primavera 1973 • • • giovàne critica 34135136 Italia 1945-1950. Ricostruire, ma come? Antonio Casella, Osiride Marcellini, Elio Marotta / Introduzione / 1 La fase "eroica,, Democrazia Cristiana / Risoli&ione del Consiglio Nazionale [1945]// 8 Un ordine del giorno dei CLN delle Aziende IRI [1945] / 10 Antonio Negro / Un segretario dei metalmecl'anici racconta [1945] / 11 A.. De Marco S. I. / L'aspetto politico dei piani economici [ 1945] / 14 La «Resistenza» e il prof. Valletta a tu per tu [1946] / 16 Alberto Bertolino / Costituente e riforma economica [1946] / 25 Paolo Sylos-Labini / Disoccupazione ed opere pubbliche [1946] / 30 Antonio Pesenti / Politica economica comunista e programma economico di governo [1946] / 34 1° Convegno Studi di Economia politica e industriale (Siena) [1947] / 37 Centro Economico Ricostruzione / Osservazioni sulla nazionalizzazione dell'energiaelettrica [1947] / 42 L'Auemblea Costituente boccia l'«emendamentoMontagna»[1947] / 47 ilfo Morandi / Piano economico di struttura [1947] / 67 Le ragioni teoriche 1 Costantino Bresciani-Turroni / Quattro studi sulle possibilità del socialismo [1946] / 10 Franco Modigliani / La transizione da un sistema di impresa privata a un sistema socialista [ 1947] / 75 Ferdinando di Fenizio / Questioni di economia libera e controllata [1947] / 78 Siro Lombardini / Recenti opinioni sulla socializzazione [ 1947] / 84 Gaetano Stammati / Fini, modalità e limiti dell'intervento statale [ 1948] / 93 Giuseppe Di Nardi / Osservazioni intorno a una teoria della pianificazione democratica [1948] / 95 Agostino Lanzillo / Sofismi sulla pianificazione [1949] / 100 A. Brucculeri S. I. / L'esempio della Tenesse Valley Authority [1950] / 102 Giuseppe Dossetti / Lo Stato moderno abbisogna dei «liturgici di Dio» [ 1951] / 104 Il Piano Marshall Introduzione / 116 Franco Rodano / Il Piano Marshall e l'Italia [ 1948] / 118 Il «Country Study» segnato a matita dai Consigli di Gestione [1949] / 125 2° Convegno di Studi di Economia e politica industriale (Siena) [1948] / 135 Ruggero Amaduzzi / Un suggerimento inattuabile [ 1949] / 139 Il Piano del Lavoro Introduzione / 141 Alberto Breglia / Il problema del finanziamento del Piano del Lavoro [1950] / 143 Giorgio Ferretti / Azione sindacale, «linea Pella» e disoccupazione [1950] / 148 (segue)
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~J~· La Cina ' . e vicina, Zaccaria è lontano L'impostazione e le note introduttive di questo numero sono dovute ad Antonio Casella, Osiride Marcellini, Elio Marotta. Il loro lavoro si è svolto in sostanziale accordo con la redazione di Giovane critica. Alcuni testi sono stati da noi reperiti fra le carte di Antonio Pesenti che si trovano attualmente all'Istituto di Economia Politica della Facoltà di Statistica (Roma). Il permesso di utilizzarli ci è stato concesso dal prof. Paolo Sylos Labini, che qui ringraziamo. La mole di materiale documentario pubblicata ci ha costretto a rimandare al prossimo numero l'avvio della discussione politica e storiografica vera e propria. Molti lettori si sono lamentati del prezzo, lire 1800, del n. 31/32. Purtroppo i costi editoriali sono una realtà cruda, molto piu grande di noi. La Cina sarà forse vicina, come molti amici pretendono, ma Zaccaria è lontano'. 1 G. Z«caria, di Nocera Inferiore, ha versato ciP1q11e milio,ri rispo,rde,rdoa "" SOS del_quo(idia,ro e Lo1111 continua• che, per mancanu d, ossigeno, """" ridolfo le 111,quallro pagi,re a due. N.i,.,lllmePltt 111iamoil ,rom, di quello eumplare 111ilit.,,te solo simbolicam,,,lt. Per riferire) a sonnzioni, tutele extr11-11Uend,li, mir11coli di Lo,.,J,s editoritlli. Italia 1945-1950. Ricostruire, ma come? Il dibattito sulla programmazione nel dopoguerra in Italia manca spesso di concretezza. Rare le occasioni di fondarlo non su principi ma su analisi della realtà o proposte di sviluppo; come ha scritto Fiorentino Sullo riferendosi agli anni che seguono la fine della guerra, « pianificatori ed antipianificatori possono in serena coscienza dedurre - nella mancanza pressoché totale di fatti che comprovino la validità del loro "pregiudizio• - di non avere motivo per cambiar parere». I « fatti » nel periodo coperto da questa antologia - dal '45 al '50 - corrispondono o a sollecitazioni provenienti dall'esterno del sistema politico ed economico italiano, o a proposte parziali e temporanee di int-:rvento, (che solo in senso molto lato possono definirsi programmatorie) in qualche settore economico; o infine - in un solo caso - ad una proposta politica globale proveniente dall'opposizione. Quando l'intervento, e il dibattito che lo ha accompagnato, si è rivolto al raggiungimento di certi obbiettivi settoriali, è sempre mancato il loro collegamento con lo sviluppo dell'economia e della società nel suo complesso. Le ragioni di tutto ciò sono soprattutto politiche, come si può dedurre, ad esempio, dalle posizioni dei partiti maggiori; ma anche, in via subordinata, derivano da carenze della scienza economica nel nostro paese. In Italia la ricostruzione era avvenuta nel rispetto almeno formale del liberismo ottocentesco, e non mancarono di rilevarlo criticamente forze diverse che andavano da Libero Lenti a La Malfa, a
2 certe componenti delle forze di sinistra; le quali criticavano ad esempio le scelte del ministro Corbino (rinuncia al cambio della moneta, abolizione della nominatività dei titoli) in quanto privilegiavano l'iniziativa privata. I settori piu avanzati degli studi economici traevano ispirazione da J. M. Keynes; ma parecchi dei non molti keynesiani d'Italia ebbero un atteggiamento ostile alla pianificazione o programmazione (i due termini, insegnò Einaudi a coloro che volevano distinguerne il significato, dovevano considerarsi equivalenti); anche perché, come ha affermato Saraceno, questi economisti tendevano a considerare piu che sufficienti ad arginare le fluitazioni, gli strumenti della politica monetaria, fiscale e delle opere pubbliche. Ciò precisato, si può comunque fare un elenco delle iniziative che ebbero in varia misura intenti di coordinamento e di programmazione, e sollevarono un dibattito che in qualche modo coinvolse la nazione e le ipotesi di « piano »: dai « piani di primo intervento » degli anni 1944-46, ai lavori della costituente, alle iniziative governative come il CIR, il CEN, il Piano Fanfani-Case e la Cassa del Mezzogiorno, al Piano Marshall, al Piano del Lavoro di iniziativa CGIL. Negli anni di cui si parla, prima