Muzak - anno I - n.01 - ottobre 1973

Vicroria •, registrato da qualche parte nel Tennessee. Parecchie le buone sorprese: soprattutto quella di constatare che, ·attraverso un periodo caratterizzato dalla fama e dal successo commerciale, Cohen e il gruppo che l'accompagna sanno mantenere ne-i concerti la fragilità e la capacità di improvvisazione più sincere. Si ved-a, ad esempio, la lunga e infuocata « Please don't pass me by •, -oppure la delicata e spontanea « lmprovisation Paris •. Molto bella, ancora, « Passing thru •, che ci ricorda l'amore nascosto di Cohen per il country western, mentre desta sempre una certa emozione riascoltare alcuni classici come « Story of lsaac », • Nancy •, • Bird on the wire •, qui rivisitate con una particolare carica emvtiva. Questo album doveva cosNtuire l'addio definitivo ·di Cohen alla musica, ma pare che, recentemente ci siano stati dei ripensamenti, per cui mi auguro che molto presto potremo occuparci ancora di lui, e questa volta in relaz,ione a un album « tutto nuovo » e ricoo di altre indimenticabili malinconiche sorprese. JETHRO TULL A passion play (Chrisalys) M. I. Sesto album per i Jethro Tull, ~ seconda lunga suite dopo l avventura di • Tick as •a brick •. Con la differenza che Qui il gioco si complica, poiché soggetto dell'album è addirittura il passaggio arcano dell'uomo sul mondo, la sua esistenza infinitesimale da-I momento della nascita a quello della morte. • Tick as a brick • era un disco oscuro, sia per l'interpretazione dei testi, sia perché veniva a gettare parecchie ombre sulla comprensione artistica del gruppo. La caratteristioa r,ivoluzionaria dei Jethro, e cioè quella meravigliosa fusione tra elementi jazz, rock e western-blues con le ballate scozzesi, aveva prodotto degli autentici capolavori come « Stand Up.• e soprattutto « Aqualung •, dove tutti gli elementi dell'arte e del gruppo trovavano un definitivo, fulgido equilibrio artistico. Ma l'arte di J-an Anderson sembrava trovare la sua più precisa· dimensione pr;iprio nell'ambito stretto e compatto della song, della canzone, e l'inaspettata uscita di • Thick as a brick » veniva così ·3 sollevare molte riserve e molte perplessità, pur nella freschezza e pregevolezza estetica di quasi tutte le sue parti. Gli ultimi concerti italiani del gruppo, d'altro canto, avevano mostrar., un certo isterilimento creativo, la tendenza a fossilizzarsi su strade già esplorate fino in fondo, in una generale cornice di impoverimento che ha molto colpito la critica specializzata, anche se la maggior parte del pubblico ha mostrato di non accorgersene (decretand-0, del resto, anche lo strepitoso successo commerciale dello stesso • Thick as a brick »). E anche questo curatissimo • A passion play » non riesce a convincere, nonostante la pregevolezza e le mille rifiniture che vi sono profuse. I musicisti s;ino gli stessi dell'album precedente: •il bravo chitarrista Martin Barre, il taciturno tastierista John Evan, il versatile batterista B·arriemore Barlow. il lucido bassista Jeffrey Hammond-Hammond, amico d''infanz·ia di Jan Anderson. Anche strumentalmente c'è qualche importante novità. come i sassofoni suonati con padronanza da J-3n, dopo la ·lorv timida ·e sporadica apparizione nell'album precedente: oppure come la comparsa del sintetizzatore, suonato da Evan e usato in funzione puramente d'·atmosfera con una certa peri2:ia. Che dire della musica? Vi ritroviamo il solito alternarsi di ritmi folklor-ici dal sapore di tarantella, di delicate ballate acustiche, di rock istrionico e ricco di cambiamenti di tempo, di j-azzismi pregevoli e ritmati. Un altro momento fresco e ben -costruito, quindi, il che per un gruppo come 'i Jethro è veramente troppo poco. Riposarsi sugli allori può diventare molto perio0loso. specialmente quando, ,come Paperon de' Paperoni, le pupille assumono la forma simbolica del dollaro. DEODATO Prelude (CTI) M. I. Il grande continente Sudamericano sembra da tempo specializzato nella • produ2:ione • di artisti di un certo tipo: musicisti in perenne bilico tra le stupende tradizioni son-;ire di quei paesi, così vive di ritmi e colori, e il jazz che la forzata emigrazione negra e l'oppressiva presenza nordamericana hanno contribuito a ben stampare negli animi; ne risulta sempre un prototipo di musicista caratterizzato dalla enorme facii'ità di come riesca ad armonizzare in sè un discorso di un cerro livello culturale e nello stesso tempo un messaggio che per le sue enormi doti comunicative si rende accessibile a tutti, ma anche un musicista troppo spesso ortodossamente legato ·a certi schemi sonori con il costante perirolo di cadere nella monotonia. Il pianista Eumir Deodato appartiene a questa generazione: all'orecchio distratto questo suo fortunatissimo album Prelude, in cima alle classifiche di mezzo mondo, sembra offra un prodott;i orecchiabile, una raccolta di piacevolissimi ballabili. Ma ad un secondo attento ascolto Deodato non riesce fortunatamente a nascondere tutta l'arte e la grinta che muovono il suo spirito e allora eco;i che l'•artista cessa di essere solo il figlio di un determinato prodotto musicale per divenire uno strumento validissimo di sintesi: dei ritmi sudamericani, delle bossanove, il pianista possiede l'amabilità, la liquidità musicale, del jazz riassume benissimo la tecnica discorsiva, •il discorso stringato, d-al rock eredita le tecniche son-ore, certi giochi di pause echeggianti, dalla musica classica, oltre che a certe soluzioni orchestrali, Deodato condivide i temi stessi. L'arcinota • Così parlò Zaratustra » ·di Strauss e •il preludio del fauno di Debussy che i più acculturati di voi conosceranno dalla limpida voce del flauto di Severino Gazzelloni s-ono un po' •i piatti forti di questo album. Ad essi Deodato non si avvicina tracotante o iconoclasta, ma avvolto in quel tanto di timidezza che basta a celare la consapevolezza di poter avviluppare i brani dentro il aioco di colori, di emozroni che solo lui è cariace di creare. E piano, ma inesorabilmente il gioco riesce: r•idotti all'essenzialità del ritmo, ora improvvisamente restituiti alla maestosità della versione _originale, frammenrati sui tasti del piano o del la ch•itarra, i due bran-i mostrano oggi un fascino inedito. Al centro dell'inesorabile ovrsa delle percussioni, di alcune larghe pennellate di fiati, del discorso mozzafiato della chitarra, c'è il pianismo di Deodato: il pregio maggiore ne è forse anche il maggior difetto: la scorrevolezza, la fluidità estrema con cui si articola spess;i •impedisce •infatti di saggiarne a fondo tutta la sensibilità. Deodato indubbiamente non possiede certe ricercatezze, certe -ispirazioni che possono magari vivere in un Keith Jarrett, ma forse egli rivolge solamente altrove i 53

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