giovane critica - n. 34/35/36 - primavera 1973

64 Con questo direi che la nostra coscienza e questa nostra preoccupazione particolare potrebbero essere soddisfatte, e credo che potrebbe essere soddisfatta anche la vostra esigenza di affermare nella Carta costituzionale questa preminenza del fine sociale nell'attività dello Stato. (Applausi). LABRIOLA. Chiedo di parlare. PRESIDENTE. Ne ha facoltà. LABRlOLA. lo mi trovo nella ben strana situazione, per la prima volta da che faccio parte di una Assemblea elettiva, di dovermi astenere dal voto. Se interpretassi i miei sentimenti di economista, voterei con i colleghi che stanno alla mia destra, cioè con l'Estrema Sinistra. Ma il professore Einaudi, insegnante di economia e mio maestro come di molti altri, ha detto cose per le quali dovrei votare con lui e con i suoi amici. Non sapendo come uscire da questa incertezza, mi asterrò dal voto (Applausi a sinistra) e, aggiungo, mi astengo dal voto sopratutto per il modo come è formulato l'emendamento che ci è stato proposto. Questo emendamento dice testualmente cosi: • Allo scopo di garantire il diritto al lavoro di tutti i cittadini, lo Stato Interverrà per coordinare e orientare l'attività produttiva, secondo un piano che assicuri il massimo di utilità sociale •. Cosicché, se per caso noi non avessimo riconosciuto il diritto al lavoro, noi non stabiliremmo il principio della pianificazione. E questo mi sembra bizzarro. Delle due, l'una: o il principio della pianificazione è giusto, è da noi riconosciuto, si ammette che risponda ad una ideologia determinata di una parte, almeno, di questa Assemblea, ed allora non bisogna parlare di diritto al lavoro che è un'altra faccenda: oppure si pensa che soltanto in quanto viene inserito il diritto al lavoro nella Costituzione dobbiamo ammettere la necessità della pianificazione, ed allora entriamo in un altro ordine di idee. Se non volessi scandalizzare l'Assemblea, direi che si sarebbe dovuto fare la stessa cosa quando si è parlato del diritto al lavoro. lo avevo appreso che i socialisti non reclamano il diritto ai lavoro, ma il diritto all'ozio. Il Lafargue, proprio il genero di Marx, aveva insegnato ai socialisti suoi contemporanei che non di assicurare il lavoro agli operai bisognava occuparsi, ma piuttosto della maniera di assicurare ad essi la maggiore libertà possibile dall'officina. Lo stesso Marx, nel terzo volume del Capitale aveva detto - mi si perdonino queste curiose citazioni - che la libertà del lavoratore non comincia se non quando egli lascia la fabbrica. Ecco perché il Lafargue opinava che la tesi socialista non è il diritto al lavoro, ma il diritto all'ozio dei lavoratori. Ad ogni modo, parlando di diritto al lavoro, occorreva, forse, aggiungere • diritto al lavoro compensato • perché, se si tratta di puro e semplice lavoro, è chiaro che esso si può soddisfare anche con lo sport, o con i lavori forzati. Volendosi reclamare un lavoro che sia compensato, evidentemente bisogna introdurre quelle trasformazioni strutturali e tecniche dell'ordinamento sociale che rendano possibile l'attuazione del principio. E ciò non ha a che vedere con la pianificazione. Socializzazione non è pianificazione: è la messa in comune di mezzi di produzione e produzione gestita direttamente dagli interessati. Il socialismo, col concetto di pianificazione universale non ha nulla a che vedere. La pianificazione può essere tanto socialista quanto capitalistica. Quella socialista suppone un rapporto diretto fra lavoratori e prodotto. Volendosi introdurre la pianificazione economica, bisognerebbe introdurre Il concetto di servizio pubblico, da applicare ad ogni specie di economia. Il servizio pubblico, di sua natura, è cosa la quale reclama l'intervento dello Stato: e perciò tutto quello che è servizio pubblico impone una pianificazione, nei limiti in cui, appunto, si parla di servizio pubblico. Il servizio pubblico implica un consumo generalizzato nel tempo e nello spazio, un consumo che riguarda anche le generazioni future, e quindi l'azione dello Stato che può prendere in considerazione anche i bisogni futuri. Perciò, è perfettamente naturale, allorché si tratta di servizio pubblico, che si parli di pianificazione e di standardizzazione. La conseguenza a cui si giunge è che non si può invocare a nome del socialismo la pianificazione, come anche non si può, in nome del socialismo, respingere Il concetto di pianificazione come un equivalente

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==