gli ultimi due anni a diversificarci, ma adesso, a furia di no, si corre il rischio che non succeda più niente. Fabi: Beh, direi che comunque i tempi vanno avanti e qualcosa di nuovo è nato. Sono nati dei giornali, dei gruppi di controcultura (magari politicizzati al 300%)... E' chiaro che noi siamo quelli che tentiamo le varie strade così, pionieristicamente: una volta assaggi quello, una volta a~:;u5 - gi quell'altro ... Però io credo che fra un paio d'anni ci saranno delle strutture più organizzate anche la radio si sbloccherà; non dico che la Scala aprirà le porte al pop ... Però abbiamo visto nascere molte cose nuove. Certo dovremmo stare molto attenti a certa gente che crede con molta approssimazione di aver scoperto un nuovo filone d'oro e ci si getta a capofitto, con il risultato di far scadere il prodotto. E quando il prodotto scade è difficile ritirarlo fuori... Vaggi: A questo proposito c'è anche un altro rischio, a livello dell'industria discografica. Parlo in particolare delle grandi, case. Queste, ad un certo punto, potrebbero scoprire che . a dispetto di una certa massa di lavoro svolto, di spese, di programmazioni - solo alcuni artisti funzionano sul piano commerciale e magari che questi artisti sono difficili e il mercato resta sempre limitato. In quel momento le stesse case, dopo un periodo di boom produttivo, potrebbero arrivare ad un blocco, ad una stasi che sarebbe molto negativa per tutti. Massara: Difatti per la casa discografica 2+2 deve sempre fare 4. Per questo io penso sempre di più che chi può avere il coraggio di portare avanti un discorso è il produttore, agendo in modo il più possibile svincolato dagli -interessi della casa. Se la PFM non avesse venduto quello che ha venduto, la grande casa discografica non si sarebbe messa a fare un prodotto di questo genere. Però direi che, se anche non avessero venduto la PFM o il Banco o Battiato, ci sarebbe stato prima o poi qualcuno che avrebbe venduto. Ma questo tipo di produzione non sarebbe mai partito dall'idea di un direttore artistico. Personalmente posso dire di aver raccolto gli scarti degli altri: ho liberato Battiato dal contratto di una casa che lo teneva in frigorifero e tre mesi dopo ho pubblicato Fetus; ora sto lanciando gli Aktuala, che si sono prima offerti a tutte le case discografiche e nessuno li ha voluti. Fabi: E' chiaro che il discorso artistico non lo può fare l'industriale, ma solo chi lo vive all'interno e ha il coraggio di insistere finché per il prodotto giusto non viene l'occasione giusta. E io credo - da diretto interessato - che anche la PFM non sarebbe venuta fuori se non si fosse trovata proprio nel momento favorevole. Comunque ci sarà sempre della gente che lavora al nostro fianco, per responsabilizzarci, per sollecitarci, per sensibilizzare le case. Ma il grosso del discorso dipenderà sempre da noi. Dobbiamo solo cercare di non affossarci, di non correre il rischio di standardizzarci in un certo tipo di prodotto, nuovo oggi e magari vecchio tra cinque anni. Delconte: A questo punto mi pare che dal discorso abbastanza ampio sulla situazione industriale siamo arrivati a qHello più specifico sulla vostra situazione, sui vostri problemi. Vogliamo tentare di approfondirli? Colombini: I nostri problemi sono vari. Uno di questi, al quale sono abbastanza sensibile, è la considerazione che ha di noi il pubblico interessato ai nostri artisti. Per loro temo che stiamo diventando quello che anni fa era il discografico: un figuro tutto negativo, identificabile in uno sfruttatore, uno stupratore di ragazzine di buona famiglia (anche quando era una società per azioni). E questo è molto grave, perché ci crea un'immagine ben poco professionale. Siamo ormai lontani dai tempi in cui il mondo della musica veniva avvicinato a quello mondano del cinema. Se c'è nel momento attuale un mondo con ancora un pochino di purezza è quello in cui stiamo vivendo noi, e non dico che sia per merito nostro. Ma è ovvio che, quando un artista viene tenuto in frigorifero per anni si fa un'idea precisa del mondo discografico, come di una istituzione negativa, che blocca ogni fermento