cioè della svolta produttivista realizzata nei primissimi anni '50, il fronte delle forze politiche favorevole - in modo largamente differenziato - a una qualche forma di intervento programmatore dello Stato include i partiti della sinistra marxista e laica, e una componente minoritaria ma consistente della DC. Questo schieramento costituf la maggioranza nei governi precedenti il giugno 1947, ed impresse il proprio indirizzo alle decisioni di politica economica di questa prima fase. Si trattò soprattutto di enunciazioni ( in primo luogo quella costituzionale); quanto alla attuazione delle decisioni molto spesso essa non ebbe luogo o fu distorta anche per la presenza di centri di potere che già andavano organizzandosi su una linea conservatrice: l'episodio del mancato cambio della moneta, di importanza decisiva per la attuazione di una tassazione dei sovrapprofitti di guerra e del regime fascista, è indicativo. Una serie di rinvii « tecnici », che giunsero fino a quello motivato dal furto delle matrici, impedirono che esso si realizzasse, malgrado ci fosse già stata la decisione del Governo. Ma ai fini della pianificazione, la situazione è piu complessa: le obiezioni provenivano non solo da parte dello schieramento conservatore, che si muoveva in difesa della libera iniziativa privata, ma anche dall'interno delle Sinistre. In particolare il PCI, come si vedrà, aveva decisamente affermato la necessità di una politica senza fughe in avanti o affermazioni astratte di principi, nonché la diffidenza sul fatto che fosse posibile programmare in un sistema ad economia di mercato. Dopo il 31 maggio 194 7, col 4° Gabinetto De Gasperi, i legami tra le forze sopra menzionate non si ruppero completamente, anche se divennero piu complessi e meno visibili. Amendola ricorda come nel contrasto tra Pella e Vanoni le opposizioni sostennero di fatto le tesi di Vanoni, riprese al Congresso di Venezia della DC da Dossetti, e in Parlamento da Fanfani e La Pira; con Saraceno in una importante posizione di elemento di collegamento. I Partiti e la programmazione In un suo scritto del 1955 Piero Malvestiti ricorda un colloquio con De Gasperi, in cui egli, a nome di una delle componenti della nascente Democrazia Cristiana (il « Movimento Guelfo d'Azione») diceva al leader cattolico come sui problemi della pianificazione integrale e della socializzazione dei mezzi di produzione, la loro parte superava le vecchie trincee, nel senso che era loro indifferente « porsi sullo stesso terreno dei socialisti ». Abbandonata per un momento ogni preoccupazione di altra natura, la socializzazione dei mezzi di produzione non era per loro che un problema tecnico e di opportunità economica.
La scelta - allorà - di una via che non fosse quella socialista nasceva solo da quei « problemi tecnici »: dal fatto cioè che la socializzazione non prometteva nulla di meglio che « il freddo e la fame ». Da queste posizioni, che riflettono l'effettiva problematica interna al nascente partito cattolico, alla assunzione come proprie delle direttive economiche einaudiane c'è un lungo cammino, lastricato da decisioni ispirate al « realismo economico»; decisioni che, almeno ad una parte della DC, apparvero come l'irresistibile influenza di quello che De Gasperi chiamava il « Quarto partito», quello degli esponenti del capitalismo industriale, finanziario ed agrario. Nel 1944, su Il Popolo clandestino, si può leggere il programma economico di De Gasperi, che risulta articolato in tre punti: 1) partecipazione a titolo giuridico dei lavoratori agli utili, alla gestione e al capitale delle imprese; 2) trasformazione dei braccianti in proprietari e mezzadri, o in associati alla gestione; 3) regime tributario imperniato sulla progressività, con esclusione delle quote minime. L'unico documento ufficiale democristiano in cui si prende chiaramente una decisione di intervento programmatore è la risoluzione del Consiglio Nazionale del 3-3-1945 (riprodotto a p. 8). Dopo di allora o non si parla piu con chiarezza di impegni in tal senso, o quando Io si fa (relazione di Rumor al Congresso di Venezia del 1949) si ribadisce il concetto senza prendere precisi impegni: « sarebbe antistorico negare l'esistenza di una esigenza di programmazione, quando tutto il mondo si muove ormai entro linee di programmi economici internazionali e addirittura intercontinentali ». Ma quando si deve concludere, Rumor afferma che non si possono applicare integralmente Keynes e Bevcridge in Italia. Sullo commenterà nel 1960 che la Democrazia Cristiana manoo anche in quella occasione di analisi strumentale. Per la sinistra democristianala spinta 3 programmatrice fu una carattensuca sempre presente. La visione complessiva del problema dello Stato si può trovare in uno scritto di Dossetti (riprodotto a p. 104) che, pur essendo del 1951, cioè della fase conclusiva della parabola democristiana di questo uomo politico, ha una forza notevole per la comprensione di tutta l'ipotesi politica che a lui si riferL Il retroterra culturale era quello di un certo cattolicesimo francese (Maritain e tutto il filone di discussioni sul tema « Cattolicesimo e democrazia »); il corporativismo di sinistra dell'Istituto di studi Corporativi della normale di Pisa e, in modo piu mediato, l'influsso del pensiero economico anglosassone degli anni '30. Fu la sinistra DC, che condusse avanti le discussioni in prima persona, ma a nome di tutto il Partito, nelle sottocommissioni dell'Assemblea Costituente. Parallela alla azione del gruppo dossettiano, è l'iniziativa di due altre componenti della sinistra democristiana, quelle che facevano capo a Gronchi e a Vanoni; esse sopravviveranno allo sfaldamento della sinistra di Cronache sociali e porteranno avanti (con coerenza, nel caso di Vanoni) la loro opera utilizzando tutti i margini esistenti nel partito e nel paese. Il Partito comunista affrontò, come si è detto, il tema della pianificazione, con molta prudenza. Piu esattamente, confluirono insieme due ordini di motivi: da una parte l'esigenza di mobilitare tutte le energie economiche del paese, in primo luogo quelle dei privati, alla ricostruzione; la pianificazione non avrebbe certo giovato, poiché avrebbe suscitato « resistenze e violazioni tra gli stessi gruppi economici dominanti, che tendono a rafforzare il loro dominio», avrebbe acuito « la battaglia contro i settori capitalistici indipendenti » avrebbe aggravato « la lotta di classe tra capitalisti e lavoratori» (Pesenti). D'altra parte larghi settori del PCI avevano espresso la loro sfiducia nella politica pianifìcatoria in un sistema basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione perché una tale economia, anche se
