giovane critica - n. 34/35/36 - primavera 1973

142 (ad es. Lombardi) che « il Piano finanziava se stesso »: occorreva, è vero, una quota di risparmio, che però non era necessario preesistesse all'investimento e che anz.i poteva essere prodo110 dall'investimento medesimo. La grande stampa accusò di astrattezza il Piano del Lavoro: si trattava di quella stessa stampa che l'anno successivo non avrebbe trovato niente da obbiettare ai programmi economici di Carmine De Martino, leader dei « vespisti», corrente di destra della DC; il quale proporrà di investire soldi che non ci sono, ma naturalmente in un contesto politko conservatore. Nell'estate dello stesso anno il Convegno di Milano fissa gli obbiettivi concreti del Piano. Da piu pani (ad esempio da parte di Fiorentino Sullo, o dell'economista Bruzio Manzocchi) un decennio piu tardi si è accusata questa seconda fase del dibattito sul Piano del Lavoro di essere scaduta ad un'ottica sindacale e rivendicativa perdendosi in una serie di problemi particolari, mentre il merito della prima fase era stato soprattutto nella sua impostazione nazionale, unitaria, costruttiva; nel suo essere imperniato sull'idea fondamentale dello sviluppo dell'economia e dell'occupazione, che doveva passare attrzverso un mutamento di politica economica per il quale spingevano anche forze rilevanti all'interno dello schieramento governativo. Sull'altro versante, quello delle forze governative, il dibattito sulla politica di investimenti viene aperto da Giorgio La Pira, il quale mette in evidenza il carattere anticristiano ed antieconomico della disoccupazione. Fa seguito BrescianiTurroni, ricordando che il problema è essenzialmente di risparmi e che Keynes non è attuale in Italia. Pietro Malvestiti scende in campo a difendere le posizioni « ortodosse » del governo (e del ministro del Tesoro e Bilancio Pella). Fanfani a sua volta interviene facendo un elenco dei possibili investimenti. Partecipano a questo dibattito anche Costa per la Confindustria, che chiede investimenti e limitazione dei compiti dello Stato; e Di Vittorio della CGIL, che pone nello sviluppo del mercato interno, e quindi nella elevazione della capacità di consumo del popolo il centro di un corretto intervento politico-economico. Nel suo intervento Fanfani, a proposito della disoccupazione, aveva fatto il seguente conto sommario: « Sottratta la disoccupazione temporanea fisiologica o di frizione, ci sono in Italia 1.600.000 disoccupati: rimossi alcuni ostacoli, l'iniziativa privata potrebbe ridurre i senza-lavoro a 1.400.000; a 200.000 giovani si potrebbe provvedere con corsi di avviamento porfessionale, spendendo 20 miliardi. Per dare lavoro ai restami 1.200.000 occorrerebbe nel primo anno disporre in media di 600 miliardi [ ... J con congrue riduzioni negli anni successivi ». Campilli risponde all'esponente della sinistra DC con due argomenti, e cioè che i miliardi occorrenti sarebbero non 600 ma 1.200 ( l milione per occupato), e che la macchina dello stato non è in grado di spendere piu di 400-450 miliardi all'anno. E' in questa situazione che hanno luogo le prese di posizione dei responsabili del Piano Marshall, i quali scendono in campo con dure critiche alla politica di « pareggio del bilancio» del governo italiano. Essi spingono verso l'ampliamento del mercato interno, costituito dalle famiglie di 1.800.000 disoccupati; e facendo notare come in una simile situazione, per motivi politici ed economici, il pericolo dell'inflazione che tanto angosciava Pella, era certamente secondario rispetto a quello della disoccupazione e di una insufficiente utilizzazione delle risorse disponibili.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==