164 produzione che rispondono alla sola convenienza immediata dei privati, possono essere largamente modificate per tener conto della convenienza sociale, e della stessa convenienza privata a piu lunga scadenza. Si deve concludere che è sempre possibile che le forze produttive non utilizzate trovino impiego mediante una politica adeguata. la differenza tra disoccupazione ciclica e disoccupazione strutturale non incide sulla possibilità, ma soltanto sulle modalità di questa politica. Anzi nel caso in cui i fattori di produzione siano disoccupati per ragioni strutturali, come in Italia, ciò comporta almeno un elemento favorevole, ed è che mentre nei Paesi piu progrediti gli investimenti necessari per occupare i fattori di produzione possono molto spesso avere un grado di utilità molto ridotta, nel caso nostro gli investimenti necessari per occupare questi fattori hanno un grado di utilità elevatissimo. Si è detto che è meglio far scavare le buche per terra piuttosto che lasciare i lavoratori disoccupati, ma noi siamo estremamente lontani da questa eventualità perché in Italia c'è da fare ben altro che scavare buche. Nel nostro caso ci sono almeno 4 milioni di uomini, se teniamo conto dell'eccedenza di lavoratori agricoli che non figurano nelle liste dei disoccupati, da inserire nella vita produttiva per creare non solo beni materiali, case, strade, bonifiche, ma per creare anche le condizioni stesse della civiltà moderna, dalla ricerca scientifica all'istruzione tecnica, all'assistenza igienica. Ho esposto un elemento favorevole nella nostra situazione rispetto ad una stiuazione di disoccupazione ciclica in Paesi industrialmente progrediti. Per contropartita ci sono delle difficoltà peculiari alla nostra situazione. Ho già accennato a una di queste difficoltà peculiari: la scarsezza di capitali. Ma ho già detto che questa difficoltà si può superare, prima di tutto sfruttando al limite estremo l'attrezzatura esistente, e poi variando le combinazioni dei fattori. Questo naturalmente può portare dei problemi di mutamento di struttura industriale, di trasferimento di lavoratori da industria a industria, da luogo a luogo. E qui la C.G.I.L. dovrebbe assumersi il compito di facilitare queste trasformazioni, nel quadro delle responsabilità per il successo del Piano che essa è disposta ad assumersi, e delle quali sarebbe gran danno se il Governo e le classi dirigenti italiane non tenessero tutto il conto dovuto. Questo implica una revisione della politica del blocco dei licenziamenti. Una volta Impostata una politica di espansione dell'occupazione, la difesa sul piano aziendale diverrà via via meno necessario. Ma, come ha detto l'On. Roveda, la politica del blocco dei licenziamenti è stata necessariamente rigida perché la classe operaia si è trovata di fronte ai licenziamenti per i licenziamenti. senza prospettive di nuove possibilità di lavoro. e spesso anche senza che ai licenziamenti corrispondesse realmente il risanamento aziendale. Se la classe operaia avesse avuto in passato e se avrà nel futuro la certezza che gli operai Iicenziati da una parte troveranno lavoro da un'altra, non vi sarà ragione di irrigidirsi nelle posizioni, aziendali. Fin qui, e in mancanza di una politica positiva di occupazione, il blocco dei licenziamenti è stato un contributo che la C.G.I.L. ha dato alla comprensione del problema economico italiano. Da qualunque punto di vista, anche da quello della convenienza delle singole aziende, il problema economico italiano è un problema di espansione della produzione e non di contrazione e la Confederazione ha fatto benissimo ad affermare questa verità anche con lo strumento del blocco. la seconda difficoltà peculiare della situazione italiana sta nell'equilibrio della bilancia dei pagamenti. Un'espansione dell'occupazione, dei redditi, dei consumi porterà ad una richiesta accresciuta di importazioni di beni di consumo e di materie prime. l'on. lombardi ha portato su questo punto una nota che forse è troppo ottimista perché le difficoltà di quadrare la bilancia dei pagamenti nel caso di una politica di espansione degli investimenti all'interno si possono presentare e possono essere serie. Ma certo anche qui c'è un altro elemento di ottimismo che voglio sottolineare. Negli anni passati e anche al presente è successo che in molti casi il limite fondamentale alle nostre esportazioni è stata l'incapacità da parte del mercato italiano di assorbire le contropartite di importazione. I nostri negoziatori si sentivano offrire in cambio delle nostre navi, delle nostre macchine, grano, carbone,
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