4 pianificata, non è dominata dall'uomo nell'interesse dell'uomo, ma domina ancora l'uomo. Lo stesso piano del Lavoro delJa CGIL del 1949-50 non sfugge completamente a questa logica; e non tanto al primo ordine di argomentazioni, che diventavano secondarie con la estromissione del PCI e del PSI dal Governo, ma soprattutto al secondo. Di Vittorio infatti introdurrà una conferenza convocata per illustrare l'iniziativa sindacale, precisando che il Piano non era una proposta di pianificazione generale, possibile solo in un sistema socialista, ma una programmazione particolare. La Conferenza economica del PCI dell'agosto 1945 sancisce per la prima volta ufficialmente la necessità di « guardare all'aspetto pratico, immediato delle questioni, e al modo di risolverle » rifuggendo quindi dal puro « studio ~stratto di problemi molto generali » (Togliatti). Essa propone perciò un programma di lotte contro l'inflazione e le speculazioni, senza prevedere l'uso, almeno immediato di una programmazione economica e di ' nazionalizzazione, e soprattutto conclude d_inon f~rne delle condizioni per la ricostruzione. I punti salienti dell'opposizione del PCI (e in generale delle sinistre ai Governi centristi sono stati sintetizzati cos[ da Amendola nella sua relazione del 1962 al Convegno dell'Istituto Gramsci sulJe « Tendenze del Capitalismo italiano »: a) Critica dell'impiego dei fondi Marshall utilizzati per coprire il deficit del bilancio' statale, e non per alimentare col credito le attività produttive. Quello che mancò sempre fu un piano nazionale di utilizzazione de_ifondi Marshall per una politica di sviluppo dell'economia italiana· ~) Critica al regime tributario: 'alla mancata riforma, allo eccesso di imposte indirette rispetto alle dirette. Critica al Bilancio ?elio Stat~ per la prevalenza delle spese 1mprodutuve e militari rispetto a quelle produttive; c) Critica alla linea Pella di restrizione creditizia; d) Critica della mancanza di una politica di sviluppo delle industrie di Stato, sacrificata e subordinata alle esigenze dei gruppi monopolistici privati; e) Lotta per la riforma agraria e inizio della lotta per la nazionalizzazione della industria elettrica. La lotta per i Consigli di Gestione è uno dei punti di forza della azione socialista. Nelle dichiarazioni dell'agosto 1946 di Morandi, allora Ministro dell'Industria e Commercio, il Consiglio di Gestione è visto come responsabile della « tutela dell'interesse della collettività » nelle singole aziende, che ricevono aiuti e sostegni sempre maggiori da parte dello Stato: « Esso ha da portare la voce della collettività nelJe questioni generali che interessano la vita dei grandi complessi industriali sul piano nazionale ». Angelo Costa, presidente della Confindustria, ribatte che « dirigere una impresa non è un'arte che si improvvisa» e che quindi il Consiglio di Gestione è un « organo inceppante »; la DC se ne lava le mani, e De Gasperi afferma al 2° Congresso nazionale della DC (novembre 1947) che « il Governo non vuole imporre questi organismi, come ha fatto Mussolini con le corporazioni, ma vuole che nascano dalJa esperienza e da un tentativo di accordo fra coloro che devono colJaborare nei Consigli di Gestione». Il PCI li considera si. un elemento importante delJa propria azione politica, ma non si impegna a fondo per il loro riconoscimento giuridico. Per il PSI invece essi hanno un compito decisivo, anche nella pianificazione. Morandi distingueva tre tipi di pianificazione: i piani capitalistici, contraddittori e miranti al superamento di particolari congiunture; i piani di riforma, carenti e pericolosi in quanto presuppongono una concezione gradualistica ed evoluzionistica della economia; e i piani socialisti in fase di transizione, su cui dà un giudizio posltlvo: essi debbono essere impostati in modo strettamente legato alJe grandi
riforme di struttura, ma non le presuppongono (e in questo c'è un grosso elemento di differenza colle posizioni comuniste). I Piani di gestione debbono, per Morandi, « creare nelle imprese strumenti idonei per permettere ad essi di partecipare alla ricostruzione industriale e alla predisposizione delle programmazioni e dei piani di industria che venissero adottati dai competenti organi dello Stato, e per renderne effettuale ed operante l'esecuzione» (E' questo parte del testo dell'articolo I di un progetto di legge mai approvato sui Consigli di Gestione). F. Sullo fa rilevare come fra le posizioni comuniste e quelle socialiste c'è una differenza rilevante: « mentre i comunisti sembrano accentuare l'esigenza se non della proprietà, almeno della gestione tecnica collettiva dei mezzi di produzione, i socialisti sembrano calcare la mano sullo aspetto politico, ancor piu che sulla strumentazione giuridica dei mezzi di produzione». Per esaurire questa panoramica sui Partiti, bisogna fare un cenno alle posizioni liberali, i.e. alle posizioni di Einaudi, che sono lineari ed apparentemente impecabili: lo Stato ha già mezzi sufficienti e mai sufficientemente adoperati per influire sull'economia, attraverso il bilancio: imposizioni fiscali e spesa pubblica. Per il resto vanno bene dei piani o libri bianchi, purché siano soltanto a fini conoscitivi. I lavori dell'Assemblea Costituente All'Assemblea Costituente si realizza un serio dibattito fra partiti a proposito della pianificazione, in diversi tempi e sedi. Eccone i momenti: 1) Discussione nella prima sottocommissione (diritti e doveri dei cittadini, ottobre 1946). Si procede di pieno accordo fra democristiani (rappresentati da Dossetti, Moro e La Pira) e comunisti: fino al punto che Togliatti si astiene su una proposta socialista di contenuto radicale a proposito della tutela statale del diritto di proprietà, limitata al caso in cui la proprietàfosse gestita da conduttori e 5 lavoratori diretti e da cooperative. Si giunge ad accordo sulla pianificazione, e si decide di rimandare la materia alla 3• sottocommissione, che si occupa dei diritti e dei doveri economico-sociali. 2) Discussione nella terza sottocommissione, su relazione di Fanfani. In questa relazione si sostiene la necessità di una pianificazione, che soddisfi alcune condizioni: che cioè si eserciti un controllo competente, interessato, decentrato, democratico e multiforme sull'attività economica. 