giovane critica - n. 34/35/36 - primavera 1973

54 andare anche al di là di quanto non possa andare l'onorevole Pajetta che ha l'intervento puro come principio, come prassi. Quel che ci aveva un po' preoccupati era la forma originaria: • lo Stato interviene per coordinare e dirigere secondo un piano •. Coordinare e dirigere secondo un piano significava sottoporre allo Stato il controllo completo della vita economica e politica, collettivamente e singolarmente intesa, della Nazione. Nella forma attenuata con cui l'emendamento è presentato oggi, esso fa sorgere un solo problema, quello della definizione del massimo di utilità sociale. problema che, come l'onorevole Einaudi ha luminosamente dimostrato, è teoricamente irresolubile, e praticamente si risolve col trionfo di una parte politica sull'altra. Infatti volete voi che qualcuno chieda l'intervento dello Stato per dire: • Vogliamo che lo Stato intervenga perché questo è il nostro interesse •? Ma non troverete nessuno che farà questo, nessuno che domanderà dei milioni o dei miliardi perché apertamente vadano a beneficio di portafogli privati. No. Tutte le richieste allo Stato sono sempre poggiate sul presupposto che, accedendo a esse, si fa l'interesse collettivo. Se voi leggete tutti gli atti parlamentari, tutti i documenti che pervengono per richieste di dazi doganali o di intervento di qualsiasi genere. troverete sempre la frase: • È nell'interesse della Nazione che questo si faccia •. È cosi che i cotonieri nel 1887 chiesero e ottennero protezioni doganali superiori a quelle che sarebbero state logicamente necessarie in quel momento, e che la siderurgia pesa da 60 anni sull'economia italiana, nel nome dell'interesse generale, e tante e tante altre forme di parassitismo, o di parassitismo non solo ..... DI VITTORIO. Tutto ciò si è fatto in Italia senza piani. CORBINO. Onorevole Di Vittorio, le posso dire che non è cosi, perché se lei vede tutti gli atti delle Commissioni parlamentari che hanno portato alla concessione del dazi doganali nel 1883, nel 1887, nel 1892, nel 1903, non troverà la parola piano adoperata nel significato moderno della parola, ma cl troverà il contenuto di un piano, perché li si parla di sviluppi di industrie collaterali e coordinate a necessità di carattere militare, di industrie da fare sviluppare perché vi sono delle maestranze da impiegare, di intervento che lo Stato deve assicurare per garantire determinate situazioni locali, e non già di un piano nella forma organica con cui se ne parla oggi (il piano quinquennale, il piano quadriennale). Ma, come ha detto l'onorevole Einaudi, questi piani non sono mai realizzabili al punto in cui sarebbe desiderabile che lo fossero, anche rispetto a coloro che li propongono, perché il mutare dei tempi in politica ed in economia, è cosi rapido che le ipotesi inizialmente poste, perché il piano si svolga in tutta la sua interezza, si mutano strada facendo. Quella dello Stato quando vuol fare i piani, è un po' la posizione di quel cacciatore di cui si dice che, essendo distratto, andava a caccia dimenticando sempre qualcosa; un giorno le cartucce, un giorno la borraccia, un giorno la colazione, un giorno il fucile, ma tornava sempre con la cacciagione. Una volta sola aveva portato con sé tutto, ma rientrò senza caccia per il solo fatto che avendo dimenticato il portafoglio, non poté comprare la cacciagione che abitualmente portava come risultato delle sue avventure. Ed allora io richiamo la vostra attenzione sugli effetti politici ed economici che derivano dall'impiego della parola • piano • nella nostra Costituzione, rispetto al significato che a questa parola si dà in altri paesi. Voi sapete meglio di me quale è la situazione economica italiana di carattere transitorio e quale è quella di carattere permanente; cioè sapete meglio di me che l'economia italiana è stata sempre strettamente collegata all'economia internazionale. Questo collegamento, nel periodo anteriore alla prima guerra mondiale, si manifestava, nei nostri riguardi, nei due aspetti differenti del collegamento fra l'Italia e l'estero, per gli stranieri che venivano in Italia. e per gli italiani che andavano all'estero. Si trattava di un movimento di nazionali e di stranieri, che aveva questo solo effetto: ne derivava a nostro vantaggio una somma di ben 1200 milioni di lire del 1913, cioè a dire un qualche cosa che corrisponde a circa 350 milioni di dollari attuali, cioè 240 milioni di dollari del 1914. Ora, con questi 1200 milioni l'Italia pagava quello che non riusciva a comperare con le esportazioni delle sue merci. Fino a quando noi non riusciremo a riattivare queste due correnti di mezzi di pagamento, fino a quando noi non riusciremo a equilibrare meglio le nostre necessità di importazione con le possibilità di esportazione, noi dovremo

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