Si accendono i riflettori sulla terza generazione del rock, nel rutilare di tragici volti bisessuali carichi di fard e polvere di stelle: morto e sepolto negli abissi dell'isteria collettiva il beat ingenuo e schematico degli inizi; barcollante verso un cieco tramonto il fragore svuotato dell'hard. E oggi la cinepresa celeste della hip-culture si sposta ad inquadrare il teatro perverso del rock della deviazione, del rock che diventa pantomima, nevrosi e psicodramma. Tra il disperato underground e il facile mondo delle pop-star i confini si assottigliano paurosamente: come se il rock, nato nei quartieri popolari, nell'universo instabile di una gioventù proletaria posta brutalmente davanti agli spettri del denaro e del « benesere », rimandasse oggi una immagine deformata e sordidamente truccata della società borghese. L'oltraggio sensuale, nella sua versione più volutamente squallida e scintillante al tempo stesso, e cioè l'ambiguità del travestismo e della confusione, domina oggi la scena: il rock si teatralizza e si accentra su immagm1 deformate, svilite e caricaturizzate di figure umane indistinte, private dei loro fondamentali attributi caratterizzanti, marionette variopinte del caos, angeli neri di vago sapore nietzschiano improvvisamente scaraventati oltre i confini del bene e del male, in un limbo ove la parola « etica » si confonde con la parola « violenza ». Perché nel rock degli anni '70 si celebrano le messe della suprema violenza: violenza contro i ruoli sessuali «definiti»; violenza contro la carezza mortale del benessere in flanella grigia; violenza spettacolare attraverso la gestualità deviata del teatro dell'oltraggio; violenza, infine, nella musica, questa dea, questo rock incolto e tragico, odiato-amato, realtà hip e ludibrio consumistico al tempo stesso. Non è caso che il rock decadente recuperi i ritmi del rock'n'roll dei « sani » anni '50, dominati dalle virili figure di un Elvis e di un Chuck Berry o dai maschi modelli della rivolta alla James Dean: il ritmo sincopato del rock'n'roll è quello dell'atto sesuale, lo sanno tutti: e gli allucinati prìncipi odierni della devastazione sessuale recuperano questo « Era una sozza parodia, una satira infame ... Non l'aveva fatto lui brare in apparenza, con l'esaltazione dell'omosessualità: in effetti è tutto il contrario, è la derisione della funzione sessuale in sé, il rifiuto disperato di assumere una identità precisa, il desiderio inconscio di abdicare al troppo difficile ruolo di persona per rifugiarsi in quello più irreale e irresponsabile di personaggio, di entità umana indifferenziata e vagante. Simboli di contraddizione, quindi, che soltanto in virtù di eppure era il mo ritratto ». OSCAR WILDE ritmo fondamentale e lo caricano di nuova nevrosi, di nuova disperata tensione emotiva, di nuovi grotteschi paludamenti: tentativo estremo di distruggere dalle fondamenta anche l'atto sessuale, questo impulso primario che domina e determina la dualità dei ruoli in cui l'umanità si divide. Questo travestismo, dunque, non è necessariamente identificabile, come potrebbe sem- « Hey! Io penso che i tempi siano maturi per una Rivoluzione di Palazzo». MICKJAGGER questo conquistato indeterminismo possono assumere il diritto all'oltraggio, alla provocazione, alla suprema violenza scenica ed emotiva nei confronti dei « normali », del sistema, della politica, dell'insensibile società del benessere ormai prigioniera delle sue virtù troppo antiche. Elvis Presley si quintuplica e si morde la coda nella forzata volgarità scenica dei Roxy Mudrock delladecadenza sic, i pacchiani gentiluomini al kitsch elettronico; Jarnes Dean e Marlon Brando si ricoprono di torbido e funereo « maquillage » e si tramutano in Lou Reed, il fradicio sacerdote del vizio che assume i connotati supremi della morte; la celebrazione derisoria del « camp », e cioè la ritualizzazione dei mitici eroi-star del cinema hollywoodiano della grande epoca (Marlène Dietrich, Jean Harlow, Laureen Bacali, Marylin Monroe, ecc.) risorgono sotto i capelli arancioni del pallido David Bowie. Il gusto del travestito, morboso fascino sublimato dal buon Oscar Wilde, antica tradizione anglosassone la cui sopravvivenza era stata assicurata finora dai cabaret, esplode nuovamente caricato da nuova ;concertante linfa drammatica, e la hip-culture e l'underground degenerato recuperano le frange più disperate della cultura borghese: ed ecco affiorare il cranio martoriato di Jean Genet, « commediante e martire» come lo definisce Jean-Paul Sartre, e i vecchi profetici fantasmi del « teatro della crudeltà » di Artaud, fino a giungere alle attuali sconcertanti rappresentazioni sceniche di Arrabal, oppure ripiombare nel simbolismo malato e intenso delle fabbricitanti visioni maledette di Rimbaud e Baudelaire. Musica « per bene » e musica dell'oltraggio: Beatles e Rolling Stones. Questo dualismo primario nell'evoluzione del rock è sempre stato, e forse è bene che sempre sia. Rivolta incorporata alle leggi del sistema e rivolta sulle corde del sistema; la medaglia di baronetto benemerito dell'Impero e i drogati contorcimenti sessuali: la musica pulita e perfetta e i deliziosi coretti e la parola « rivoluzione», censurata dalle stazioni radiofoniche, impostata da una voce rauca su dischi 13
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