3) Discussione in assemblea plenaria, 1'8, il 9 e il 13 maggio 1947. La situazione politica è mutata: basti ricordare che il 13 maggio è proprio il giorno in cui De Gasperi mette in crisi il suo terzo gabinetto, lanciando alla nazione un appello per una « nuova Resistenza civile ». E' in esame il testo dell'articolo 31 della costituzione; si procede sulla base di un emendamento proposto dalle sinistre (Montagnana, Foa, Pajetta), che viene respinto; al suo posto viene approvato un testo da cui è scomparso il termine « i piani » e al suo posto sono rimasti « i programmi e i controlli ». Inoltre l'attività non viene « diretta e coordinata a fini di utilità sociale», ma solo « indirizzata e coordinata» (vedi il documento riprodotto a p. 47). I « Piani di primo aiuto » Gli aiuti americani vengono concessi all'Italia fin dallo sbarco alleato in Sicilia. Sul finire del '44 gli alleati chiedono al Governo italiano una serie di dati sulla cui base si sarebbe dovuto procedere al ripristino della capacità produttiva indispensabile alla sopravvivenza e alla ricostruzione; tale richiesta sarà soddisfatta nel '45, dopo la liberazione del Nord. L'apparato amministrativo italiano, a misura che si ricostituisce, partecipa all'amministrazione di tali aiuti, che inizialmente erano regolati esclusivamente dagli americani, quale problema militare. Secondo Saraceno « questa importante attività
6 svolta a partire dall'immediato dopoguerra dalla nostra Amministrazione si concretava, in sostanza, nella formulazione di programmi di utilizzo dei beni da importare, programmi che altro non erano che giustificazioni della plausibilità delle richieste che venivano avanzate [ ... ] Si passò cosi dai programmi di limitato ammontare, utilizzabili in pochi mesi [ ... ] al programma U.N.R.R.A., di durata annuale, che si proponeva di dare un razionale utilizzo ad una somma, a quel tempo e in quella situazione, enorme, di oltre mezzo miliardo di dollari ». I piani di primo intervento hanno un orizzonte limitato dalla settorialità e dalla durata. La loro azione interessa quei settori produttivi la cui ricostruzione ha importanza pregiudiziale, e si limita alla durata, ad esempio, di messa in esercizio di un impianto di produzione. Limitata sarà anche l'efficacia di tali piani, a giudicare dalla particolare lentezza della ripresa post-belica, come deve rilevare lo stesso Istituto Centrale di Statistica, secondo le cui valutazioni l'Italia è il paese europeo con il piu basso saggio medio di incremento della produzione industriale dal luglio 1947 al luglio 1949. Il dibattito teorico Il dibattito di politica economica che si sviluppa parallelamente alla ricostruzione è profondamente influenzato dal liberismo che attraverso Einaudi egemonizza il pensiero economico antifascista. Dopo anni di autarchia e « corporativismo » il padronato italiano riscopre la sua vocazione liberista e le parole d'ordine tradizionali del liberismo (sviluppo della piccola e media industria leggera, sostegno della agricoltura pregiata e spopolamento delle campagne). Anche se non viene negata la necessità dell'intervento dello Stato, si tende a ridurlo al minimo indispensabile: Costa afferma che « l'intervento statale è una necessità, non una brillante conquista». Contro l'utopia pianificatoria si muove una lunga schiera di economisti quali Einaudi, Corbino, Papi, Bresciani-Turroni, il keynesiano Di Fenizio che conducono la lotta sul piano delle iniziative concrete - sulle quali esiste fino al '48 una sostanziale omogeneità - e su quello teorico. E' del '46 la traduzione italiana di un testo base dell'antipianificazione: Pianificazione economica collellivistica di von Hayek, Pierson, von Mises e Halm, con prefazione di Bresciani Turroni. La tesi di von Mises è che un sistema pianificato, nel quale non esiste un mercato che determini i prezzi dei beni, non possiede alcuna misurazione delle scarsità relative, e perciò non ha alcuna guida per un comportamento razionale. Il piano dell'autorità centrale e cosi condannato all'irrazionalità e alla inefficienza. La tesi di Hayek è che la conduzione economica di un sistema pianificato è possibile in linea di principio, ma è impossibile in linea di fatto per queste due ragioni: 1) il sistema di equazioni dell'equilibrio economico generale è cosi vasto e complesso (si pensi solo al numero enorme di beni che esistono in un sistema economico) che è probabilmente impossibile scriverlo, e comunque, anche ammesso che si possa scriverlo, è da escludersi che lo si possa risolvere; 2) se, malgrado ogni evidenza, si vuole tuttavia sostenere che la risoluzione è possibile, bisogna almeno ammettere che essa richiederebbe un tempo cosi lungo, che nel frattempo i dati sarebbero cambiati ed il sistema che si sta risolvendo, non avrebbe piu alcun valore. La introduzione di Bresciani Turroni a questo libro vorrebbe sancire in modo definitivo la estraneità dall'ambito della razionalità economica delle tesi comunque programmatorie. Sono peraltro significativi gli editoriali di questo stesso autore sul Nuovo Corriere della Sera in cui egli attacca stizzosamente Keynes, negandone la attualità in Italia, e riassumendone il pensiero in una presunta larghezza di spese. Il dibattito trova alcune occasioni specifiche:
ad esempio nei due Convegni organizzati dalla Confindustria nel 1947 e nel 1948. In entrambi i casi la pianificazione è uno dei temi centrali: nel '47, in rapporto alla Ricostruzione, nel '48 in relazione al Piano Marshall. Le tesi presentate in simili occasioni sono rappresentative o di correnti ideali (come il pensiero sociale cristiano, e certe componenti del movimento operaio), o di teorie economiche. Gli economisti cattolici sono divisi sul problema della pianificazione. Se Dossetti e il gruppo di Cronache Sociali (ad esempio Ghetti, Moro ecc.) vedono nella pianificazione un mezzo per la realizzazione del « bene comune », e Vito vede strettamente legate le riforme sociali e la pianificazione, sul versante opposto gli economisti di Civiltà Cattolica (Brucculeri, De Marco: doc. riprodotto a p. 14) sostengono una pianificazione « moderata, tendente ad investire sempre piu l'iniziativa privata», cioè a scomparire. Fra le due voci si situano posizioni come quella di Serafino Majerotti, che chiedono gradualità e concretezza, dell'ambiguo Fanfani. Saraceno poi è uno dei pochi pianificatori che sia giunto alla stesura di un piano. Anche