giovane critica - n. 33 - inverno 1973

28 I fulmini gerarchici non ci furono. Ci sarebbero stati, se la gerarchia cattolica italiana fosse stata piu colta, e meno preoccupata degli aspetti immediati della gestione del potere: ma incultura e temporalismo sono le caratteristiche comuni della gran parte dei trecento vescovi italiani - e degli altrettanti burocrati minutanti, sostituti e sottosostituti che partecipano della struttura amministrativa della Santa sede: non per nulla i Jalons pour une théologique du laicat, scritti da Yves Congar in francese nel 1950, vennero tradotti in italiano solo alla fine degli anni '60, perché solo leggendoli nella lingua di Dante i burocrati del Sant'Uffizio sarebbe• ro stati capaci di denunciare le eventuali proposizioni eretiche Alla gerarchia cattolica italiana bastava che gli aclisti votassero DC: i processi culturali non la riguardavano. Col convegno di Val Iombrosa del '68 e con la promozione dell'ACPOL, dunque, le ACLI si schierano per l'autonomia della sinistra cattolica, non per la diaspora. Anche se il cammino autonomo della sinistra cattolico può incontrarsi e confondersi con quello della sinistra socialista: questa, anzi, è l'ipotesi prevalente, tant'è vero che nessuno si preoccupa di motivare cultura!• mente un'eventuale formazione di pura e semplice sinistra cattolica. Si cerca di evitare la diaspora, perché si riconosce nel mondo cattolico in quanto tale una struttura di potere che sopravvive alla crisi della sua ideologia, e non si vuole sguarnire il terreno di un'opposizione specifica. Due ipotesi all'interno di « Forze nuove » Sulla scorta di Vallombrosa si prepara il congresso di Torino, che si tiene nove mesi dopo, nel giugno del 1969. E' il congresso in cui le ACLI denunciano il • collaterali• smo • con la DC e stabiliscono il principio del • voto libero • degli aclisti. E' una • rivoluzione • silenziosa, tutta giocata nella terra di nessuno esistente fra la certezza dottrinale - attraverso la quale mai si era riusciti a giustificare l'unità politica dei cattolici - e la prassi • pastorale • - che a quest'unità costringeva ad ogni consulta• zione elettorale. Labor, senza chiedere permesso, esercita in positivo quell'autono• mia dei laici riscoperta dal Concilio. La maggioranza che ottiene è larghissima (1'86 per cento), e non perché la scelta siA di poco momento: su di essa si spacca il gruppo di Forze nuove, con Donai Cattin schierato dalla parte di Labor e Vittorino Colombo alla guida della minoranza. Dopo questa vittoria schiacciante, Labor lascia la presidenza per dedicarsi al disegno già avviato con l'ACPOL: le ALI - come dice Gabaglio, nel suo intervento congressuale - resteranno la • casa comune • dei lavo• ratori cristiani, qualunque ne sia l'opzione politica personale. Vedremo in seguito grazie a quali imprudenze ed incertezze di gestione questo disegno non si verifica pienamente, e viene anzi messo seriamente in crisi. C'è da osservare solo che una delle condizioni necessarie per la sua attuazione non dipendeva dalle ACLI: costruire una • casa comune • per lavoratori cristiani, infatti, significava ipotizzare una qualche circolazione di contenuti autenticamente religiosi in seno alla cristianità italiana; significava, cioè, ipotizzare un interesse delle gerarchie ecclesiastiche per la formazione rei igiosa dei lavoratori cristiani, una loro capacità di impostare la • pastorale del mondo del lavoro • in ragione del messaggio di Gesu Cristo, e non dei voti di preferenza dei singoli deputati democristiani. Questa condizione si è rivelata inesistente, e quella che avrebbe potuto essere un'occasione di profondo rinnovamento della presenza pastorale della Chiesa italiana è stato invece i I banco di prova del suo persistente temporalismo. Dopo le ACLI, la CISL: il congresso si tiene un mese dopo, nel luglio del 1969. Si punta sulla vittoria della forte minoranza, rappresentata da cinque segretari confede• rali su undici (Armato, Fantoni, Carlo Romei. Marcone e Camiti) e dalle federazioni dell'industria, guidate dalla FIM di Luigi Macario. Storti è in difficoltà, perché la CGIL ha appena votato le incompatibilità, facendo cadere l'ultimo pretesto antiunita• rio. Storti è costretto a far sua la proposi~ incompatibilista, sulla quale la minoranza si era coagulata: e nonostante questo, vince di stretta misura, anche se poi consoliderà ed estenderà la sua egemonia sull'organiz• zazione. fino al recente rovesciamento di fronte. L'incalzare delle scadenze contrai• tuali riapre subito, comunque, gli spazi di presenza che, per la sinistra, sembravano chiusi con la sconfitta congressuale. La FIM, e le altre federazioni Industriali, sono alla testa del movimento d'autunno, e lo caricano di esigenze politiche. La • nuova

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