nuovo. Molti artisti (e con loro il loro pubblico) non sanno ancora che in questo mondo si sono anche delle persone con cui possono discutere le loro idee, persone che svolgono un ruolo importante e soprattutto pulito e non guadagnano una lira su quello che spetta loro per contratto, ma vengono pagati a loro volta in una proporzione stabilita da un contratto a parte. Il guaio è che ogni volta che parlo con un nuovo gruppo vengo a scoprire che sono arrivati a me dopo due o tre anni di legami più o meno puliti con strani personaggi, che non sono neanche discografici, ma che hanno loro promesso mari e monti. Vaggi: Si sta tornando in certi casi ad avere il « produttore » di una volta. Mi ricordo che nei primi tempi in cui frequentavo il mondo discografico il produttore era praticamente colui che scopriva l'artista; dopodiché lo portava in una casa e lo « produceva». Adesso capita anche tra i gruppi che li produca quel tizio che li ha visti per la prima volta ... Colombini: Quella persona che tu dici è una di quelle che io comprendo nella categoria di personaggi non qualificati di cui parlavo prima. Fabi: Oggi si sta tentando di sollevare dall'ignoranza totale un settore della musica che fino a poco tempo fa aveva un solo interprete: cioè l'industriale, e non l'artista. L'artista non era nessuno, l'arrangiatore al limite era un prestatore di servizio ... Erano tutti prestatori di servizi. Non c'era un discorso sano, culturalmente fondato. E' chiaro che su un simile terreno proliferano questi strani figuri. Uno dei compiti più difficili, che spetta maggiormente a noi che abbiamo una preparazione diversa, è quello di smitizzare la cosa e di eliminare duramente dal giro questi figuri, perché gli artisti stessi hanno quest'esigenza. Più noi lavoreremo seriamente, più saremo attenti ai fenomeni culturali che ci circondano, e più facilmente vinceremo la battaglia della nostra qualificazione professionale. E qui possiamo già trovare qualcuno al nostro fianco: gli artisti stessi, i nuovi giornalisti e soprattutto le g10vani generazioni che sono sempre meno ingenue e manipolabili, hanno interessi profondi, vivono i problemi del nostro settore. Pellicciotti: Scusate, ma mi sembra che la discussione stia un po' troppo scivolando nel particolare, nello specialistico. Dovremmo forse chiarire, dato che ci rivolgiamo al pubblico di un giornale, che nel « pianeta Italia » c'è sempre un certo pericolo di settarismo quando si parla di produttori, proprio perché da noi una figura ben determinata di produttore non esiste. « Noi produttori » è forse già un discorso sbagliato. Checché se ne dica, siamo veramente il paese più antimusicale che esista, per storia e tradizioni educative. Anche noi « produttori es· mo un po' il riflesso di certa situazione caotica arcaica: mentre nei paesi capitalismo avanzato (Stati Uniti o Inghilterra) la figura del produttore è delineata da tempo, noi siamo ancora alle prime armi. Noi sei qui riuniti veniamo tutti da esperienze abbastanza diverse (e proprio io sono il meno produttore di tutti). Ma ci siamo già posti tutti molte volte il problema della funzione del produttore. Secondo me il compito è soprattutto questo: lavorare a fianco agli artisti, ponendosi all'esterno o all'interno delle case il più posi bile indipendentemente (anche se poi si deve scendere a patti). In questo momento io credo che un certo tipo di musica cosiddetta d'avanguardia sia abbastanza incompatibile con la grossa casa discografica; comunque, in qualsiasi posizione ci si trovi, la cosa più importante è contribuire a dare coscienza ai nuovi artisti. Nel momento in cui prendono coscienza della loro funzione di artisti, anche noi prendiamo meglio coscienza della nostra. Colombini: Direi che questa coscienza esiste. L'attenzione che ognuno di noi deve porre nei rapporti con la casa discografica, oggi come oggi è solo una: non avere alcuna interferenza di carattere artistico, visto che sempre di più tutto - anche il lavoro promozionale - ce lo facciamo noi. Stabilito questo la diventa il distributor nanziatore. 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