il Movimento operaio non si presenta con posizioni omogenee al riguardo. Pesenti, come si è visto, nega la possibilità che in un regime capitalista una pianificazione sia auspicabile negli interessi delle classe operaia; e con lui Agostino degli Espinosa, Manzocchi e in genere tutto il corpo redazionale della rivista Politica ed Economia. I socialisti hanno una posizione piu aperta: non fanno della pianificazione un poi, successivo e condizionato dalla realizzazione delle riforme della struttura economico-sociale, ma vedono i due momenti strettamente collegati. Altre voci nella sinistra abbracciano decisamente le tesi programmatorie: vedi ad esempio quanti fanno riferimento alla rivista Il Ponte vedi A. Molinari, ex Direttore generale dell'Istituto Centrale di Statistica; Pietro Battara, Docente di Statistica all'Università di Roma,ecc. Teoricial piu di un piano conoscitivo, 7 della stesura di « libri bianchi », della pianificazione regolata dalla banche sono gli economisti di parte liberista: Gaetano Stammati, Giovanni De Maria (rettore dell'Università Bocconi di Milano), Agostino Lanzillo, Angelo Costa. Altrettanto ostili i keynesiani alla Di Fenizio. In alcune misure di politica economica del Governo sono presenti elementi e intenti programmatori, anche se limitati. Cosf nella stessa costituzione del CIR (Comitato Interministeriale per la Ricostruzione - 1946) organismo composto da tutti i Ministri dei dicasteri economici: il suo compito istituzionale è di coordinare le iniziative di politica economica, incoraggiando l'iniziativa privata, indirizzando le risorse limitate verso impieghi socialmente utili. Al suo fianco fu costituito in Consiglio Consultivo, costituito dai rappresentanti di tutte le organizzazioni dell'economia e del lavoro: ma l'unico atto ufficiale di questo organismo fu l'adozione, quale base delle discussioni, di un « Piano quadriennale di sviluppo dell'economia italiana» redatto da Saraceno, direttore del centro Studi IRI. Per quanto riguarda le imprese di Stato, l'IRI in primo luogo, gli interventi del Governo sono ridottissimi. Nel 1946-47 uno studio della Commissione economica dell'Assemblea Costituente sulle Nazionalizzazioni e sull'IRI concludeva favorevolmente ad alcune forme di socializzazione, ma incontrò la reazione degli ambienti industriali che quando non fu aperta e violenta assunse i toni ipocriti della Montecatini, pronta ad accettare nazionalizzazioni dovunque fuorché in casa propria. La Commissione respinse comunque le proposte delle Sinistre di usare l'IRI come asse della Ricostruzione. Nel 1947 si ebbe l'istituzione del Ministero del Bilancio, con competenze che avrebbero dovuto abbracciare tutti i problemi di pianificazione economica, ma che si ridusse con Pella ad un'appendice del Ministero del Tesoro. Nel 1951 il Ministro Ugo La Malfa incontrò incredibili difficoltà solo per compilare un elenco delle attività industriali dello Stato.
DemocraziaCristiana febbraio/marzo 1945 Risoluzione del Consiglio Nazionale Si tratta della Risoluzione del Consiglio Nazionale della DC (28 febbraio -3 marzo 1945) sulla • Democrazia politica e democrazia economica•. Democrazia politica e democrazia economica La Democrazia Cristiana, di fronte alla crisi senza precedenti che travolge l'Italia ed il mondo, afferma che non vi è salvezza se non in un sostanziale rinnovamento della società che riporti tutti gli uomini a sentirsi fratelli e solidali nel loro destino umano. Gli egoismi di ceto, di classe, di nazione, di culto della forza e della potenza, la violenza della legge morale stanno alla radice dei mali dell'ora presente. La Democrazia Cristiana impegna tutti I suoi uomini e tutte le sue forze per una soluzione democratica della crisi. Alla rivoluzione in corso per mutare gli ordinamenti politici, sociali ed economici, al fine di determinare un mondo non piu dominato dalla violenza, dall'arbitrio e dall'egoismo la Democrazia Cristiana Intende apportare innanzi tutto il contributo dei valori morali del Cristianesimo. Per questo essa chiama a raccolta i miseri e gli oppressi e fa appello a tutti gli uomini che sentono profondo l'anelito verso un ordine di giustizia e di equilibrio sociale. La società che noi vogliamo dovrà fondarsi su alcuni principi, reclamati del! 'universale esigenza d'un popolo deciso a rinascere: al sul riconoscimento del valore essenziale della persona umana, e quindi sul suo diritto a reggere la politica e l'economia e non già ad esserne schiava: politica ed economia, Stato e società sono per la persona umana; bi sui doveri della socialità umana e cristiana per cui si attua la vera solidarietà fra I popoli e gli Individui nella consapevolezza che la miseria ed il bisogno di alcuni compromettono la prosperità ed il benessere dell'intera comunità e che I deboli hanno diritto al sostegno dei piu forti; cl sul riconoscimento della naturale uguaglianza di tutti gli uomini nell'ambito di un ordinamento di libertà che consenta ad ognuno di affermarsi secondo le proprie doti di onestà, di capacità, di sacrificio in piena responsabilità individuale; di sulla necessità di un intervento della pubblica autorità al duplice fine di armonizzare le forze che vivono nella società, indirizzandole alla realizzazione del bene comune, e di garantire gli individui contro ogni sopraffazione che venga da singoli o da gruppi, ristabilendo le condizioni di uguaglianza ogni volta che risultino ingiustamente turbate. Massima occupazione Conseguentemente la D.C. riafferma: Tutti gli uomini devono avere diritto all'istruzione ed alle carriere sociali ed uguale possibilità di accedere alla direzione politica ed economica. Ad ognuno deve essere assicurata un'occupazione stabile con un ordinamento produttivo che consenta la piena utilizzazione delle forze di lavoro e l'attribuzione di un equo compenso, sufficiente a garantire al lavoratore ed alla sua famiglia il necessario sostentamento ed una sicura possibilità di risparmio. Dallo stesso principio deriva l'obbligo per la società di prowedere con un organico sistema di assicurazioni sociali a quanti per malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione sono privi, senza loro colpa, della possibilità di guadagno. La distribuzione del beni materiali non deve contrastare con la loro naturale destinazione, che è di essere a beneficio di tutti gli uomini, e non deve costituire un ostacolo al diffondersi della proprietà, che la o.e. considera come fondamentale difesa della libertà e della personalità. Il rinnovamento del rapporti economici e sociali deve elevare I lavoratori da passivi
