Ilpiano del lavoro Un momento importante del dibattito sulla pianificazione in Italia si è sviluppato intorno al Piano del Lavoro. Formulato dalla CGIL al suo II Congresso nazionale (Genova, 4.9 ottobre 1949), e poi ripreso in una serie di conferenze e convegni successivi: la Conferenza economica sul Piano del Lavoro ( 19-20 febbraio 1950), e il Convegno di Milano (2•4 giugno 1950), convocato per fissare gli « obbiettivi concreti dei lavoratori dei vari settori della industria nel quadro della realizzazione del Piano del Lavoro ,.. Il dibattito suscitato ebbe il merito di non fermarsi al livello molto astratto delle precedenti occasioni: forse per la prima volta (con la parziale eccezione del Piano Marshall, ma in questo caso soprattutto da parte americana) si discute non sui concetti, o i presupposti, o le conseguenze, o il significato generale della pianificazione, ma di concrete proposte provenienti da una analisi della realtà nazionale, e di concrete prospettive di sviluppo. Nella sostanza, il Piano risulta articolato in quattro punti: 1) Nazionalizzazione delle aziende elettriche monopolistiche e costituzione di un Ente Nazionale dell'Elettricità che assuma la gestione delle aziende nazionalizzate ed abbia il compito di promuovere la produzione dell'energia elettrica; 2) Costituzione di un Ente Nazionale per la bonifica, le irrigazioni delle terre e le trasformazioni fondiarie, collegando queste iniziative alla realizzazione della riforma agraria; 3) Costituzione di un Ente Nazionale 141 dell'edilizia popolare, che si occupi anche della costruzione di scuole, ospedali ecc.; 4) Vasto programma di opere pubbliche, sia per migliorare le attrezzature economiche del paese, sia per consentire un immediato incremento dell'occupazione. Il dibattito che si apri attorno al Piano investi, direttamente o indirettamente, tutti gli ambienti economici e politici italiani. Da una parte si sviluppò una discussione all'interno della sinistra, e di essa si possono leggere nel seguito gli interventi piu significativi; dall'altra, a metà del 1950, si registrò un dibattito a piu voci, che coinvolse le stesse forze governative, o ove, pur non facendo sempre direttamente riferimento al Piano della CGIL, se ne toccano i punti centrali. L'obiezione piu diffusa fu che il Piano dava degli obbiettivi senza indicare i mezzi per raggiungerli; alla Conferenza della CGIL del febbraio 1950 (alla quale presero parte Campilli e La Malfa a nome del Governo, Fanfani, Rapelli, La Pira e $abatini per la DC, Cattani per il PLI e Calosso per i socialde• mocratici), il prof. Battara sostenne in prima persona questa tesi affermando che gli ottocento miliardi necessari alla realizzazione della iniziativa del maggiore sindacato non erano reperibili e che il Piano di conseguenza era irrealizzabile. Gli organizzatori della Conferenza prevedevano, per finanziare il Piano, sia l'utilizzazione di parte delle risorse valutarie esistenti, sia l'impiego di parte del FondoLire costituito come contropartita della vendita di merci del Piano Marshall, sia infine una lotta a fondo contro le evasioni fiscali. Oltre a tutto ciò si era parlato di « sacrificio supplementare dei lavori», sotto forma di tassazione volontaria, o di lavoro supplementare. Un gruppo di intervenuti (Riccardo Lombardi, Giorgio Fuà, Sergio Steve, Breglia ecc.), fece riferimento alla teoria del moltiplicatore; si affermò che, da una parte, la domanda globale non doveva eccedere la produzione, e quindi l'attuazione del Piano del Lavoro doveva porre dei limiti ai consumi privati (Fuà); dall'altra
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