giovane critica - n. 34/35/36 - primavera 1973

Paolo Sylos-Labini ottobre 1946 Disoccupazione ed operepubbliche Pubblicato su • Critica Economica • n. 3, 1946, pp. 35-57. Ne abbiamo stralciato le pp. 48-57, amputandole delle note. --------- Per decidere dell'opportunità o meno di una politica di opere pubbliche si è indicata come fondamentale la questione relativa alla produttività, cioè al rendimento economico delle stesse opere pubbliche; e si è rilevato che tale questione non ha motivo di essere quando le opere pubbliche si presentano addirittura piu urgenti, al fine dell'incremento del reddito complessivo, delle produzioni normalmente lasciate all'attività privata. Tale è il caso attuale dell'Italia. Gravissime sono state le distruzioni che ha subito il nostro patrimonio pubblico; ed il patrimonio pubblico comprende strade, ponti, ferrovie, porti, edifici, centrali idroelettriche, comprende cioè, beni assolutamente indispensabili allo svolgimento di qualsiasi attività produttiva, sia pubblica che privata. Parlare di opere pubbliche, oggi, significa parlare di ricostruzione. La politica delle opere pubbliche si presenta come parte integrante della politica della ricostruzione. Essendo questa la situazione, appare evidente che, per combattere la disoccuppazione, la politica delle opere pubbliche deve avere l'assoluta prevalenza rispetto a quella dei sussidi. Quali possibilità presenta una politica di opere pubbliche di ridurre la disoccupazione, che oggi costituisce il grave problema economico e sociale italiano? Negli anni precedenti la guerra, lo stato spendeva in media 2 miliardi di lire l'anno per opere pubbliche: l'occupazione diretta superava in opere finanziate totalmente e direttamente dallo stato I 150.000 lavoratori all'anno. Gli enti locali spendevano circa 1 /2 miliardo di lire l'anno; i lavoratori occupati in opere finanziate totalmente dagli enti locali oscillavano annualmente intorno ai 40.000. In complesso, i lavoratori occupati annualmente In opere pubbliche finanziate o sussidiate da organi statali, da enti locali e da enti pubblici superavano i 200.000. In media la percentuale delle spese statali che si traduceva in salari variava dal 40 al 50. Nel 1945 si sono spesi, per opere pubbliche, circa 25 miliardi di lire: l'occupazione è stata di circa 75.000 lavoratori. Non è neppure approssimativamente calcolabile la somma spesa dagli enti locali; essa tuttavia si può considerare trascurabile ai fini dell'occupazione operaia. Acquista invece rilievo, anche ai fini dell'occupazione operaia, l'attività dell'amministrazione delle ferrovie per ricostruzioni nel settore di sua competenza. La somma spesa da tale amministrazione ha superato, nel 1945, i 20 miliardi di lire; il numero degli operai occupati in imprese che hanno lavorato per conto delle ferrovie non è noto: esso, comunque, può esser considerato dell'ordine di grandezza di diverse decine di migliaia. Il costo unitario della mano d'opera, nel 1945, è stato di circa 130.000-140.000 lire. Si calcola che la disoccupazione si aggiri oggi intorno ai 2 milioni e mezzo di lavoratori. Se non iniziasse un'organica e coerente politica di ricostruzione e se si continuasse a seguire una politica di opere pubbliche come quella finora seguita, una tale politica non potrebbe dunque dare che un contributo minimo alla lotta contro la disoccupazione. A rigore, però, dalla cessazione dell'occupazione tedesca ad oggi non vi è stata in Italia una vera e propria politica di opere pubbliche. Ci si è limitati a tamponare le falle piu urgenti, predisponendo opere pubbliche sopra tutto nelle zone dove piu minaccioso appariva Il fenomeno della disoccupazione. Per conseguenza sono state ordinate affrettatamente opere spesso poco produttive. Fatto grave, questo, In un periodo nel quale esiste la necessità di non disperdere le energie produttive, ma di usarle nel modo piu razionale cioè nel modo plu economico possibile. Finora lo stato, come spesso pel passato, ha mostrato di considerare esaurito o

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