prestatori, da attivi partecipanti dell'Impresa, mediante: a) la costituzione di Consigli di impresa intesi a fare Intervenire i tecnici, gli Impiegati, gli operai alla risoluzione dei problemi attinenti ai singoli complessi aziendali, in modo da Inserire gradualmente il lavoro come associato e partecipe nella responsabilità e nella direzione dell'ordinamento produttivo; bi l'attuazione di forme plu diffuse di comproprietà o di compartecipazione dei lavoratori alla responsabilità ed agli utili della azienda. Limiti e compiti della socializzazione La politica economica dev'essere intesa unitariamente In modo che l'economia pubblica e l'economia privata, anziché essere concepite come antitetiche e contrastanti, siano coordinate e sviluppate nelle zone di loro specifica competenza per realizzare il massimo benessere sociale. L'intervento dello Stato e degli altri Enti pubblici non va inteso come fine a se stesso, ma come un mezzo per promuovere nell'armonia degli sforzi il bene comune stimolando e coordinando le libere iniziative. Esso deve pertanto: a) seguire un Indirizzo contrario In linea di principio ad una politica protezionista; b) adottare una politica finanziaria che porti ad una graduale perequazione nella distribuzione della ricchezza e consolidi le piccole e le medie Imprese sulle quali poggia prevalentemente la nostra economia; cl assorbire a favore della comunità i vantaggi derivanti da ogni posizione di monopolio; d) eliminare le grandi concentrazioni Industriali e finanziarie non giustificate da manifeste necessità e sottoporre al pubblico controllo quelle che ragioni tecnico-produttive consigliano di mantenere o di promuovere. Questo Importa che nel settori In cui è: prevalente l'Interesse pubblico; assente o Insufficiente l'Iniziativa privata; monopolistica o privilegiata la posizione delle elncole Imprese; Inadeguato l'aseorblmento del potenziamento di lavoro; 9 si attui l'intervento dello Stato e degli Enti Pubblici, nelle forme della proprietà o della gestione socializzata, secondo gli schemi tecnici piu appropriati, che vanno dalla gestione pubblica o semipubblica, all'impresa mista ed alla concessione. La gestione socializzata non deve né burocratizzare né irrigidire l'attrezzatura produttiva, ma realizzarsi in organi e forme decentrate che, potenziando la responsabilità dei tecnici e dei lavoratori, salvaguardino i metodi propri dell'organizzazione industriale. Solidarietà internazionale Qualsiasi programma di riforma sociale è destinato a fallire se non trova fondamento In un generoso ed illuminato senso di solidarietà internazionale che affermi in concreto la coscienza dell'interdipendenza degli interessi fra i popoli e realizzi istituti ed ordinamenti diretti a garantire una sempre maggiore libertà di movimento dei beni e delle forze del lavoro, una piu equa distribuzione delle risorse terrestri, una piu efficace e naturale ripartizione delle attività produttive tra i vari complessi economici concepiti come parti complementari dell'unità economica internazionale. Di fronte alla tragica situazione dell'economia italiana sconvolta dall'autarchia, depauperata dalla guerra, distrutta in gran parte nella sua attrezzatura produttiva, dispersa nelle sue mirabili forze del lavoro, la Democrazia Cristiana: Afferma la necessità che programmi, capacità, mezzi tecnici e finanziari siano preliminarmente Indirizzati a soddisfare le piu elementari esigenze di vita del popolo italiano: lavoro, vitto, casa. Riconosce l'urgenza di un piano che, diretto alla ricostruzione della struttura produttiva del Paese, primo fondamento del suo benessere: Disciplini, In rapporto al grado di urgenza e di utilità sociale, la destinazione delle scarse risorse disponibili al diversi settori produttivi di beni e di servizi; Attui una perequazione del sacrifici conseguenti alla guerra tra I vari Individui e categorie sociali; Eviti la ricostruzione o Il ripristino di
10 attività industriali economicamente non vitali; Determini i settori in cui l'organizzazione pubblica della produzione o della distribuzione si riconosca di imprescindibile necessità sociale. per modo che le iniziative private possano liberamente espandersi negli altri settori; Eviti che. con il contributo dello Stato e quindi della collettività, si ricostituiscano o si consolidino posizioni di privilegio; Stimoli e coordini le iniziative individuali, favorendo specialmente la formazione di cooperative o di consorzi che nel campo della produzione. del lavoro e del consumo realizzino - in libere forme associative - un potenziamento di mezzi, una disciplina, un controllo, atti ad agevolare i compiti della ricostruzione; Consideri con particolare premura le categorie a reddito fisso (impiegati, salariati, pensionati) come quelle piu bisognose di tutela e di aiuto e difenda con ogni mezzo il valore reale della loro retribuzione. La Democrazia Cristiana, adeguando la sua azione alle necessità contingenti secondo direttive di graduale applicazione; Ritiene che soltanto attraverso una razionale e progressiva evoluzione degli ordinamenti, la società può trovare il suo assetto in un regime di effettiva democrazia politica ed economica. agosto 1945 Un ordine del giorno dei Cln tielle aziende IRI Quest'ordine del giorno venne approvato /'8 agosto 1945. Fra le Aziende rappresentate figuravano /'Alfa Romeo, la Dalmine, /'Ansaldo, la Temi, le Acciaierie Cornigllano, la Stipe/, il Gruppo SIP, ecc. Nel testo ciclostilato da noi trovato fra le carte Pesenti, é apposto un segno a matita viola - non sappiamo se di pugno dello stesso Pesentl - sulla parola • sociallzzata • (•nel quadro di una economia nazionale socializzata •J. Sempre a matita viola è indicata a fianco /'espressione sostitutiva • nazionallzzata •. Ordine del giorno approvato il giorno 8 agosto 1945 a Milano presso il C.L.N. di Milano centro I Rappresentanti del C.L.N. delle Aziende del Gruppo I.A.I. e cioè di circa N. 150.000 (diconsi centocinquantamila) lavoratori, riuniti a convegno il 6-s-1g45 in Milano presso il C.L.N. - Milano Centro - Via Meravigli, 2 premesso che l'I.R.I., costituitosi nel 1933 come organo dello Stato con scopi di finanziamento e smobilizzo ha, durante il regime fascista, gestito le proprie aziende secondo concetti e programmi capitalistici ideati ed imposti da un ristretto numero di persone al servizio totale delle idee megalomani ed imperialistiche del fascismo; constatata la necessità che, anche nella nuova Democrazia Italiana, l'I.R.I. continui a sussistere con compiti di finanziamento e coordinamento nel quadro di una economia nazionale socializzata; convinti che il compito della vera epurazione è quello di impedire ed eliminare in organi cosl importanti, come appunto l'I.R.I., l'influenza deleteria di tutti coloro che fino a ieri hanno dei loro posti di comando fatto strumento di potenza del fascismo
