giovane critica - n. 34/35/36 - primavera 1973

6 svolta a partire dall'immediato dopoguerra dalla nostra Amministrazione si concretava, in sostanza, nella formulazione di programmi di utilizzo dei beni da importare, programmi che altro non erano che giustificazioni della plausibilità delle richieste che venivano avanzate [ ... ] Si passò cosi dai programmi di limitato ammontare, utilizzabili in pochi mesi [ ... ] al programma U.N.R.R.A., di durata annuale, che si proponeva di dare un razionale utilizzo ad una somma, a quel tempo e in quella situazione, enorme, di oltre mezzo miliardo di dollari ». I piani di primo intervento hanno un orizzonte limitato dalla settorialità e dalla durata. La loro azione interessa quei settori produttivi la cui ricostruzione ha importanza pregiudiziale, e si limita alla durata, ad esempio, di messa in esercizio di un impianto di produzione. Limitata sarà anche l'efficacia di tali piani, a giudicare dalla particolare lentezza della ripresa post-belica, come deve rilevare lo stesso Istituto Centrale di Statistica, secondo le cui valutazioni l'Italia è il paese europeo con il piu basso saggio medio di incremento della produzione industriale dal luglio 1947 al luglio 1949. Il dibattito teorico Il dibattito di politica economica che si sviluppa parallelamente alla ricostruzione è profondamente influenzato dal liberismo che attraverso Einaudi egemonizza il pensiero economico antifascista. Dopo anni di autarchia e « corporativismo » il padronato italiano riscopre la sua vocazione liberista e le parole d'ordine tradizionali del liberismo (sviluppo della piccola e media industria leggera, sostegno della agricoltura pregiata e spopolamento delle campagne). Anche se non viene negata la necessità dell'intervento dello Stato, si tende a ridurlo al minimo indispensabile: Costa afferma che « l'intervento statale è una necessità, non una brillante conquista». Contro l'utopia pianificatoria si muove una lunga schiera di economisti quali Einaudi, Corbino, Papi, Bresciani-Turroni, il keynesiano Di Fenizio che conducono la lotta sul piano delle iniziative concrete - sulle quali esiste fino al '48 una sostanziale omogeneità - e su quello teorico. E' del '46 la traduzione italiana di un testo base dell'antipianificazione: Pianificazione economica collellivistica di von Hayek, Pierson, von Mises e Halm, con prefazione di Bresciani Turroni. La tesi di von Mises è che un sistema pianificato, nel quale non esiste un mercato che determini i prezzi dei beni, non possiede alcuna misurazione delle scarsità relative, e perciò non ha alcuna guida per un comportamento razionale. Il piano dell'autorità centrale e cosi condannato all'irrazionalità e alla inefficienza. La tesi di Hayek è che la conduzione economica di un sistema pianificato è possibile in linea di principio, ma è impossibile in linea di fatto per queste due ragioni: 1) il sistema di equazioni dell'equilibrio economico generale è cosi vasto e complesso (si pensi solo al numero enorme di beni che esistono in un sistema economico) che è probabilmente impossibile scriverlo, e comunque, anche ammesso che si possa scriverlo, è da escludersi che lo si possa risolvere; 2) se, malgrado ogni evidenza, si vuole tuttavia sostenere che la risoluzione è possibile, bisogna almeno ammettere che essa richiederebbe un tempo cosi lungo, che nel frattempo i dati sarebbero cambiati ed il sistema che si sta risolvendo, non avrebbe piu alcun valore. La introduzione di Bresciani Turroni a questo libro vorrebbe sancire in modo definitivo la estraneità dall'ambito della razionalità economica delle tesi comunque programmatorie. Sono peraltro significativi gli editoriali di questo stesso autore sul Nuovo Corriere della Sera in cui egli attacca stizzosamente Keynes, negandone la attualità in Italia, e riassumendone il pensiero in una presunta larghezza di spese. Il dibattito trova alcune occasioni specifiche:

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