giovane critica - n. 34/35/36 - primavera 1973

Sergio Steve febbraio 1950 L'attualità del piano Sono completamente d'accordo con le critiche che l'On. Lombardi ha fatto all'intervento del Prof. Battara, però aggiungo che bisogna essere grati al Prof. Battara di aver portato qui dentro la tesi della coperta che è quella che è e non si può allungare. Senza il suo intervento sarebbe mancata, a questa Conferenza, l'espressione del convincimento che il reddito nazionale in un determinato momento, e il risparmio possibile su questo reddito nazionale, segnano il limite alle possibilità di sviluppo economico. Ed era importante che tale espressione fosse portata qui dentro, perché questa è la tesi prevalente nelle Università italiane, nella stampa e nell'opinione della classe dirigente italiana. Questa tesi sarebbe vera alla condizione che tutti i fattori di produzione esistenti risultassero già occupati, ma questo purtroppo non è il caso dell'Italia. Secondo i phl arcaici fra gli economisti contemporanei, questa ipotesi che tutti I fattori di produzione sono sempre occupati e che il reddito è quello che è e che non può essere aumentato in breve periodo, sarebbe sempre vera, perché basterebbe ridurre in misura sufficiente I salari per occupare tutto il lavoro e tutti I fattori produttivi esistenti. Ma a parte le obiezioni teoriche che si possono fare, nel caso dell'Italia, c'è un'obiezione molto phl evidente, e bisogna dare atto ad un economista conservatore, Il Bresclanl-Turronl, di averla formulata recentemente. Egli ha riconosciuto che nella situazione Italiana la riduzione di salari che sarebbe necessaria per occupare tutte le forze del lavoro esistenti sarebbe tale da portare I salari ad un livello lncompatlblle con condizioni di vita umane. Quindi nella situazione Italiana non solo c'è disoccupazionem, a la ricatta dell'economiatradizionale,anche 163 se fosse teoricamente adeguata, sarebbe praticamente inattuabile. Ma gli sviluppi degli ultimi vent'anni hanno portato all'accettazione sempre p1u larga di una revisione radicale della teoria dell'occupazione. La frattura è data appunto dal fatto che ci si è resi conto, primo, che la azione delle forze del mercato non porta necessariamente alla occupazione totale dei fattori di produzione; secondo, che, quando le forze del mercato non assicurano la piena occupazione, una politica economica attiva può assorbire i fattori di produzione che il mercato e l'iniziativa privata lascerebbero disoccupati. Un dubbio si prospetta molto spesso intorno a questa impostazione dell'economia moderna. Essa è stata sviluppata soprattutto nei Paesi anglosassoni e scandinavi dopo la crisi mondiale del 1929 e quindi si riferisce a condizioni nelle quali i fattori sono disoccupati non per ragioni permanenti, per ragioni strutturali, ma per ragioni cicliche. E allora qualcuno si chiede: ammettiamo pure che quando la causa della disoccupazione è determinata da ragioni cicliche, sia possibile riassorbirla con una politica adeguata. Ma in questo caso riassorbire la disoccupazione vuol dire, all'ingrosso, riattivare le combinazioni di fattori produttivi quali si avevano prima della crisi: non c'è, cioè, da preoccuparsi del fatto che determinati fattori esistano In quantità insufficiente rispetto ad altri. Ma si può dire altrettanto nel caso che la disoccupazione abbia ragioni ·strutturali, nel caso cioè in cui Il capitale combinato col lavoro nella maniera economicamente plu opportuna, non basta ad assorbire tutta l'offerta di lavoro? Ma prima di tutto in Italia non solo il lavoro è disoccupato, ma anche gli impianti non sono certo sfruttati al limite della loro capacità. E poi, a parte questa possibilità di spostare i limiti di utilizzazione degli Impianti, ,c'è da dire che le combinazioni del fattori sono tutt'altro che rigide, e che la convenienza economica si sposta a seconda che si tenga o non si tenga conto adeguato del costi sociali della disoccupazione. Se si ,issume la piena occupazione come un obiettivo fondamentale della società politica e del sistema economico, le combinazioni tecniche di

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