ed agevole mezzo per raggiungere interessi personali o vantaggi di casta: decisi a sanare e moralizzare tutta la vita delle loro aziende nell'interesse della collettività e delle masse lavoratrici immettendole nel diretto controllo delle società in cui esse lavorano; ritengono necessario che si esaminino con sollecitudine I seguenti loro desideri: 1) Unificazione delle gestioni commissariali nord e sud dell'I.R.I., con nomina di un Presidente e due Vice Presidenti che godano la fiducia dei lavoratori delle aziende controllate. la Sede legale dell'I.R.I. rimarrà a Roma, per gli Importanti contatti con i Ministeri competenti. La Direzione Generale dovrà essere costituita nel nord, a Milano o Genova, per sentire e studiare da vicino i problemi e le necessità sociali, economiche e tecniche delle società controllate i cui interessi prevalenti risiedono nel nord. 2) Democratizzazione dell'I.R.I. da realizzarsi attraverso la rappresentanza negli organi sociali dello stesso di delegati dei lavoratori, scelti per ogni singola branca di attività economica, i quali partecipino allo studio ed alla formulazione dei programmi e dell'indirizzo dell'I.R.I. medesimo. 3) Revoca, nell'attesa che venga modificata l'attuale legislazione di tutte le gestioni commissariali, e convocazione delle assemblee per la nomina di nuovi consigli di amministrazione nel quali l'I.R.I. provveda ad Introdurre un numero da concordarsi di rappresentanti del lavoratori, eletti dagli stessi su proposta del C.L.N. Aziendali in accordo con le Commissioni Interne. 4) Allontanamento da qualsiasi attività nelle aziende e nel loro organi direttivi di tutti coloro che, condannati all'abbandono del campo dalla rovina evidente del loro elaborati progetti passati, non offrono oggi nessuna garanzia di capire le necessità nuove. Con tali fini I rappresentanti del C.L.N. delle Aziende del Gruppo I.R.I. Indicate In calce nominano una loro giunta Interaziendale Incaricata di portare all'I.R.1. ed al Governo la presente mozione che esprime la loro unanime volontà; tale giunta riferirà sul colloqui avuti e sul risultati ottenuti. Antonio Negro 1945 Un segretario dei metalmeccanici racconta Questa relazione. dattiloscritta. non datata ma certamente del 1945, figurava Ira le carte di Pesentl. Allo scopo di prendere i primi contatti con i rappresentanti sindacali dei lavoratori metalmeccanici e siderurgici dell'Italia Settentrionale, nonché per rendermi conto personalmente delle reali condizioni delle industrie e sulle difficoltà che queste incontrano per una pili intensa ripresa lavorativa, mi sono recato recentemente. nella mia qualità di segretario nazionale della F.1.0.M. (Federazione Italiana Operai Metallurgici) nei principali centri Industriali dell'Alta Italia: liguria-Piemonte-LombardiaEmilia. I contatti con i dirigenti dei lavoratori della categoria metallurgica sono stati assai proficui in tutte le località che ho potuto visitare perché non solo mi è stato possibile conoscere da vicino con quali criteri sono stati istituiti i Sindacati di categoria e come si è proceduto alla nomina delle Commissioni Interne, ma ml sono inoltre interessato di conoscere i vari rapporti che corrono fra le organizzazioni del lavoratori e quella degli industriali; rapporti che per l'epurazione avvenuta di molti esponenti dell'Industria politicamente compromessi, oggi sono assai buoni. In diverse riunioni di attivisti sindacali ho dato a questi le necessarie disposizioni sia nel campo della riorganizzazione della categoria, tenendo sempre presente le deliberazioni del Congresso di Napoli sulla realizzata unità della classe lavoratrice, sia nell'impostazione di eventuali agitazioni o richieste di miglioramento ecc. In generale la situazione sindacale trovata nei diversi centri visitati è assai soddisfa• cente per quanto Il lavoro di riorganizza• zione proceda ancora un poco confuso,
12 In special modo nella zona del genovesato, ma questo si spiega assai facilmente nel fatto che il tempo trascorso dalla loro liberazione ad oggi è troppo breve. Un lavoro piu consistente ed organico invece ho riscontrato a Torino, dove ho trovato la Sezione Metallurgica che funzionava in pieno con tutti I suoi necessari uffici annessi. Anche a Milano si deve ancora superare il primo periodo un po' caotico e confusionario data la mole di lavoro che quei compagni devono svolgere, ma la serietà e l'attività del dirigenti preposti alla riorganizzazione dei metallurgici ci dà sicuro affidamento che entro un periodo relativamente breve questa categoria costituirà certamente la spina dorsale della Camera del Lavoro Provinciale di Milano. Nell'Emilia ho visitato soltanto Modena dove funziona abbastanza bene un Sindacato metallurgico al quale hanno aderito circa l'80% delle maestranze impiegate nei vari stabilimenti della città. In tutte le località che ho visitato ho avuto contatti non solo con i dirigenti dei Sindacati e delle Camere del Lavoro ma anche con le Commissioni Interne di fabbrica e con le stesse masse operaie che ho trovato spiritualmente molto elevate. La maggiore preoccupazione che in questo momento assilla tanto I rappresentanti operai quanto gli esponenti dell'industria metalmeccanica e siderurgica, con i quali ho avuto occasione d'incontrarmi, è quella dell'assoluta mancanza di materie prime e semilavorate nonché difficoltà non indifferenti di ordine finanziario che potrebbero avere serie e non lontane conseguenze sulla produzione e quindi costituire un immediato pericolo per le masse operaie, poiché si profila imminente il pericolo della disoccupazione. Certo è, che se il problema della ripresa lavorativa interessa ogni Nazione dove è passata la guerra questo è veramente assillante per l'Italia, dato che il territorio centro-meridionale della sua penisola è stato ·ampo di battaglia,a quelloche è peggio, la guerra vi è passata metro per metro con le distruzioni operate dai nazi-fascisti che non avevano maestri In tale arte