stica: e a questo scopo può servire, tra. l'altro, la riserva di valuta estera con cui potranno essere acquistati beni di consumo da gettare sul mercato •. Il problema non può essere tuttavia risolto, aveva affermato Lombardi, da un governo che, preoccupa!o dei problemi finanziari e non dei problemi economici, guarda al Bilancio dello Stato e non al Bilancio Nazionale, e non utilizza il primo per agire sul secondo. (Siamo in pieno keynesismo: e l'intervento di Steve, con i suoi riferimenti agli sviluppi della scienza economica fuori d'Italia, ha reso ancor piu palese questa derivazione. Altri riferimenti sono stati fatti all'ormai celebre Rapporto Hoffmann, che nel febbraio del 1949 condannava aspramente la politica Peila: anche questo Rapporto di origine keynesiana). Investire insomma, investire produttivamente, finanziare gli investimenti col credito, tener d'occhio i pericoli inflazionistici, ma non lasciarsi paralizzare da questi. In sostanza una full employment policy adattata ai paesi con basso indice di capitalizzazione: volta ad accrescere non i consumi, come si farebbe in una depressione aglosassone, ma gli investimenti. Dal canto suo Pesenti ed altri con lui ha puntato unicamente sui problemi del consumo ed ha ribadito la tesi, ormai nota, della esistenza in Italia di due mercati: occorre aumentare i consumi, correggerne le distorsioni, correggere le distorsioni degli investimenti. Son tesi che si presentano ad un duplice sviluppo: il primo in un senso ortodossamente marxista (ma è poi sicuro che il marxismo sia in questo?) e massimalista: lo squilibrio del sistema è cronico, ogni tentativo di porvi riparo è inutile, l'alternativa del capitalismo è il socialismo, tertium non datur; l'altro, a conti fatti, pili che uno sviluppo a sé è un diverso aspetto del primo: ed è nel senso di considerare obiettivamente buona (o la meno infelice che sia possibile realizzare in un mondo capitalistico) una politica che in fondo non si discosta gran che da quella del governo, e si muove soltanto su un piano di maggiore austerity, con la coscienza della contrappoposlzlone di utile sociale e di utile individuale. Il nesso tra i due aspetti delle tesi di Pesentl - quello masslmallstlco e quello riformista - può non essere evidente: ma, a ben riflettere, ha una sua necessità logica. Se l'Interpretazione masslmallstlca di queste tesi costituisce Il ripudio a priori di 151 ogni politica di alleanze, l'interpretazione . riformistica lascia si, la porta aperta ad ogni possibile alleanza, ma non muove nessun passo verso di esse. Ne è prova l'attuale isolamento della classe operaia. Son tesi queste che corrispondono a quella che è sempre stata la posizione del P.C.I. in materia di politica economica, tesi che in certi loro aspetti (lotta contro i consumi di lusso, incremento dei consumi piu popolari}, possono prestarsi ottimamente a premere su una parte dell'opinione pubblica. e corrispondono a quella che è stata sinora la politica delle organizzazioni sindacali. Ripeterei anche, e non sembri un paradosso, che le tesi di Pesenti In un certo senso coincidono con quelle del Governo. In fondo, tra il difendere la linea Pella proclamando la necessità di una maggior giustizia sociale (sotto le forme del paternalismo padronale dei democristiani di destra o del corporativismo di quelli di sinistra) e l'affermare che l'unica via d'uscita da una situazione come l'attuale è nel modificare la composizione dei consumi e degli investimenti, la differenza non è molta. Una linea che non parla di espansione del credito e di lotta anticiclica, che dimentica gli investimenti produttivi e la disoccupazione, potrebbe benissimo portar la firma di un Peila (o piuttosto di un Vanoni). Non è un caso che la polemica contro l'unica voce che abbia difeso, un po' con il tono della difesa d'ufficio, l'opera del Governo, la voce del prof. Battara, non sia venuta da Pesentl, ma da Lombardi e da Steve. il contrasto tra la linea Lombardi e la linea Pesenti è anzitutto sul terreno culturale: e si avrebbe torto a sottovalutare quest'a• spetto della questione. In Lombardi c'è l'accettazione, o per lo meno la comprensione (intendendo questo termine in un senso assai ampio, direi hegeliano), di quel grosso fatto culturale che è il keynesismo, ed in sostanza tutta la nuova Impostazione della scienza economica nata dalla esperienza della crisi del Ventinove: ed è spiegabilissimo come una certa ortodossia marxista del P.C.I., usa a qualiffcare ogni fatto culturale come sovrastruttura Ideologica di un fatto politico ed a valutarlo unicamente come tale, si sia rifiutata di accettare, non la sola terminologia (che è del resto facilmente traducibile In linguaggio marxista), ma gli stessi strumenti di Indagine offerti dal keyneslsmo, In base alla apodittica affermazione per cui questo
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==