istituzionali. Quell'America che oggi non è molto diversa dai tempi di Freak Out. Ma che ha perso anche molti dei suoi fustigatori. E qualsiasi cosa egli ne dica anche Zappa ha ammorbidito i suoi colpi di frusta. Ma del resto non fu un grave colpo l'apparizione, dopo lungo silenzio, di Déserts di Varèse? Non furono le premesse cambiate totalmente e non s'adagiò il discorso varesiano mollemente sui binari della tradizione? In concerto Zappa esegue i pezzi che lo resero amato e odiato. Che si vergogni anche lui della piega presa dalla sua ispirazione? Muzak: Quale sarebbe, secondo te, un buon esempio di musica contemporanea? Zappa: Pendereckj. Strana analogia. Come sul grande musicista polacco e su la sua ispirazione appare paurosa l'ombra del marco rivalutato, su Frank incombe la minaccia di veder comprati i suoi prossimi sedici dischi da pacchi di verdissimi, anche se inflazionati, dollari. Giaime Pintor (foto di Piero Togni)
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