se cosi questa è lecito chiamarla. Ora, a guerra terminata, e data la possl• bilità di un consuntivo, si può senz'altro affermare che la situazione del nostro patrimonio industriale è tale che ogni piu rosea speranza formulata alla vigilia della cessazione delle ostilità, non poteva neppure lontanamente immaginare. La guerra è passata palmo per palmo sul nostro territorio, ma nell'Italia settentrionale dove ha inizio la vera parte industriale della Nazione, per la decisa volontà del popolo tutto e per il valore dei suoi parti• giani il salvabile è stato interamente salvato. E' cosi che oggi possiamo affermare senza tema di smentita che il nostro patrimonio Industriale è nella sua quasi totalità in piedi e che non attende altro che di riprendere Il suo ciclo produttivo. Le difficoltà però che si incontrano per la ripresa lavorativa delle aziende sono infinite, e le principali, comuni a tutte le industrie dell'Alta Italia, si possono schematicamente, come ho già detto, raggruppare in: a) difficoltà di ordine finanziario; b) difficoltà di approwigionamento di materie prime e semilavorate. Non c'è oggi industria che non conosca queste due difficoltà, che è inutile nasconderselo, sono molto gravi a superare, tanto piu che essendo due fenomeni in mutua dipendenza fra loro non si può superare l'uno se non si supera l'altro. Le difficoltà di ordine finanziario sono motivate sia dalle particolari condizioni in cui le Aziende si sono venute a trovare dopo 20 mesi di occupazione tedesca, sia dal le necessità future per la trasformazione delle produzioni belliche in produzioni di pace. In quest'ultimo periodo le ditte dell'Alta Italia non hanno prodotto praticamente niente e di conseguenza non hanno incassato nulla e si sono esaurite non solo le scorte della società; ma queste hanno dovuto altresi ricorrere, nella maggior parte e prestiti presso terzi. Inoltre per la ripresa del ciclo produttivo, è necessario anche prowedere come già accennammo, ad una trasformazione delle Imprese, dedite da vari anni fino ad oggi ad una produzione bellica. Per ottenere ciò è noto anche a qualsiasi profano che ad uno stabilimento per li passaggio ad una nuova produzione occorre un periodo di tempo abbastanza lungo a
che I primi mesi sono completamente passivi, ed ecco che allora si viene di nuovo a cozzare contro le difficoltà d'ordine finanziario. La maggior parte delle Società dell'Alta Italia, anche ricorrendo a dei prestiti, possono mantenersi In vita al massimo per poche settimane. E' questo per esempio Il caso dell'Ansaldo, della S. Giorgio ecc., tanto per citare solo le maggiori. La tragicità della situazione finanziaria è dovuta oltre che dal motivi già accennati, anche dal fatto che durante Il periodo dell'occupazione tedesca non era possibile ridurre sostanzialmente il personale senza lasciare la maestranza disoccupata, che del resto sarebbe stata deportata in Germania. Quindi anche a seguito dell'intervento dei vari Comitati di Liberazione, la maestranza, pur non dando il rendimento che avrebbe dato in condizioni di normalità, fu lasciata In servizio percependo cosf il suo guadagno giornaliero a tutto danno dell'Azienda stessa. A questo aggiungasi che le scorte del materiale, già depauperate per i mancati rifornimenti, furono poi ancora ridotte dalle requisizioni tedesche. Data quindi tale situazione, occorre affrontarla con la massima decisione e senza indugio; perciò secondo me è necessario fare grandi economie sulle spese generali di ogni singola Azienda e facilitare la concessione a queste Aziende delle facilitazioni finanziarie a grande respiro da parte di Banche e Istituti finanziari in modo che nel periodo di giuntura fra la vecchia e la nuova produzione l'Azienda possa continuare a vivere per poi riprendere con sicurezza il suo cammino. E' della massima Importanza la determinazione, fin da ora, dell'indirizzo che le Aziende dovranno prendere per la nuova produzione, per non Incorrere nel rischio, che in base ad accertamenti sommari Intrapresi si sta già delineando di convergere tutte le attività verso gli stessi prodotti. Infatti è di oggi la tendenza delle maggiori Industrie metalmeccaniche a prepararsi per produrre nell'avvenire tutte quante materiale ferroviario rotabile con conseguenze sintomatiche, sia per la concorrenza, sia per il congestlonamento del mercato In tale genere di prodotti. 13 Quindi la trasformazione delle industrie deve avvenire sempre nel quadro della situazione generale. Non di minore importanza, anche se trattato In secondo luogo, è il problema dell'approvvigionamento delle materie prime e del semi-lavorati. In modo particolare occorre provvedere alle nostre Industrie ed al piu presto possibile carbone cok metallurgico senza Il quale non potranno funzionare fonderie, acciaierie, ecc. In tutte le officine ed aziende che ho potuto visitare nel mio giro nell'Italia del Nord ho riscontrato questa immensa fame di carbone. Alcune Società potrebbero anche arrivare a sormontare le difficoltà d'ordine finanziario sopra accennato, purché fosse loro garantito un rifornimento, sia pure minimo, di carbone. Il patrimonio Industriale delle principali aziende dell'Italia settentrionale è, come già detto, in massima parte In piedi, ma manca la linfa necessaria per la sua vita; manca del carbone di cui l'Italia è notoriamente sprovvista. Le domande che oggi i lavoratori e gli stessi industriali si pongono sono queste: a che serve aver salvato le macchine se manca il mezzo di azionarle? Non esistono quindi a tale riguardo soluzioni di sorta:_ ed ecco perché il problema è ancora p1u grave del precedente. Solo gli alleati potrebbero e dovrebbero aiutarci con le loro Immense possibilità. Il problema è urgentissimo, se gli aiuti cl devono essere concessi che questi vengano immediatamente. Ogni indugio potrebbe essere fatale all'attività Industriale della Nazione e per l'avvenire stesso di molte migliaia di lavoratori. Non è da credere che questi siano i soli ostacoli che si frappongono ad una ripresa industriale nelle aziende dell'Italia settentrionale; altri come per esempio i mezzi di trasporto rivestono importanza capitale, ma sono convinto che i lavoratori in perfetto accordo con tutte le categorie di tecnici ecc. e se aiutati in quanto sopra detto, con la loro costanza ed operosità nel lavoro faranno certamente risorgere l'attività delle nostre Industrie nell'interesse generale della Nazione.
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