giovane critica - n. 34/35/36 - primavera 1973

170 produttiva a preferenza della produzione di beni di consumo. Infine ridurrebbe di per sé i costi di produzione, in virtu dei mutamenti d"ordine sociale che presupporrebbe e promuoverebbe. In realtà, il progresso tecnico ha ormai sviluppato a tal punto il carattere sociale della produzione, che l'imprenditore, essenziale un tempo al funzionamento delle imprese, è divenuto inutile. Per convincersene, basta riflettere che se, ad esempio, la Fiat è l'industria automobilistica del paese, la Montecatini quella chimica, il gruppo Flnsider quella siderur• gica, mentre l'lri, Imi, il Tesoro formano la nostra organizzazione creditizia, l'imprenditore di queste aziende non è piu un privato il quale accudisce alla raccolta dei capitali sulla base della fiducia personalmente riscossa, e conduce l'attività produttiva sul la base di rischi e previsioni, ma è l'esperto economico il quale adempie all'ufficio pubblico d'inserire la vita di una data industria nella vita dello Stato. Cosi, poiché l'imprenditore sussiste come figura giuridica nell'esperto, il costo sociale di produzione viene a comprendere anche la rimunerazione di un servizio che, con la fine dell'economia concorrenziale, è divenuto insieme inutile e capace di pretendere un prezzo di monopolio. Il costo di direzione della nostra industria automobilistica comprende, ad esempio, il dispendioso mantenimento delle famiglie Agnelli. Lo stesso si può dire riguardo all'agricoltura, sebbene le aziende agricole non possano assumere una configurazione monopolistica. Sul costo dei prodotti agricoli gravano difatti le spese della lussuosa vita di grandi proprietari come i Berllngieri, i Barracco, I Torlonia, i Corsini, quelle della vita poverissima dei piccoli proprietari che oziano nelle città di provincia non trovando un adeguato stimolo al lavoro nella terra pos• seduta, e parte di quelle della vita di molti professionisti. La pianificazione economica, tuttavia, comporta anche un costo iniziale: precisamente il costo dello sforzo necessario a rompere la resistenza dei proprietari degli strumenti della produzione, perché seppure non giuridicamente, essa riduce e avvia alla soppressione la proprietà privata, se non altro dimostrandola non crescente evidenza inutile, anzi dannosa. Può, quindi, darsi che il costo di trasformazione della economia di mercato in economia pianificata risulti troppo gravoso, in specie tenuto conto della forza di cui usufruisce ancora la classe che la immobilità delle leggi mantiene predominante. Allora, pur essendo la pianificazione generale i I mezzo migliore per rompere certe situazioni d'inerzia, in taluni casi conviene ricorrere ad altri mezzi, quasi ad espedienti che acconsentano almeno in parte di comprimere i consumi superflui e di produrre di piu, cioè di accrescere il lavoro senza accrescere il volume dei profitti. 11Piano del Lavoro è, appunto, uno di questi espedienti. In realtà esso rispecchia il proposito di sfuggire al circolo, di cui si parlava, effettuando massicci investimenti pubblici in certi settori della nostra attrezzatura produttiva, senza mutare, tuttavia, l'ordine sociale in vigore, fuorché per alcune riforme annunziate dalla Costituzione stessa e ricorrendo, invece, per la formazione dei capitali necessari, a mezzi di redistribuzione del reddito già piu volte usati dallo Stato borghese. Esso comprende, quindi, due momenti: l'individuazione tecnica dei settori in cui compiere gli investimenti e l'ideazione degli espedienti atti a raccogliere nelle casse dello Stato le disponibilità finanziarie da investire. Di riflesso le critiche al Piano potrebbero riferirsi sia alle opere da esso giudicate utili, sia ai procedimenti finanziari. Tuttavia, chi volesse approssimarsi alla conoscenza del Piano del Lavoro, mantenendosi nei limiti di questo schema, si escluderebbe la possibilità di conoscerlo davvero, perché in concreto né la formulazione del Piano né le critiche da esso sollevate sono da considerarsi pure manifestazioni tecniche, ma vanno considerate, Invece, come azioni specifiche della lotta di classe. Perciò, al fine di conoscerlo, conviene ricostruire criticamente la cronaca dei fatti a cui ha dato luogo. Il Piano del Lavoro ha cominciato la sua vita come oggetto di una proposta che, per bocca dell'on Di Vittorio, fece al paese il secondo Congresso nazionale della C.G.I.L., tenutosi a Genova sul principio dell'ottobre 1949. E, subito, sebbene delineato schematicamente nelle linee essenziali, presentò la sua giustificazione economica, l'Indicazione dei settori a cui doveva applicarsi e un ampio accenno alle misure finanziarie che avrebbe richiesto. Esso è, infatti, sorto come un programma

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