Muzak - anno I - n.2 - novembre 1973

essere il tuo normale impresario. Pellicciotti: lo credo che sia tutto molto difficile perché da noi, quando si va avanti, si va avanti malgrado tutto e tutti. Dobibamo riconoscere che se qualcosa è successo in questi ultimi anni lo dobbiamo a pochi gruppi e a pochi produttori giusti. Ci sono state poche persone che hanno capito e agito di conseguenza; ma lo hanno fatto da isolati, in un mare di incompetenza, senza riuscire a circondarsi di un certo numero di persone altrettanto coscienti, con te quali arrivare ad una completa distribuzione di compiti. Se oggi si riuscisse in questo, anche l'autogestione è una cosa realizzabile. Fabi: Sono però tutte cose che si muovono a piccoli passi. Nel frattempo è necessario creare per gli impresari le stesse sollecitazioni che hanno spinto noi produttori. Sinora nessuno li ha sollecitati a prendere in esame, oltre al problema speculativo, anche quelli artistici, almeno quello relativo alla creazione di uno spettacolo, che lo riguarda direttamente. E' questo il momento di sollecitarli ad una maggiore professionalità, da parte nostra come da parte della stampa. ·Massara: Mi chiedo però se non è posibile sollecitare anche un processo diverso. Perché, ad esempio, non potrebbe diventare impresario il produttore (magari con una équipe adeguata) o, che so, il giornalista competente. Pellicciotti: A questo proposito, io ho cominciato da giornalista e sono diventato produttore un po' per caso. Ora mi sono trovato ad incoraggiare una cooperativa di giovani musicisti. Sono le nuove leve, quasi tutti provenienti dal jazz, e si propongono di trovare delle strade alternative e di autogestire i propri spettacoli. Certo si tratta di un discorso difficile, spigoloso; ma per il 18 momento c'è stato l'entusiasmo ed anche alcune verifiche incoraggianti. Questo non dico che sia il modo giusto per risolvere tutti i problemi; è solo una proposta. Tuttavia l'autogestione, in un sistema approssimativo come il nostro, può essere una proposta valida per uscire dal solito giro di piazze e soprattutto dedicare più attenzione a raccogliere il pubblico giusto intorno a certi discorsi musicali che consideriamo validi. E a questo proposito devo criticare anche molti miei colleghi che si trincerano dietro il settarismo e le rigide distinzioni (jazz, pop, etc.) con l'unico risultato di aumentare la confusione riguardo all'unica distinzione valida: quella tra musica creativa e non creativa. Fabi: lo trovo che avviarsi su una strada del genere è da considerare solo il rimedio estremo, prima di morire ... Solo un tentativo per sopravvivere, affrontando magari dei terreni in cui non si è abbastanza competenti e quindi dove si rischia ancora più grosso. Io agirei piuttosto con estrema chiarezza per sollecitare tutti ad una maggior maturità professionale e ad una maggiore specificazione dei compiti. Perché alla fine il problema di fondo, che dovrebbe riguardare tutti (produttori, impresari, discografici, artisti, etc.) è quello di comunicare. Ad esempio, il jazz non è mai riuscito ad avere quella diffusione di carattere pubblico proprio perché si è compiaciuto di un discorso ristretto, quasi privato; non tanto in senso artistico quanto nel senso di un dialogo più con se stesso che con il pubblico. Pellicciotti: Sono d'accordo sul concetto di compiacimento. Premetto che io non credo che oggi esista il jazz, ma purtroppo esiste ancora quel personaggio per me insopportabile che è il signor jazzista. E dico questo proprio perché a me interessa la comunicazione (che non significa per forza commercialità). Fabi: E in connessione al discorso della necessaria comunicatività della musica, io credo che nella nostra musica ci sia una specie di rinascimento, per cui si ricerca in molte direzioni e si mescola musica greca e cinese, classica, jazz, folk, etc. Però questo è un segno di vitalità, comunicatività. Pellicciotti: Certo, a volte, dietro a questi scambi di differenti culture e linguaggi musicali ci può essere una buona dose di mistificazione. Bisogna distinguere le operazioni sapientemente manovrate da quelle in cui c'è un'intima convinzione. Ma è importante che ci sia questa esigenza vitale di scambiare delle esperienze, di comunicare. Colombini: lo credo fermamente a tutto questo. Mi è capitato di vedere ad un festival dell'Unità una tipica famigliola (papà, mamma e bambina) venuti per sentire Rasce! che si esibiva dopo il Banco del Mutuo soccorso ... Ebbene hanno mostrato per il Banco un interesse, magari confuso, ma ge!fuino. E' un segno, magari banale, di come sono ampliabili gli orizzonti di comunicazione della nostra musica. Massara: Dunque abbiamo chiarito che nell'attuale congiuntura ci troviamo di fronte ad una carenza di infrastrutture che permettano di portare un po' più largamente in giro i nostri prodotti, i quali d'altronde in potenza potrebbero arrivare ad un pubblico molto più numeroso. Come superare questo fatto? A questo punto propongo a Muzak di allargare l'indagine e magari di passare la parola all'impresariato. Che possono essere i soliti 3 o 4 nomi, ma potrebbero anche essere altre organizzazioni: gli enti pubblici, le scuole, te organizzazioni regionali, le catene che hanno in mano i teatri e altre ancora. Vaggi: Infatti, per quel che ho capito da certi esperimenti che ho seguito personalmente, nei riguardi di certi enti siamo forse un po' frenati da un certo timore che si nutre in genere per la burocrazia. Invece ce ne sono alcuni molto disponibili, aperti verso certe manifestazioni culturali o anche verso singoli spettacoli. Il Museo Rosembach, ad esempio, suona ogni tanto at- • traverso questi canali. Non si tratta proprio di una forma di autogestione; chiamiamola magari autogestione per mancanza di altri mezzi. Ma non è detto che questi pr:imi tentativi non siano l'inizio di una nuova strada. Massara: Quest'estate io ho avuto l'esperienza degli Aktuala che si sono completamente autogestiti una serie di spettacoli in piazza in Liguria, cavandoci almeno di che campare. Però mi chiedo se certe iniziative non potrebbero essere anche organizzate in modo un po' più professionale e più redditizio. Pellicciotti: Io credo di si. Ma qui entriamo anche in un discorso più prettamente politico; cioè il punto è non fare troppa paura con certi raduni massicci ai responsabili di enti pubblici, come purtroppo è accaduto a Milano. Certo non è facile, perché da noi H discorso organizzativo è appena iniziato e ... siamo già nel pieno degli anni '70 e dell'inflazione dei gruppi. E possiamo vedere a che risultati possono portare certe inflazioni. Purtroppo, come ci insegna l'attuale fase di riflesso in Gran Bretagna, i periodi creativi non durano in eterno e sono soggetti a tutta una serie di condizionamenti storici. Fabi: Tutto sommato, credo sia una cosa abbastanza giusta che anche la nuova stampa musicale cominci a dedicarsi in maniera più specifica ai problemi reali del nostro mondo. Credo sia il momento giusto per aiutare il pubblic;o, non soltanto a capire la nostra musica, ma anche i problemi che ci stanno dietro. Per contribuire a trovare le soluzioni.

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